Questo post vuole essere un tentativo di risposta ad una domanda che mi è stata posta, in questo spazio, dall’amica Claretta la quale, nello specifico mi chiedeva : “Perché Totò ha più successo adesso che prima? Forse oggi siamo a corto di veri personaggi come lui a tutto tondo? O siamo più intelligenti e abbiamo finalmente capito chi era e cosa voleva darci ?”
Dare – meglio, tentare di dare – una risposta a questi interrogativi non è semplice. In questo post proverò, a grandi linee, a tratteggiare alcuni aspetti che, a mio giudizio, hanno contribuito a creare questa situazione – e questo paradosso – riservandomi, in altri, di approfondire, vieppiù, alcune argomentazioni che cercherò di svolgere in questo trafiletto. Ho scritto, sopra, paradosso perché non è esattamente vero che Totò riscuota, oggi, un successo maggiore di quand’era in vita. In realtà Totò è sempre stato molto amato e seguitissimo dal pubblico sin dai tempi dell’avanspettacolo e della rivista. Totò nasce come uomo di avanspettacolo. Anni e anni di gavetta nei teatri d’Italia gli consentirono di entrare in possesso di un bagaglio tecnico notevolissimo che assorbiva, metabolizzava e reinterpretava secondo le corde della sua sensibilità di uomo prima ancora che di artista. Durante la guerra, poi, Totò si accompagnò, tra gli altri, ad Anna Magnani con la quale formò una compagnia teatrale famosissima e seguitissima. Questo sodalizio artistico andò in frantumi con l’avvento della cinematografia post-bellica poiché mentre la Magnani intraprese la strada di un cinema impegnato,Totò focalizzò la sua produzione cinematografica su film decisamente più leggeri e commerciali. Ma anche questa affermazione non è del tutto vera poiché pellicole meno frivole – per non dire decisamente di spessore – Totò, in quel periodo, ne interpretò diverse. Nel 1950 collaborò con Eduardo De Filippo nella ritrascrizione cinematografica della commedia “Napoli milionaria” ; nel 1951, Con Steno e Monicelli, Totò fu il protagonista principale ne “Totò e i sette re di Roma” ed il co-protagonista di Guardie e ladri ; nel 1952 girò, con Roberto Rossellini, “Dov’è la libertà” e, nello stesso anno, fu il mattatore del primo film italiano girato completamente a colori – “Totò a colori” – diretto da Steno nel quale si utilizzò una tecnica tutta nostrana, poi abbandonata, denominata ferraniacolor che contemplava l’utilizzo di luci molto forti sul set ; in ogni caso questo fu un riconoscimento molto prestigioso concesso all’attore dal mondo cinematografico ; ancora : nel 1954 fu diretto da Vittorio De Sica nel primo episodio della saga “L’oro di Napoli” nell’episodio “Il guappo” e, sempre nel 1954, fu il protagonista di uno degli episodi, “La patente”, di un altro lungometraggio, “Questa è la vita”, diretto da Luigi Zampa ; nel 1955 fu, insieme ad un mostro sacro del teatro e del cinema italiano, Paolo Stoppa, il co-protagonista di “Siamo uomini o caporali” diretto da Camillo Mastrocinque ed, infine, nel 1958, interpretò la parte di uno scassinatore di casseforti, Dante Cruciani, nel film “I soliti ignoti” diretto, ancora una volta, da Mario Monicelli in un cast che contemplava, fra gli altri, Carla Gravina, Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Vittorio Gassman. Probabilmente, a naso, me ne sfugge ancora qualcheduno ; ma qualche “omissione” nulla toglie all’economia della mia analisi. Totò, quindi, fino ad un certo periodo, annovera, nella sua produzione artistica, film di cassetta ma anche film di notevolissimo impegno alcuni dei quali fanno parte integrante della storia della cinematografia italiana. Un piccolo inciso va speso proprio per l’ultimo film menzionato. Quando Totò gira “I soliti ignoti” siamo nel 1958, appunto, e l’attore ha appena compiuto i sessanta anni. Nelle intenzioni di Monicelli questa pellicola voleva essere “anche” una sorta di “passaggio del testimone” tra