"Un esercito deve mettersi in moto in buon ordine.
Se questo non è buono minaccia sciagura."
Nel pomeriggio afoso tre
ragazzini, attorno ai dieci anni, passarono ciarlando sotto la
finestra aperta.
Due erano in bici, lindi e
pinti e gelatinati, mangiavano un gelato ma sembravano seri e
annoiati come un adulto qualunque; il terzo seguiva i due a piedi
sollevando una nube di polvere al passo.
“Ti portiamo con noi al
mercatino”; disse uno dei biciclettati.
“Puoi venire con noi,
ma, senza crediti non puoi comprare niente, puoi solo vedere”,
apostrofò, smorfiosamente, dall'altro ciclo il secondo.
“Già, puoi solo
guardare”, rincarò con aria canzonatoria il primo.
Il terzo ragazzino
ciondolando sui piedi, avanzava in una stramba danza di passi,
sicuramente più arruffato dei due Binda in erba, aveva però un
soave sorriso perennemente stampato sulla bocca, rispose:
“Non mi interessa un bel
niente di comprare, voglio solo riempirmi gli occhi di
cianfrusaglie”...
Edgar Alpo si svegliò al
suono di quella diatriba fanciullesca, e si accorse di essere in un
letto situato in una casa del quartiere residenziale, esclusivo
albergo del ghota cittadino.
La casa era desolatamente
vuota, tutto quello che ricordava erano un paio di labbra arancioni
che lo portavano via,...poi tutto un viluppo di umori, carni, respiri
e la più alta forma di energia elettromagnetica che due esseri
organici sono in grado di produrre... due kundalini che si
avviluppano come serpi attorno al fulcro, irradiando ad libitum
vibrazioni di senso nel cosmo.
Crogiolandosi in quei
densi, e ancor palpitanti, ricordi non si decise affatto a venir via
da quelle lenzuola se non quando si rese conto di essere prigioniero
in quella “gabbia dorata”... nessuno poteva entrare o uscire dai
quartieri residenziali senza l'autorizzazione o l'accompagnamento di
un residente; pena la vaporizzazione!!!
Un'altra giornata di
lavoro persa...del resto cominciava proprio a detestare la routine
del centro olo-fù. Cominciò a guardarsi intorno: era in una vasta
camera da letto disposta a soggiorno con ampie finestre sulla
vegetazione circostante, alquanto asettica, come si conviene
all'arredamento post minimalista radical chic degli alti papaveri di
Urbania. Alcuni grandi tele astratte, qualche scultura insensata,
oggetti improbabili e poca mobilia: un anonimato asettico.
Il dispositivo tri-olo-vù
era in stand-by e c'era un olovideo in attesa.
-Play-
Due labbra arancioni si
materializzarono in forma olografica assieme all'involucro possessore
di cotanta bocca:
“Lasciami un recapito,
potrei aver bisogno di te,..stavo fondendo i circuiti...puoi uscire
tranquillamente, lo scanner di quartiere ha la tua impronta retinica
nel database, bacio”.
L'ologramma svanì in un
attimo, concretizzando l'apparenza di quella visione in un vuoto
d'ambiente.
Euforicamente
lobotomizzato da quella illusoria visione che lo aveva introiettato
nei meandri delle pulsioni appena vissute, Edgar, lasciò il suo
recapito e si apprestò ad uscire.
Non gli era mai capitato
fino ad ora di mettere piede nel quartiere residenziale di Urbania:
sembrava un gigantesco, asettico, ospedale, sì, appariva proprio
come un luogo sterile.
Ovunque ti muovessi, droni
di sorveglianza si avvicinavano per leggerti la retina, poi volavano
via.
Sulle aiuole, micro-droni
impollinatori permettevavano l'altrimenti impossibile proliferazione
della flora, dopo la scomparsa degli insetti organici.
Uscire da quel posto fu
assai liberatorio, quasi come per L. F. Celine il rientro in
manicomio a sfuggire l'insana realtà del mondo, che sembrava proprio
in viaggio al termine della notte.
Sul biglietto lasciato sul
letto aveva anche scritto:
“La tua bocca è la tana
dei miei pensieri...”