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mercoledì 22 febbraio 2012

Un mercoledì delle ceneri nello spazio

Era l'ora della sigaretta. Poteva concedersene, a norma di regolamento, solo due al giorno, ma Tom era ormai un vecchio pilota, la sua obbedienza alle regole aveva raggiunto il giusto limite di scontrosità. Inoltre, dopo la solita colazione a base di arrosto d'alghe, come non fumare almeno un paio di oneste "Gauloises" l'una in fila all'altra, quelle vere, contrabbandate, non la paglia fornita dal governo?
Accese, distendendosi in pace contro lo schienale imbottito del posto-comandi. Era abituato al silenzio, non ricordava neppur più i tempi in cui aveva superato lo choc che provoca l'assoluta assenza di rumori nel vuoto celeste. Anzi, il silenzio lo aiutava a pensare al cane, al fucile, alla palude, alla ragazza dell'autunno prossimo, quando in vacanza avrebbe potuto camminare, annusare, dormire senza pillole, masticare carne autentica.
La luce che gli scoppiò negli occhi, improvvisa, per poco non gli fece bruciare le dita che sostenavano la sigaretta. Era un punto luminoso appena percettibile, però drittissimo davanti a lui nel monotono nero dei cieli. Sembrava immobile, ma Tom sapeva che anche lui poteva risultare immobile alla fonte di quella luce, semmai essa la stesse osservando...
Bestemmiò fra i denti, più di sorpresa che di paura. Era il suo settecentocinquantatreesimo viaggio, ormai un lupo, un anziano del reggimento delle guardie spaziali. Il suo lavoro consisteva in un centinaio di orbite da compiere lungo un settore limitato della galassia. " Siamo più che altro degli spazzini che vanno su e giù e neppure raccattano un bidone" s'era detto spesso, ed ecco che qualcosa si faceva vivo davanti a lui, per ora un punto di luce, ma tra poco, forse...
Staccò la guida automatica e si tenne pronto a compiere una leggera deviazione. O avrebbe fatto meglio a oscillare? a fermarsi? Sentì comunque che, mutando anche di pochissimo la rotta, avrebbe costretto quel "qualcosa" a inventare anche lui una mossa.
- Non fare il cretino, Tom - gli disse seccamente negli orecchi la voce del capitano Ivan Ilic dalla piattaforma spaziale sublunare.
- Non faccio il cretino. Mi chiamo Tom Twain, il mio veicolo porta il numero 2209/S, sono alla tredicesima orbita di questo pattigliamento e mentre tutti voi ve la spassate a due passi dalla base lunare, ho qui davanti una luce. Che faccio?
- Senti, Twain, se vuoi scherzare...
- Macchè scherzo! - lo interroppe furioso Tom. - Adesso la luce si è molto avvicinata. Senta, capitano, io direi di deviare di due gradi, almeno per capire se sono stato avvistato. D'accordo?
Ma qui il crepitio della radio cessò. Perduto il contatto, Tom deviò piegando appena e rizzandosi quando vide apparire nell'angolo dell'occhio le tracce luminose della sua scia. Subito anche la luce davanti piegò, riprendendo poi posizione, dritta di fronte al suo naso. Come se la manovra che ho fatto me la fossi vista riflessa in uno specchio, pensò Tom Twain: e allora dato che lo specchio non c'è, quel qualcosa esiste, mi ha avvistato, è deciso a coordinarsi secondo quel che faccio io, e più o meno ci si troverà a due passi, tra poco.
Il lieve sudore che gli colava sulle palpebre non poteva essere più fastidioso. Tra un minuto al massimo saremo muso a muso, riuscì a connettere Tom: e allora?
Senza accorgersene, provò a scuotere l'apparecchio radio. Inservibile davvero.
Basta, s'accasciò di colpo Tom, arrestando il motore, e lì fermo, con due grosse lacrime di sudore che gli scendevano lungo il naso, rimase a guardare.
