SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

*

venerdì 17 giugno 2011

Il caso Santoro ovvero gli strani conflitti di interessi, 4^ parte.

L’ingresso dirompente sulla scena di talk-show preconfezionati alla bisogna a fini propagandistici necessita, per poter assolvere adeguatamente a questa nuova funzione, di un piazzista in grado di monopolizzare la scena e, alla fin fine, di svolgere un ruolo trainante per gli inserzionisti pubblicitari, altrimenti latitanti, che con i loro sponsor sovvenzionano il programma.
E’ stato così per Funari i cui format – che presero piede nelle reti di Berlusconi – impazzarono, letteralmente, a cavallo della metà degli anni ’80.
D’altro canto lo stesso Funari veniva da una scuola televisiva di prim’ordine – la Rai, tanto per intenderci – e con la sua trasmigrazione sulle reti del cavaliere trovò quello spazio – altrimenti negatogli – che lo rese uno dei business man più remunerativi di quegli anni.
Funari, per la verità, non fu il solo a fare armi e bagagli ed allocarsi sotto l’egida del biscione perché, proprio nel medesimo periodo, Berlusconi inaugurò una qual sorta di campagna acquisti ante-litteram che porterà, sotto la madonnina, personaggi storici del piccolo schermo quali, fra gli altri, Corrado Mantoni, Sandra Mondani, Raimondo Vinello, Iva Zanicchi, Mike Buongiorno e, a fasi alterne, lo stesso Pippo Baudo.
Quando, poi, il cavaliere fondò il suo movimento e decise di entrare personalmente in politica – nel gennaio del ’94 – il dado era stato, per così dire, già tratto in quanto che lo scippo ai danni della televisione di stato era già stato, ampiamente, consumato.
Ma sostenere – come pure è stato sostenuto – a posteriori che il cavaliere avesse sin dagli anni ’80 – ovvero quattordici anni prima ! – posto le basi per l’allestimento del famoso piano di rinascita democratica del venerabile Gelli alla cui direzione si sarebbe dovuto accomodare Bettino Craxi è una corbelleria che non sta né in cielo né in terra anche perché, da buon imprenditore, a Berlusconi interessava capitalizzare la proprietà delle emittenti televisive unicamente per fini di lucro visto che di politica, nel senso più alto del termine, non capiva nulla allora e, ahimè, non è che adesso, pur avendone masticata per diciassette anni, abbia acquisito una dimensione tale da poterlo collocare nell’alveo degli uomini di stato data la sua caratura intellettuale – misera –, la sua personalità – alquanto fragile, per certi versi persino disturbata – nonché la sua statura istituzionale – parimenti assente – che non lo possono ammantare di una veste che non possiede.
Al fondo, quindi, Berlusconi resta quell’imprenditore imprestatosi alla politica ovvero una qual sorta di corpo estraneo al tessuto della classe dirigente di questo paese.
Ma, per converso, non è neanche un epigono di Mussolini né un peronista di plastica ; è la quintessenza dell’italiano medio che si barcamena per preservare i propri interessi.
Punto.
In ogni caso le programmazioni fininvest degli anni antecedenti l’ingresso in politica di Berlusconi – pur connotate dalle peculiarità tipicamente commerciali di una emittente privata – ebbero il pregio di dar voce, per esempio, a dei movimenti altrimenti assenti sul proscenio italiano a cominciare dalla Lega Lombarda di Bossi un partito che, proprio grazie alle reti del cavaliere, cominciò ad avere una visibilità mediatica altrimenti negatagli dalle emittenti di stato in un periodo nel quale il protettore politico di Berlusconi era, non dimentichiamocelo, proprio Bettino Craxi che vedeva, e correttamente da un punto di vista politico, il carroccio con il fumo negli occhi.
La famigerata discesa in campo del cavaliere determinò, ovviamente, una commistione di ruoli fra l’imprenditore – legato, però, mani e piedi al carrozzone politico dell’Italia di quegli anni – e l’uomo politico dando vita a tutte le problematiche attinenti il conflitto di interessi.
