SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

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martedì 14 giugno 2011

Il caso Santoro ovvero i falsi assiomi di un certo modo di pensare il liberismo, 2^ parte.

Le considerazioni dianzi esposte attinenti la qualità del prodotto televisivo della Rai non sono edulcorate da una vena nostalgica poiché quando mi accingo alla elaborazione di una analisi cerco sempre – è il rigore della logica che me lo impone – di esulare dall’aspetto, specificamente, emotivo.
Asserire che tutta la produzione della televisione pubblica fino, grosso modo, alla metà/fine degli anni settanta – ed, in sostanza, prima dell’avvento catastrofico delle emittenti commerciali ivi incluse quelle di Berlusconi – sia stata – lo ripeto : tutta ! – di altissima qualità è una sciocchezza madornale in quanto grossolanità ridondanti ce ne erano anche allora e, d’altro canto, un certo taglio pedagogico di molte rubriche era, sotto alcuni aspetti, decisamente irritante ed anacronistico anche perché a fronte di una società che cambiava, e repentinamente, il linguaggio televisivo ed un certo modo di intendere il servizio pubblico denotava un anacronismo, per l'appunto, alle volte davvero sconcertante.
Ma detto ciò – doverosamente, ritengo – uno sguardo disincantato alla vastissima gamma della produzione del servizio radiotelevisivo pubblico di quegli anni non può non ristagliare rispetto alla sterminata proposizione, e riproposizione, di palinsesti obsoleti, stantii, sovrapponibili, volgari e di scarsissima qualità – fatte salve, naturalmente, alcune lodevolissime eccezioni – onde per cui, cumulativamente parlando, non è minimamente paragonabile il taglio qualitativo di un certo tipo di programmazione televisiva di trent’anni or sono rispetto a quella contemporanea.
Il repentino mutamento ha coinvolto, ineluttabilmente, anche l’agone politico che si è, sempre più, spettacolarizzato smarrendo, sostanzialmente, sé stesso ed il suo linguaggio.
Se raffrontiamo, un istante, le vecchie tribune politiche ai talk-show odierni – ivi compreso Anno zero, ma non solo – non possiamo non evidenziare, alla base, una differenza strutturale fra le idee che presenziavano a quelle ed a queste rubriche di approfondimento.
A fronte di un esponente politico – generalmente un segretario di partito – si assiepavano, sugli scranni dello studio, un ristretto stuolo di giornalisti in rappresentanza delle più importanti testate nazionali che potevano rivolgere, all’ospite di turno, una sola domanda e senza diritto di contro-replica.
Era, infine, contemplato un secondo giro di interrogazioni nel quale i cronisti potevano riprendere il tema precedente trattato ovvero aprire un nuovo fronte di argomentazioni.
La funzione del conduttore – generalmente un giornalista specializzato della Rai – si ammantava delle vesti di fisiologico moderatore attento alla dinamica ed al rigoroso rispetto dei tempi concessi a ciascun interlocutore cercando, così, di garantire pari opportunità a tutti gli inviati dei quotidiani.
Quando l’ospite di turno rispondeva non era consentito, all’interrogante, alcuna interruzione di sorta anche laddove l’esponente politico avesse, clamorosamente, esulato dalle argomentazioni attinenti ma questa modalità di conduzione rispondeva, se vogliamo, ad una logica di equidistanza – direi, anzi, di neutralità – del conduttore in virtù della quale, alla fin fine, un giudizio di merito veniva delegato proprio ai telespettatori ed, in definitiva, all’utenza.
In questa ottica, quindi, la migliore conduzione era quella nella quale il moderatore spariva, letteralmente, dal proscenio mediatico in quanto che il focus del rotocalco di approfondimento dovevano essere, doverosamente, le argomentazioni addotte dal politico di turno.
Inutile, altresì, sottolineare che il tono delle trasmissioni – perbeniste finché si vuole – non consentiva, nel modo più assoluto, l’utilizzo sistematico dell’insulto ovvero del turpiloquio… altri tempi, evidentemente, dei quali, lo confesso, ho un pizzico di nostalgia.
Purtroppo l’ingresso – una iattura senza precedenti – dei primi talk-show – Bontà loro, per esempio, ma anche Milano-Italia, la stessa Samarcanda ovvero il Maurizio Costanzo show – ha posto le basi per un radicale capovolgimento di prospettiva e per una qual sorta di rivoluzione copernicana in ottemperanza alle quali le redini dei rotocalchi venivano assunte, in prima persona, proprio dal conduttore stesso che, abbandonata la propria funzione moderatrice, si lanciava sul proscenio dei riflettori divenendo, egli stesso, primo attore e mattatore della sua stessa pantomima.
E’ stato così per Costanzo, certo, ma anche per Michele Santoro e per Daniele Luttazzi.