Anche quella luce parve improvvisamente arrestarsi, oscillò, ora il suo fuoco grosso roteava su se stesso, come punta impegnata a trapanare il buio. Poi riprese la corsa. Tom si asciugò con rabbia la fronte e le palpebre, sentendosi prigioniero del calore che gli ribolliva dentro la tuta. Si lasciò andare contro il sedile, in attesa.
- Sono Michele - disse la voce, sillabando. Una carezza di voce, ma che gli si rigirò nel sangue aumentandone il calore fino a renderlo insopportabile.
Veniva da dentro di lui, dal suo stesso corpo, scendendogli nel cervello, eppure suonava alta, chiara, esterna, come se lui e quell'altro stessero pacificamente parlando, soli, su una spiaggia deserta.
- Rispondi a me che ti chiamo. Rispondi a Michele - accarezzò ancora la voce.
Sembrava ridesse, tant'era lieta, precisa, concretamente vicina e di conforto. Ma invano Tom Twain cercò di schiudere le labbra disseccate.
- Così come mi vedi, ti sono amico. Sono incapace di male. Dimmi il tuo nome - invitò la voce. - Non sono onnisciente. pooso parlarti, farmi udire, ma non posso sapere chi sei. Dimmi se sei uomo o altra specie.
- Uomo. Sì. Tom Twain - sillabò fra i denti - è il mio nome. Tom Twain. E già sono un uomo.
- Dio sia ringraziato e possa accoglierti in gloria. Io sono Michele, uno dei suoi arcangeli. Non credevo più di riuscire in questa impresa, e incontrare l'uomo. Da migliaia di anni giro i cieli, e oggi ho raggiunto questa gioia - rise la voce apertamente e il colore di quella luce davanti al muso del suo veicolo parve a Tom accendersi ancora di più.
Devo parlare con la base, devo parlare col capitano, devo togliermi subito di qui, si perdeva Tom in mille colvunsioni mentali.
Ma: - Non fare così - disse la voce. - Tu hai paura. T'ho avvertito, sono incapace di male. Perchè hai paura? Se sei un uomo, non devi temere Michele.
Poi non parlò più, rise. Una vera risata, dolce, tranquilla, felice.
- Sì, sento che hai paura. Ma sei solo, non puoi comunicare coi tuoi, gli strumenti della tua macchina non funzionano più. Colpa mia. La mia luce è troppo potente, se ti sto vicino i tuoi comandi non ti obbediscono. puoi provare.
Meccanicamente Tom schiacciò qualche pulsante, che cedette invano sotto le dita.
- Vedi? Ora possiamo, noi due...
- Via, via - urlò Tom di colpo, preso alla gola dal terrore: - Via o ti ammazzo. Giuro che t'ammazzo!
Il riso della voce si spense in un leggero sospiro.
- Sei proprio un uomo, povero Tom Twain - rispose infine: - Non sai dire altro. Calmati, invece. Vuoi vedermi? Vuoi che ti dimostro il mio amore con una vera presenza? Io sono fatto di luce, ma se lo desideri posso assumere una forma, per aiutarti a capire...
 - No, no! - urlò Tom coprendosi gli occhi: - Va' fuori dai piedi, va' via. Non voglio vedere niente!
- Mi fai male - disse allora la voce: - se seguiti a parlarmi in quel modo sarò costretto ad allontanarmi. Ti prego, non rispondere subito, ascoltami: è da tanto che ti cerco, che desidero parlarti. T'ho invocato e inseguito per troppo tempo. Sono uno degli ultimi angeli che il Creatore invia ancora nei cieli. Le nostre imprese, i nostri viaggi stanno per terminare. Sii buono, e non respingermi. Se anch'io fallisco, non viaggerò più, e resterò con gli altri angeli nel Regno, in gloria di Dio, sì, ma senza di voi, che avreste dovuto essere i nostri fratelli...