la generazione “bellica” – quella di Totò – che aveva raggiunto la notorietà prima e durante la guerra – a quella “post bellica” – quella dei Mastroianni e dei Gassman – che si stava affacciando al proscenio della ribalta proprio in quegli anni. Fino a quel momento, quindi, la figura di Totò non soltanto riveste una connotazione artistica pregevole ma persiste, nei suoi confronti, una discreta considerazione da parte dei cineasti e della critica. L’anno successivo, però, (siamo nel 1959, l’attore ha compiuto sessantuno anni) invitato da Mario Riva al varietà “Il musichiere” Totò si lascia sfuggire un improvvido “Viva Lauro !” suffragato, dopo un rimbrotto del conduttore, da una ulteriore postilla detta, quasi, a mezza voce “A me mi piace Lauro”. Per chi non lo sapesse, Achille Lauro era sindaco di Napoli nonché proprietario e presidente della squadra di calcio locale – un Berlusconi ante litteram per così dire – uomo discusso e discutibilissimo di chiara e provata fede monarchica. Questa attestazione di simpatia politica per il “comandante” – Achille Lauro era soprannominato il comandante, appunto, perché titolare delle flotte omonime – che Totò espresse, in maniera così fragorosa, davanti a milioni di telespettatori, fu un gesto che l’attore pagò in maniera molto salata tant’è che, dal piccolo schermo, fu bandito per circa sei anni in quanto, se non ricordo male, la sua successiva partecipazione ad un varietà e, quindi il suo ritorno in televisione, risale al 1965 in “Studio uno” in compagnia di Mina. Ma se questo ostracismo che Totò subì sul piccolo schermo non gli precluse affatto l’affetto del pubblico e gli incassi ai botteghini in quanto, sebbene non comparisse più in televisione, i suoi lungometraggi continuavano a riscuotere sempre un larghissimo seguito di spettatori, gli invise, però, definitivamente la critica. La critica cinematografica di quegli anni, e non solo di quelli per la verità, era costellata da una militanza politica assiderante. Gli esponenti maggiori e più autorevoli erano di sinistra e si richiamavano, espressamente e politicamente, al partito comunista. La pubblica professione di simpatia politica per un reazionario quale era, o comunque appariva, agli occhi della intellighenzia di sinistra un personaggio come Achille Lauro non poteva non passare inosservata. Da questo momento in poi assistiamo, in maniera caustica e violentissima, ad un profluvio di recensioni di una ferocia inaudita che, come d’incanto, hanno anche una sorta di retroattività. Totò diventa, all’istante, un prodotto volgare, qualunquista, gretto, un mero guitto di bassa lega. E questa parossistica caccia alle streghe – di stampo stalinista – non soltanto non accenna a placarsi con gli anni ma, se possibile, aumenta in corrispondenza del seguito che Totò preserva ed, anzi, consolida. Totò è una figura fuorviante e perniciosa per la società italiana perché distoglie le masse dalla presa di coscienza di classe edulcorandone lo spirito rivoluzionario ed anti borghese. E’ un mero strumento del sistema e, come tale, va, artisticamente, annientato, ridicolizzato, distrutto. Fare pubblica professione di simpatia per Totò è, politicamente, scorretto. E’ un ostracismo culturale che, in ambito cinematografico, subiscono molti artisti in quegli anni. Totò è quello che paga il prezzo più alto ; ma ce ne sono anche altri che, in questa sorta di crociata moralizzatrice, segnano il passo. Uno di questi è Gianni Agus reo di aver fatto parte della repubblica sociale italiana che, per poter lavorare, è costretto, fino alla fine degli anni settanta, ad interpretare le parti più abbiette che i registi gli assegnano. Dal gerarca fascista in “I due marescialli” al capoufficio aguzzino nella produzione televisiva “Giandomenico Fracchia”. Artisticamente parlando, quindi, Totò è un uomo finito. Del resto anche la sua età anagrafica non lo aiuta punto. L’attore ha superato, lo abbiamo visto, da poco i sessanta anni e pare avviarsi al viale del tramonto e una assordante cortina di silenzio sembra avvilupparlo ineluttabilmente.