Ed a questa rivoluzione copernicana si è abbarbicato un radicale stravolgimento della idea stessa che presenziava alla stesura della trasmissione epigona, purtroppo, della riforma del servizio pubblico operata, grosso modo, intorno alla metà degli anni ’70 che conferiva una gestione autonoma delle singole reti televisive ed, in definitiva, della raccolta delle utenze pubblicitarie.
E questo, beninteso, accadde prima dell’avvento delle emittenti private le quali se, da un lato, svolsero una funzione di propellente dall’altro, però, si inserirono in un contesto già deteriorato ed edulcorato in funzione della raccolta di cui sopra.
Con la riforma del servizio pubblico, quindi, si crearono i presupposti per una lottizzazione partitica delle emittenti di stato ed, in definitiva, per il tramonto di quello che era stato, fino ad allora, il concetto stesso di servizio pubblico.
E se la rete ammiraglia si rivolgeva, adesso, ad una utenza più tradizionalista quella ancillare – il vecchio secondo canale, per intenderci – strizzava l’occhio ad un pubblico nuovo – liberi professionisti, universitari, docenti ed, in definitiva a quello che, oggi, definiamo terziario – che, politicamente, era orientato verso altri serbatoi elettorali con precipua preferenza verso il nuovo partito socialista ed al nuovo corso impressogli dal segretario uscente Bettino Craxi.
Fu in quegli anni che si posero, così, le premesse per l’allestimento – nonché la messa in onda – di programmi fotocopia per cui se Corrado, dagli schermi di Rai Uno, intratteneva il pubblico con il primo format domenicale – Domenica in…, per l’appunto – Renzo Arbore, alla medesima ora, conduceva sul secondo canale un altro format – ovvero la celeberrima Altra domenica – e se la testata giornalistica del tg1 aveva, fino ad allora, presieduto al monopolio della informazione sportiva – Novantesimo minuto, la Domenica sportiva etc. – adesso anche la rete due si fregiava di programmi similari quali Gol flash ovvero Domenica sprint.
Furono, dunque, quei disgraziatissimi anni e quella disgraziatissima riforma che pose in essere quelle condizioni di concorrenza la quale, rispondendo all’assioma fallace in virtù del quale un maggior numero di produttori – leggi offerta – determina un consequenziale miglioramento del prodotto, fu prodroma di uno scadimento generale che avrà una paurosa accelerazione con l’ingresso, prepotente, delle emittenti private le quali, prive del canone, si autofinanziavano esclusivamente attraverso la raccolta degli introiti pubblicitari.
Finisce, così, un’epoca nella quale il mezzo televisivo aveva svolto – bene o male, questo è un altro discorso ! – una funzione pedagogica e comincia, così, una nuova era nella quale, viceversa, l’imperativo categorico diventa la ricerca dell’audience, degli indici di ascolto e dello share.
E per rincorrere, al meglio, questo nuovo tipo di target il prodotto deve dismettere, e celermente, i panni sontuosi e vetusti della pedagogia e venire incontro alle istanze, anche impulsive, più immediate dei telespettatori.
Non occorre più, quindi, reclutare i migliori attori della prosa e della drammaturgia italiana ovvero delle soubrette di alto rango : molto più semplice, e remunerativo, ricorrere a delle bambole gonfiabili pronte, immediatamente, a mettere in mostra le loro procacità.
Gli italiani, notorio popolo di santi, poeti e navigatori ed, altresì, fedelissimo frequentatore di bordelli a tutti livelli nonchè prigioniero degli stereotipi del più bieco maschilismo, si vedono così, all’improvviso, rovesciare addosso una splendida mercanzia – Pamela Prati, Valeria Marini, la stessa Alba Parietti etc. – a basso costo con delle ancor più improbabili ballerine che, però, hanno il pregio di indossare un abbigliamento sempre più audace e trasgressivo sapientemente enfatizzato dalla regia che inaugura la stagione delle inquadrature ginecologiche fino a toccare il fondo quando Gianni Boncompagni allestisce un format interamente rosaNon è la Rai – costellato da uno stuolo di ragazzine in età prepuberale.
E poiché il panorama mediatico – e, quindi, la raccolta pubblicitaria – non è più, oramai, monopolio della televisione di stato questa corsa al ribasso – qualitativamente parlando – della programmazione televisiva scatenata dalle emittenti private determina un celere adeguamento anche della RaiTV.
E’ l’inizio di una regressione del ruolo femminile sul piccolo schermo che porterà alla ribalta personaggi dello spessore artistico di Mara Carfagna, Elena Santarelli, Elisabetta Gregoraci e Belen Rodriguez.
Inutile, quindi, sottolineare che sul proscenio televisivo non può più esserci spazio per primedonne come Loretta Goggi, Mina, Bice Valori o Delia Scala.
E questo nel più assordante silenzio del pubblico pagante femminile.