Tom guardava, ascoltava, ma con le ultime forze cercava disperatamente di raggiungere al fondo di una tasca le pillole energetiche. Sentiva tra le dita il tubetto, ma non riusciva ancora a stringerlo. Sì, la pillola era quello che gli ci voleva, una scarica di ottimismo capace di farlo uscire da quell'allucinazione o di dargli la forza per sbattere via quel coso. Tendendo i nervi, riuscì finalmente a stringere nel palmo guantato il tubetto e tirarlo fuori. ora non gli restava che aprirlo e inghiottire, ma la luce davanti a lui sembrava avesse la forza di rallentare ogni suo movimento, di annebbiargli ogni spinta interna.
- Non sei gentile - riprese la voce, ma come fatta più stanca: - Perchè non parli? Dovresti essere felice di incontrare il tuo angelo. Potrei essere un buon Custode per te. Perchè non mi parli della tua vita, dei tuoi mali, della tua famiglia? Abbiamo tanto tempo...
- Senti, Michele o chi diavolo sei - reagì Tom: - Hai visto cosa ho fatto adesso. Ho inghiottito un energetico, un affare che farebbe ridere anche un pollo infilato allo spiedo... Dammi retta, fila via, non fidarti della mia pazienza...
- Dio di misericordia, aiutami - implorò la voce. - E tu, Tom Twain, sii buono. Hai tante cose da spiegarmi. Nessuno sa più niente di voi uomini. Perchè avete voluto essere abbandonati? E perchè non vuoi vedermi? Se mi vedessi...
- Se ti muovi, sparo. Giuro che sparo - urlò Tom, ma con una freddezza nuova: - Non voglio vedere il tuo muso, l'hai capito? Me ne frego di te, che tu sia Michele di nome o Balordo di cognome! Togliti di mezzo...
- Non ti capisco - lamentò la voce: - Perchè non mi ami? Dovresti potermi amare...
- Ci sarà stato uno sbaglio nel motore - rise Tom, elettrico, già godendo dei benefici dell'energetico.
- Devo essere anche sfortunato. Non posso credere che gli uomini siano tutti come te - sospirò la voce.
- Senti, io sono dei meglio. Nessun debito, mai una grana, la mia strada e basta. Un altro al posto mio ti avrebbe già messo due missili in pancia. Sempre stato un fesso, io. Ma ora: fila! - fu la risposta.
- Va bene , Tom Twain, sia fatta la tua volontà. Però io posso dimostrarmi in altro modo, se ancora lo desideri. Tu chiedi, tu prendi: ti offrirò il miracolo. E allora...
- Il miracolo sarebbe che sparissi da lì davanti. Oppure farmi avere l'età di un aspirante-pilota e la pensione di un generale. Ti va?
- Ah, Tom, sei troppo mortale - pianse la voce, incrinandosi tra ogni sillaba come quella di un bambino.
- E adesso cosa ti piglia? Piangi? - stupì Tom: - Bravo. Veder piangere m'ha sempre divertito. E poi basta: abbiamo sprecato troppo tempo.
- Addio, Tom, se è questo che desideri - disse la voce in un soffio: - Vado. Però non posso lasciarti senza una benedizione. Accettala. Ora guarda e ricorda!
Il globo luminoso parve accendersi ancora di più, riacquistando i suoi vaghi contorni. Fu un attimo: perchè appena l'immensa mano azzurrina trasparente apparve in morbido cenno di saluto e d'affetto come chioma d'albero infinito spinto a scalare e toccare gli spazi neri del cielo, Tom Twain urlando pazzo di rabbia e terrore schiacciò il doppio pulsante dei missili. Il veicolo ebbe un sobbalzo violentissimo, il globo luminoso fu di colpo lontano, ben più avanti delle misere scie lumacose dei proiettili che cercavano d'inseguirlo. In un batter di ciglia risultò inghiottito nel buio.

Giovanni Arpino, da "La babbuina e altre storie", Mondadori