SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

*

mercoledì 30 marzo 2011

Nikolai Andrianov

Nel bailamme mediatico e multimediale dei nostri giorni, catalizzato dalla spedizione militare in Libia, l'agenzia ANSA ha battuto una notizia passata, gioco forza, in sordina che, in poche e scarne righe, annunciava la morte di Nikolai Andrianov.

Chi sia stato e che cosa abbia rappresentato Andrianov per il mondo dello sport, per i giochi olimpici, per la ginnastica e, infine, per l'Unione Sovietica non sta a allo scrivente dirlo, certo, ma cosa abbia rappresentato, viceversa, per me è un'altra storia che spetta, naturalmente, a me e a me soltanto cercare di descrivere e raccontare in queste poche, ed inadeguate aggiungo, righe che mi appresto a redigere.

Il mio primo incontro con Nikolai Andrianov risale al 1976 in concomitanza della celebrazione dei giochi della XXI olimpiade tenutisi a Montreal, in Canada. A differenza di quelli di Monaco di quattro anni prima la Rai diede un risalto assai più ampio, nei suoi palinsesti, alle svariate discipline che costellarono quella edizione ed una, in particolare, colpì moltissimo la mia immaginazione inchiodandomi, letteralmente, davanti al teleschermo ; era, naturalmente, la ginnastica uno sport, quello, di cui, praticamente, ne ignoravo financo l’esistenza, per così dire, in quanto, nelle stereotipate categorie mentali di un adolescente di appena dieci anni, la reputavo intrinsecamente connessa all’emisfero femminile laddove noi uomini, si fa per dire naturalmente, ci appassionavamo per discipline invero più rudi e virili come la boxe, il basket – allora ancora pallacanestro – ed, ovviamente, il calcio.

E furono tre gli atleti che mi colpirono in particolar modo ovvero la ginnasta rumena Nadia Comaneci, quella russa Olga Korbut ed, appunto, Nikolai Andrianov.

Quella edizione, lo seppi solamente a posteriori, segnò un cambio epocale in questa disciplina perché ne enfatizzò l’aspetto squisitamente atletico in virtù, se vogliamo, di una attenzione dei giudici molto diversa rispetto a quella che aveva contrassegnato le edizioni dei giochi antecedenti.

L’avvento della Comaneci e, più in generale, della scuola rumena eclissò quella sovietica – di cui la Korbut era la indiscussa protagonista – in quanto la preparazione, l’impostazione degli esercizi – in special modo nel corpo libero – e quant’altro mise in risalto, appunto, la fisicità del copro e delle performance a scapito proprio della eleganza e della grazia.

Molte ginnaste sovietiche, tanto per intenderci, conoscevano, a malapena, cosa fossero gli esercizi di potenziamento muscolare tant’è che molte delle palestre sorgevano adiacenti a delle scuole di danza classica e l’imprintig di questa disciplina era una qual sorta di commistione meravigliosa fra la ginnastica, nel senso canonico del termine, ed, appunto, il balletto per cui quando la Korbut, plurimedagliata ai giochi olimpici di Monaco di quattro anni prima, si recò a Montreal a difendere lo scettro mondiale di questa disciplina si ritrovò completamente spiazzata in quanto, adesso, l’attenzione dei giudici era maggiormente imperniata sulla elasticità e sulla dinamicità del corpo piuttosto che sulla armonia delle figure descritte.

L’avvento della scuola rumena e del suo rivoluzionario approccio tecnico apportò una serie di mutamenti epocali a cominciare, ad esempio, dall’età media delle sue atlete in quanto un fisico prepuberale è, decisamente, assai più predisposto a dei cambiamenti strutturali rispetto a quello di una adolescente ovvero di una donna ; se, per capirci, la Korbut aveva, all’epoca dei giochi di Montreal, addirittura 21 anni la Comaneci, viceversa, ne aveva appena 14.

Questo, però, implicava un logoramento senza precedenti delle atlete nonché un precocissimo invecchiamento di cui pagò dazio la stessa Comaneci la quale, ai giochi olimpici di Mosca dell’80, fu la pallida controfigura di sé stessa ; e nell’ottanta la Comaneci aveva, appena, 18 anni.

Nikolai Andrianov, invece, costituiva una meravigliosa sintesi fra la potenza muscolare e la grazia innata che gli consentiva di esibirsi, da protagonista assoluto, nelle discipline più disparate primeggiando, quindi, indifferentemente agli anelli ovvero al corpo libero e che, letteralmente, folgorò lo scrivente quando lo vide esibirsi, per la prima volta, a Montreal.

Il palmares conseguito da Andrianov alle olimpiadi di Montreal fu, a dir poco, impressionante : il sovietico conseguì quattro ori – nel concorso individuale, nel corpo libero, agli anelli e nel volteggio – due argenti – nella gara a squadre e nelle parallele – ed un bronzo nel cavallo che era, se vogliamo, il suo tallone d’Achille.

A Montreal Andrianov arrivò nel pieno della sua maturità agonistica – aveva, allora, ventiquattro anni – e diede il meglio di sé riuscendo a reiterare, naturalmente solo in parte, quegli esiti anche ai giochi di Mosca dell’80 dove conseguì l’oro nella gara a squadre e nel volteggio, l’argento nel concorso individuale e nel corpo libero ed il bronzo nelle parallele chiudendo, così, in maniera consona e dignitosa una carriera, a dir poco, fantastica.

Ma l’aspetto, direi, misconosciuto di Andrianov fu che, una volta uscito di scena, il ginnasta restò, volutamente, ai margini del proscenio politico di quegli anni.

A differenza di altri atleti – Valery Borzov, ad esempio – che entrarono nell’establishment del partito ricoprendo dei ruoli di prestigio in ambito sportivo – lo sport era, naturalmente, una qual sorta di vettore propagandistico del mondo comunista che sfruttava, al meglio, i suoi atleti ed Andrianov non fece, né avrebbe potuto fare del resto, eccezione – Andrianov chiese, ed ottenne, unicamente il permesso dalle autorità locali per impiantare una scuola di ginnastica.

Questo aspetto fa specie se teniamo, doverosamente, di conto che, contestualmente, in altri regimi totalitari molti atleti plurimedagliati alle Olimpiadi – penso, ad esempio, ai cubani Juantorena e Stevenson – sfruttarono appieno l’eco delle loro affermazioni ai giochi ritagliandosi un ruolo prestigioso all’interno degli apparati del partito.

Andrianov, invece, ne restò fuori, volutamente, probabilmente perché era un uomo, prima ancora che un atleta dunque, di una caratura – e di uno spessore, aggiungo – decisamente diverso che il suo sguardo, dolcissimo, lasciava trapelare senza dubbi di sorta.

Nikolai Andrianov era la quintessenza della trascendenza che, alle volte, si diletta a metamorfizzarsi nella trascendentalità cogente lasciandoci scorgere, distrattamente, la dimensione dell’infinito a cui noi tutti, in un modo nell’altro, apparteniamo ed alla quale dovremmo tendere e la sua grazia, eterea, era lì, in qualche mondo, a rammentarcelo.

Andrianov si è spento per i postumi di una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale che lo ha costretto a trascorrere gli ultimi anni su una sedia a rotelle amaro, nonché beffardo, epitaffio per un uomo che ha speso la sua vita nell’arte del movimento.

Eppure mi piace pensare che anche in quella immobilità forzata abbia preservato quella grazia innata che me lo ha fatto amare, oltremodo, in quel lontano 1976.

Addio Nikolai. Da questa sera il cielo stellato dentro di me è un po’ meno armonico perché si è eclissata una delle sue stelle più fulgide.