Dare – meglio, tentare di dare – una risposta a questi interrogativi non è semplice. In questo post proverò, a grandi linee, a tratteggiare alcuni aspetti che, a mio giudizio, hanno contribuito a creare questa situazione – e questo paradosso – riservandomi, in altri, di approfondire, vieppiù, alcune argomentazioni che cercherò di svolgere in questo trafiletto. Ho scritto, sopra, paradosso perché non è esattamente vero che Totò riscuota, oggi, un successo maggiore di quand’era in vita. In realtà Totò è sempre stato molto amato e seguitissimo dal pubblico sin dai tempi dell’avanspettacolo e della rivista. Totò nasce come uomo di avanspettacolo. Anni e anni di gavetta nei teatri d’Italia gli consentirono di entrare in possesso di un bagaglio tecnico notevolissimo che assorbiva, metabolizzava e reinterpretava secondo le corde della sua sensibilità di uomo prima ancora che di artista. Durante la guerra, poi, Totò si accompagnò, tra gli altri, ad Anna Magnani con la quale formò una compagnia teatrale famosissima e seguitissima. Questo sodalizio artistico andò in frantumi con l’avvento della cinematografia post-bellica poiché mentre la Magnani intraprese la strada di un cinema impegnato,Totò focalizzò la sua produzione cinematografica su film decisamente più leggeri e commerciali. Ma anche questa affermazione non è del tutto vera poiché pellicole meno frivole – per non dire decisamente di spessore – Totò, in quel periodo, ne interpretò diverse. Nel 1950 collaborò con Eduardo De Filippo nella ritrascrizione cinematografica della commedia “Napoli milionaria” ; nel 1951, Con Steno e Monicelli, Totò fu il protagonista principale ne “Totò e i sette re di Roma” ed il co-protagonista di Guardie e ladri ; nel 1952 girò, con Roberto Rossellini, “Dov’è la libertà” e, nello stesso anno, fu il mattatore del primo film italiano girato completamente a colori – “Totò a colori” – diretto da Steno nel quale si utilizzò una tecnica tutta nostrana, poi abbandonata, denominata ferraniacolor che contemplava l’utilizzo di luci molto forti sul set ; in ogni caso questo fu un riconoscimento molto prestigioso concesso all’attore dal mondo cinematografico ; ancora : nel 1954 fu diretto da Vittorio De Sica nel primo episodio della saga “L’oro di Napoli” nell’episodio “Il guappo” e, sempre nel 1954, fu il protagonista di uno degli episodi, “La patente”, di un altro lungometraggio, “Questa è la vita”, diretto da Luigi Zampa ; nel 1955 fu, insieme ad un mostro sacro del teatro e del cinema italiano, Paolo Stoppa, il co-protagonista di “Siamo uomini o caporali” diretto da Camillo Mastrocinque ed, infine, nel 1958, interpretò la parte di uno scassinatore di casseforti, Dante Cruciani, nel film “I soliti ignoti” diretto, ancora una volta, da Mario Monicelli in un cast che contemplava, fra gli altri, Carla Gravina, Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori e Vittorio Gassman. Probabilmente, a naso, me ne sfugge ancora qualcheduno ; ma qualche “omissione” nulla toglie all’economia della mia analisi. Totò, quindi, fino ad un certo periodo, annovera, nella sua produzione artistica, film di cassetta ma anche film di notevolissimo impegno alcuni dei quali fanno parte integrante della storia della cinematografia italiana. Un piccolo inciso va speso proprio per l’ultimo film menzionato. Quando Totò gira “I soliti ignoti” siamo nel 1958, appunto, e l’attore ha appena compiuto i sessanta anni. Nelle intenzioni di Monicelli questa pellicola voleva essere “anche” una sorta di “passaggio del testimone” tra la generazione “bellica” – quella di Totò – che aveva raggiunto la notorietà prima e durante la guerra – a quella “post bellica” – quella dei Mastroianni e dei Gassman – che si