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martedì 20 luglio 2010

Non puoi combattere la violenza con la violenza

translation: Luca Giammarco
Il ventennio passato ha registrato un incremento della violenza di massa in tutto il mondo, incluso guerre, conflitti armati, violazione dei diritti umani e terrorismo. Affrontare concretamente tali problematiche richiede una comprensione delle motivazioni che spingono la gente alla violenza – spesso sino all'auto-sacrificio, come nel caso degli attentatori suicidi.

Sfortunatamente, il tentativo di sviluppare tale comprensione raramente giunge al di là dei giudizi di valore, delle credenze ideologiche e di vaghe etichettature come “fanatico” o “estremista religioso”. Ciò di cui necessitiamo invece è un' analisi scientifica del fenomeno.

Gli atti di violenza non si verificano nel vuoto. La violenza di massa che caratterizza il conflitto israelo-palestinese, l' undici settembre, l'invasione dell' Afghanistan e dell' Irak, la violazione dei diritti umani in Abu Ghraib e a Guantanamo Bay ed infine il terrorismo internazionale possono essere tutti compresi in termini di forti “motivatori” psicologici che inevitabilmente creano e perpetrano i cicli di violenza.

Io ed i miei colleghi abbiamo condotto uno studio su 1385 musulmani di Bosnia, Serbia, Croazia, Serbi e Croati nei paesi dell'area della ex Yoguslavia, che avevano subito una vasta gamma di eventi bellici, incluso combattimento, tortura, deportazione, dello status di rifugiato e bombardamenti. Abbiamo esaminato gli effetti cognitivi ed emozionali di questi eventi subiti, e questo studio getta una luce sui processi che spingono la gente a trasformare una coesistenza pacifica in una società multietnica in un' orgia di assassinii, torture e altre atrocità (Journal of the American Medical Association, vol 294, p 580).

In circa l' ottanta per cento dei partecipanti è stata riscontrata una mancata comprensione e rielaborazione del trauma subito. Quando è stato loro chiesto come si sentivano a riguardo, il 98% ha espresso un forte senso di ingiustizia e più dell' 80% ha manifestato sofferenza, demoralizzazione, rabbia, perdita di senso vitale, perdita della fiducia negli altri, impotenza o pessimismo. Più di 3 su 5 hanno espresso desideri di vendetta, affermando che se fosse stato loro possibile, avrebbero punito coloro che ritenevano responsabili di tutto questo con le loro stesse mani.

Le persone che sentono un enorme desiderio di vendetta sono quelle i cui cari hanno patito la prigionia, tortura, rapimento o morte violenta. Subito dopo seguono coloro i quali sono stati personalmente rifugiati, deportati, imprigionati e torturati, esposti ai cannoneggiamenti o bombardamenti.

Questi risultati mostrano chiaramente che la guerra e la violenza sono potenti cause che possono costituire, almeno in parte, la motivazione ad ulteriori atti violenti.

Quanto detto si adatta con lo studio sperimentale esposto, il quale mostra che gli uomini e gli animali reagiscono con rabbia e aggressività alle minacce alla loro incolumità fisica e psicologica e che l'aggressione ritorsiva attenua il senso di impotenza sorto dal trauma.

Per una comprensione intuitiva di questo sentimento, immagina semplicemente che la tua casa subisca il raid di una squadra d'assalto e che i tuoi cari vengano umiliati, imprigionati , torturati, rapiti o uccisi.

Molte altre azioni creano sentimenti di oltraggio e impotenza, ed il susseguente desiderio di compiere atti di vendetta.
Tra queste sicuramente ci sono le politiche economiche che creano povertà nel nome degli interessi nazionali, le armi iper-tecnologiche che solcano il cielo nel nome della sicurezza nazionale, le invasioni nel nome della democrazia, le umiliazioni, la prigionia, la tortura e l'uccisione nel nome della guerra al terrore.

In un mondo globalizzato dove le immagini della guerra e delle violazioni dei diritti umani vengono trasmesse direttamente nei salotti della gente, l'effetto del trauma subito [ neuroni specchio, ndt ] deve essere preso in considerazione altrimenti. L'evidenza suggerisce che anche la sola visione di questi eventi, “ di seconda mano”, porta ugualmente risposte cognitive ed emozionali simili a coloro che hanno realmente subito i fatti.

Gli effetti del trauma non conducono solo alla violenza “occhio per occhio”. Tali effetti possono trasformare normali civili in radicali estremi e possono anche portare al loro coinvolgimento diretto nel terrorismo suicida. E' importante capire che tali comportamenti non derivano direttamente da alcuna credenza religiosa; la religione aiuta semplicemente tali azioni fornendo un significato di auto-sacrificio mistico, come, ad esempio, il martirio.

La comprensione del fenomeno della violenza di massa è ulteriormente compromessa dalle strategie psicologiche che, non solo aggravano i sentimenti di vendetta nelle vittime, ma portano all' erosione dei diritti civili e umani nelle società democratiche, sempre nel nome della sicurezza nazionale.

Ad esempio, caratterizzare gli avversari come fanatici, estremisti religiosi o terroristi diabolici che vogliono distruggere i valori occidentali esaspera le paure dell'opinione pubblica e impedisce la comprensione della psicologia che fa da humus a tali atti di terrore,
tutto ciò serve solo a rafforzare il sostegno pubblico per la guerra.
Eufemismi come “danni collaterali” e “tecniche interrogative aggressive” servono a nascondere gli orrori della guerra e le violazioni dei diritti umani agli occhi dell' opinione pubblica.

Fermare la violenza di massa, incluso il terrorismo, richiede una politica che affronti il problema alla radice. Per far cio le nazioni occidentali dovrebbero modificare la propria politica estera in modo da non generare e sostenere cicli di violenza. Sfortunatamente, questa politica appare impossibile in questo frangente della storia umana.

Una soluzione che potrebbe essere a portata di mano è quella della sensibilizzazione dei cittadini al fine di esercitare pressioni che abbiano conseguenze tangibili sui governi. La gente ha anche bisogno di comprendere come il loro consenso alle guerre è prodotto attraverso la disinformazione.

Questa è sia una questione morale sia una questione inerente la sicurezza di milioni di persone. L'escalation dei cicli di violenza di massa potrebbero condurre al terrorismo nucleare.

Si dice spesso che la prima vittima della guerra è la verità. L'antidoto a questo virulento problema è nella migliore comprensione della verità su ciò che sono veramente le guerre ed altre forme di violenza.

Metin Başoğlu is director of the Istanbul Centre for Behaviour Research and Therapy in Turkey

fonte: newscientist