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martedì 24 luglio 2012

Il pazzo e il pendolo


"Un esercito deve mettersi in moto in buon ordine.
Se questo non è buono minaccia sciagura."

 
Nel pomeriggio afoso tre ragazzini, attorno ai dieci anni, passarono ciarlando sotto la finestra aperta.

Due erano in bici, lindi e pinti e gelatinati, mangiavano un gelato ma sembravano seri e annoiati come un adulto qualunque; il terzo seguiva i due a piedi sollevando una nube di polvere al passo.

Ti portiamo con noi al mercatino”; disse uno dei biciclettati.
Puoi venire con noi, ma, senza crediti non puoi comprare niente, puoi solo vedere”, apostrofò, smorfiosamente, dall'altro ciclo il secondo.

Già, puoi solo guardare”, rincarò con aria canzonatoria il primo.

Il terzo ragazzino ciondolando sui piedi, avanzava in una stramba danza di passi, sicuramente più arruffato dei due Binda in erba, aveva però un soave sorriso perennemente stampato sulla bocca, rispose:
Non mi interessa un bel niente di comprare, voglio solo riempirmi gli occhi di cianfrusaglie”...

Edgar Alpo si svegliò al suono di quella diatriba fanciullesca, e si accorse di essere in un letto situato in una casa del quartiere residenziale, esclusivo albergo del ghota cittadino.
La casa era desolatamente vuota, tutto quello che ricordava erano un paio di labbra arancioni che lo portavano via,...poi tutto un viluppo di umori, carni, respiri e la più alta forma di energia elettromagnetica che due esseri organici sono in grado di produrre... due kundalini che si avviluppano come serpi attorno al fulcro, irradiando ad libitum vibrazioni di senso nel cosmo.

Crogiolandosi in quei densi, e ancor palpitanti, ricordi non si decise affatto a venir via da quelle lenzuola se non quando si rese conto di essere prigioniero in quella “gabbia dorata”... nessuno poteva entrare o uscire dai quartieri residenziali senza l'autorizzazione o l'accompagnamento di un residente; pena la vaporizzazione!!!

Un'altra giornata di lavoro persa...del resto cominciava proprio a detestare la routine del centro olo-fù. Cominciò a guardarsi intorno: era in una vasta camera da letto disposta a soggiorno con ampie finestre sulla vegetazione circostante, alquanto asettica, come si conviene all'arredamento post minimalista radical chic degli alti papaveri di Urbania. Alcuni grandi tele astratte, qualche scultura insensata, oggetti improbabili e poca mobilia: un anonimato asettico.

Il dispositivo tri-olo-vù era in stand-by e c'era un olovideo in attesa.

-Play-

Due labbra arancioni si materializzarono in forma olografica assieme all'involucro possessore di cotanta bocca:
Lasciami un recapito, potrei aver bisogno di te,..stavo fondendo i circuiti...puoi uscire tranquillamente, lo scanner di quartiere ha la tua impronta retinica nel database, bacio”.
L'ologramma svanì in un attimo, concretizzando l'apparenza di quella visione in un vuoto d'ambiente.

Euforicamente lobotomizzato da quella illusoria visione che lo aveva introiettato nei meandri delle pulsioni appena vissute, Edgar, lasciò il suo recapito e si apprestò ad uscire.
Non gli era mai capitato fino ad ora di mettere piede nel quartiere residenziale di Urbania: sembrava un gigantesco, asettico, ospedale, sì, appariva proprio come un luogo sterile.
Ovunque ti muovessi, droni di sorveglianza si avvicinavano per leggerti la retina, poi volavano via.
Sulle aiuole, micro-droni impollinatori permettevavano l'altrimenti impossibile proliferazione della flora, dopo la scomparsa degli insetti organici.
Uscire da quel posto fu assai liberatorio, quasi come per L. F. Celine il rientro in manicomio a sfuggire l'insana realtà del mondo, che sembrava proprio in viaggio al termine della notte.
Sul biglietto lasciato sul letto aveva anche scritto:

La tua bocca è la tana dei miei pensieri...”


fine settimo episodio