stava affacciando al proscenio della ribalta proprio in quegli anni. Fino a quel momento, quindi, la figura di Totò non soltanto riveste una connotazione artistica pregevole ma persiste, nei suoi confronti, una discreta considerazione da parte dei cineasti e della critica. L’anno successivo, però, (siamo nel 1959, l’attore ha compiuto sessantuno anni) invitato da Mario Riva al varietà “Il musichiere” Totò si lascia sfuggire un improvvido “Viva Lauro !” suffragato, dopo un rimbrotto del conduttore, da una ulteriore postilla detta, quasi, a mezza voce “A me mi piace Lauro”. Per chi non lo sapesse, Achille Lauro era sindaco di Napoli nonché proprietario e presidente della squadra di calcio locale – un Berlusconi ante litteram per così dire – uomo discusso e discutibilissimo di chiara e provata fede monarchica. Questa attestazione di simpatia politica per il “comandante” – Achille Lauro era soprannominato il comandante, appunto, perché titolare delle flotte omonime – che Totò espresse, in maniera così fragorosa, davanti a milioni di telespettatori, fu un gesto che l’attore pagò in maniera molto salata tant’è che, dal piccolo schermo, fu bandito per circa sei anni in quanto, se non ricordo male, la sua successiva partecipazione ad un varietà e, quindi il suo ritorno in televisione, risale al 1965 in “Studio uno” in compagnia di Mina. Ma se questo ostracismo che Totò subì sul piccolo schermo non gli precluse affatto l’affetto del pubblico e gli incassi ai botteghini in quanto, sebbene non comparisse più in televisione, i suoi lungometraggi continuavano a riscuotere sempre un larghissimo seguito di spettatori, gli invise, però, definitivamente la critica. La critica cinematografica di quegli anni, e non solo di quelli per la verità, era costellata da una militanza politica assiderante. Gli esponenti maggiori e più autorevoli erano di sinistra e si richiamavano, espressamente e politicamente, al partito comunista. La pubblica professione di simpatia politica per un reazionario quale era, o comunque appariva, agli occhi della intellighenzia di sinistra un personaggio come Achille Lauro non poteva non passare inosservata. Da questo momento in poi assistiamo, in maniera caustica e violentissima, ad un profluvio di recensioni di una ferocia inaudita che, come d’incanto, hanno anche una sorta di retroattività. Totò diventa, all’istante, un prodotto volgare, qualunquista, gretto, un mero guitto di bassa lega. E questa parossistica caccia alle streghe – di stampo stalinista – non soltanto non accenna a placarsi con gli anni ma, se possibile, aumenta in corrispondenza del seguito che Totò preserva ed, anzi, consolida. Totò è una figura fuorviante e perniciosa per la società italiana perché distoglie le masse dalla presa di coscienza di classe edulcorandone lo spirito rivoluzionario ed anti borghese. E’ un mero strumento del sistema e, come tale, va, artisticamente, annientato, ridicolizzato, distrutto. Fare pubblica professione di simpatia per Totò è, politicamente, scorretto. E’ un ostracismo culturale che, in ambito cinematografico, subiscono molti artisti in quegli anni. Totò è quello che paga il prezzo più alto ; ma ce ne sono anche altri che, in questa sorta di crociata moralizzatrice, segnano il passo. Uno di questi è Gianni Agus reo di aver fatto parte della repubblica sociale italiana che, per poter lavorare, è costretto, fino alla fine degli anni settanta, ad interpretare le parti più abbiette che i registi gli assegnano. Dal gerarca fascista in “I due marescialli” al capoufficio aguzzino nella produzione televisiva “Giandomenico Fracchia”. Artisticamente parlando, quindi, Totò è un uomo finito. Del resto anche la sua età anagrafica non lo aiuta punto. L’attore ha superato, lo abbiamo visto, da poco i sessanta anni e pare avviarsi al viale del tramonto e una assordante cortina di silenzio sembra avvilupparlo ineluttabilmente.