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giovedì 16 giugno 2011

Il caso Santoro ovvero la discesa in campo della propaganda, 3^ parte.

Mi spiace deludere qualche aspettativa suscitata dalla seconda nota a latere ma chi presume che io mi scagli contro la Gregoraci, la Santarelli e la Rodriguez ha, clamorosamente, sbagliato strada.
Non posso, invero, biasimare chi è riuscita, in maniera più immediata, ad ottenere uno spicciolo di notorietà su scala nazionale e sul proscenio mediatico unicamente – o quasi – per aver ostentato il posteriore.
Come ebbi, tempo addietro, modo di sottolineare queste improbabili soubrettine da rotocalco sono le epigone, distorte finché si vuole ma pur sempre tali, proprio di un certo femminismo da operetta degli anni ’70 ovvero di quelle, per intenderci, che agognavano la liberazione della donna – da cosa, sinceramente, non era dato allora né, tantomeno, oggi di capire – ed una nuova consapevolezza sessuale e, sinceramente, chi usa il sesso in maniera consapevole, per l’appunto, onde affrancarsi dalle necessità finanziarie non può essere biasimata, oggi, da coloro le quali, ieri, ne rivendicavano proprio siffatte peculiarità.
Fa specie, anzi, che un certo perbenismo – questo sì, di salotto, di maniera – provenga proprio da un certo stuolo di donne facenti parti della composita galassia del centrosinistra i cui biasimi fanno, a dir poco, ridere a crepapelle anche perché le loro posizioni attuali fanno invidia a quelle assunte, negli anni ’60 e ’70, dalle gerarchie ecclesiastiche della Santa Sede quelle che, per intenderci, imposero le lunghe calze nere alle gemelle Kessler e che denotano, oggi, una penuria di coerenza ed onestà intellettuale decisamente preoccupante e che fa il paio, per altri versi, con la ricorrenza del 150esimo anniversario della unità d’Italia culminato, grottescamente, con l’ennesima contestazione al presidente del consiglio in quel di Torino da un gruppo di manifestanti che intonarono l’inno nazionale fratelli d’Italia.
Il mio biasimo, per quel che può valere ovvero nulla, si scaglia proprio contro coloro le quali, oggi, assumono delle posizioni integraliste come, ad esempio, la cara Conchita De Gregorio – tanto per non fare nomi – la quale, dal pulpito di Anno zero, si è lanciata, tempo addietro, in una sorta di reprimenda savonarolesca da far accapponare la pelle e da fare invidia a quelle, presumibili naturalmente, che potrebbe proferire papa Benedetti XVI il quale, però, è troppo scaltro ed intelligente per scivolare su queste boutade di così basso profilo.
Ed il mio biasimo, in ultima analisi, si scaglia proprio contro chi, fatte stanti queste posizioni ideologiche reazionarie, continuano, imperterrite, a consumare un certo tipo di produzione televisiva propinate loro proprio da quelle imprese che accludono, ad un certo tipo di programmazione, i loro inserti pubblicitari.
Tempo addietro la lolita Noemi Letizia assurse sulle prime pagine dei giornali in seguito alla relazione con il presidente del consiglio.
In quello stesso periodo la casa produttrice di intimo femminile “Noi di notte” cooptò proprio la Letizia per fare pubblicità ad un suo nuovo capo di abbigliamento onde per cui, per diversi mesi, i cartelloni pubblicitari della mia città – e, presumo, non soltanto quelli della mia – furono tappezzati da questo manifesto gigante nel quale campeggiava, in una posa a metà fra il seducente ed il grottesco, proprio la ragazzina napoletana.
Quale migliore occasione, pensai, per le donne di far sentite la propria voce e per boicottare la società produttrice.
Ovviamente non successe nulla di tutto questo per cui quel manifesto – che in una Italia bigotta e reazionaria degli anni ’50 non avrebbe avuto ragione d’essere – ha continuato a colorare gli angoli delle strade per diversi mesi a venire salvo, poi, cedere il passo ad un nuovo slogan e ad una nuova modella in quanto che come repentinamente assurgono ai fasti della ribalta altrettanto repentinamente scivolano nel dimenticatoio specie, poi, se l’opinione pubblica è così fatua, vuota ed inconcludente.
Ad ogni modo nell’ambito che più propriamente ci interessa – quello politico – la rivoluzione copernicana di cui sopra ha posto le premesse per un radicale stravolgimento anche della messa in onda di sedicenti rotocalchi di approfondimento e per una nuova generazione di moderatori.
Ho fatto, in precedenza, i nomi di Maurizio Costanzo, Gad Lerner, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, certo, ma il primo, in assoluto, che irruppe in maniera devastante sul piccolo schermo fu Gianfranco Funari che fu una qual sorta di innovatore del modo stesso di concepire e di condurre una trasmissione.
L’idea stessa della rubrica di approfondimento viene, così, minata dalle fondamenta.
Il moderatore deve perdere la neutralità e deve assurgere egli stesso al proscenio dello show – perché, oramai, di un mero spettacolo da basso impero si tratta – nonché tenere, ben salde, le redini della trasmissione alla quale, peraltro, ha già presenziato dietro le quinte e che, adesso, deve seguire un canovaccio prestabilito volto ad affermare una idea pregressa stesa da chi di dovere prima della messa in onda del rotocalco.
E per enfatizzare questa funzione si ricorre ad un pubblico lautamente prezzolato – facendo il verso alle vecchie claque di teatro – che, ammaestrato a dovere, deve coinvolgere emotivamente – con lazzi, applausi, ululati di disapprovazione etc. – anche i telespettatori da casa.
Gli studi televisivi, dunque, si metamorfizzano assumendo i grotteschi contorni di una arena nella quale il conduttore è un arbitro sfacciatamente di parte.
Strano davvero che, contestualmente, quel pubblico di telespettatori che tanto si esalta per una conduzione similare è, poi, il medesimo che si indigna se un arbitro di calcio viene coinvolto in uno scandalo sportivo atto ad alterare la neutralità delle sue funzioni.
Siamo, dunque, di fronte ad una dissociazione psichica ai limiti della schizofrenia nella quale un atteggiamento esattamente antitetico viene celebrato – ovvero biasimato – dalla stessa utenza radiotelevisiva.
Il giornalista stesso, dunque, dismette i panni deontologici della sua professionalità e va ad accomodarsi, metaforicamente, nei settori più caldi delle torçide politiche svolgendo, nei fatti, la funzione di capo claque.
E tutto questo, naturalmente, a scapito proprio della informazione e delle idee sovrastate dall’insulto, dalle urla, dalle gattare preconfezionate alla bisogna in una ottica assai più prosaica ovvero il conseguimento di indici di ascolto e di share.
E’ la nuova frontiera della informazione, dunque, che capitalizza, al meglio, proprio un certo modo di concepire la televisione di matrice squisitamente commerciale.
Chi non si adegua esce dal proscenio mediatico ; non a caso sono solamente due i giornalisti della vecchia guardia che restano ancora in auge ovvero Emilio Fede, trasmigrato per tempo sulle reti fininvest, e Bruno Vespa.
Di tutti gli altri si perdono, fisiologicamente, le tracce.
E con loro si perde, definitivamente, il senso stesso della informazione al cui posto irrompe, massicciamente, la propaganda.