La cosa strana, però, è che questo famigerato conflitto già preesisteva in quanto la liberalizzazione delle frequenze radiotelevisive e la loro concessione a soggetti privati terzi era stata appannaggio, negli anni antecedenti, di una caleidoscopica gamma di piccoli imprenditori legati, su scala locale, a doppio maglio alle più variegate componenti politiche.
Il problema, guarda caso, cominciò a profilarsi quando uno di essi – il cavaliere, naturalmente – riuscì a conquistare una notorietà – meglio… visibilità ! – su scala nazionale ; eppure – siamo, è bene ricordarlo, intorno alla metà degli anni ’80 – nessuno solleva questa anomalia.
Perché ?
Probabilmente perché l’occasione – ghiotta – che si profila nell’immediato alla coeva classe dirigente è quella di utilizzare, pro domo sua, questa impresa e capitalizzarla a scopi di propaganda politica.
Che Bettino Craxi sia stato un protettore di Berlusconi è noto.
Ma Berlusconi non era, in fondo, così stupido da legarsi ad un solo referente politico consapevole che un eventuale rovescio di fortuna del leader del partito socialista lo avrebbe messo con le spalle al muro per cui strizzava l’occhio a destra e a manca.
Sulla rete, oggi, circolano molti ritagli delle partecipazioni del leader socialista, nonché degli esponenti più in vista di quegli anni come Claudio Martelli, ad alcune trasmissioni di approfondimento politico messe in onda dalle, allora, reti fininvest.
Latitano, però, clamorosamente quelle nelle quali troneggiavano i radicali, i missini, i democristiani e persino – udite ! udite ! – gli esponenti dell’allora partito comunista.
La fininvest, dunque, era una qual sorta di porto di mare dove chiunque, pagando ovvero partecipando, poteva conquistarsi il suo proscenio mediatico ed il cavaliere – scaltro come pochi altri – aveva interesse a preservare dei rapporti di buon vicinato con tutte le componenti architettoniche della prima repubblica e non certo legarsi ad un solo carro.
Peccato, però, che questo particolare sia, sistematicamente, sottaciuto ed obnubilato alla, invero scarsa, memoria storica dell’elettorato di centrosinistra.
Con la fininvest, quindi, il centrosinistra assunse il medesimo atteggiamento che opererà, più tardi, con la privatizzazione della S.I.P. ai fini, cioè, di preservare quel comparto per poterne, così, usufruire politicamente alla stregua, dunque, della Democrazia Cristiana e, naturalmente, del partito socialista.
Fu l’inchiesta di Mani pulite – che fece saltare tutta l’impalcatura politica di quegli anni – a mettere Berlusconi con le spalle al muro perché a quel punto gli unici interlocutori con i quali avrebbe potuto dialogare erano quelli post-comunisti.
Logica mi induce a pensare che, contestualmente allo smantellamento della classe dirigente della prima repubblica, Botteghe oscure avesse inoltrato alcuni messi al cavaliere per ridiscutere, su un nuovo piano di forza, la ridefinizione dei rapporti fra l’imprenditore Silvio Berlusconi e la nuova classe dirigente politica che – era opinione consolidata in quel periodo – si stava appropinquando alla guida del paese anche perché i fideiussori politici del cavaliere erano saltati come birilli per cui gli ammanchi finanziari del gruppo fininvest rischiavano, seriamente, di porre le basi per una ingiunzione fallimentare dell’impresa tenendo di conto che i vertici del partito democratico della sinistra erano pienamente al corrente del nuovo corso che Craxi stava imprimendo al partito socialista grazie, anche, ad un appoggio politico assai più consistente che stava contrattando proprio con Berlusconi.

Prendere in mano il progetto craxiano e gestire politicamente un gruppo imprenditoriale finanziariamente prossimo allo sfascio era una occasione politica davvero allettante che andava profilandosi alla dirigenza del PDS che avrebbe consentito al partito di poter gestire, da dietro le quinte, la più grossa holding delle telecomunicazini private e condizionare, pesantemente, la nomina dei dirigenti di viale Mazzini.
Gli eventi però, lo sappiamo, presero un altro corso.
E fu, ma guarda un po’, solamente dopo che Berlusconi annunciò la sua famigerata discesa in campo che il gruppo De Benedetti cominciò a tuonare contro quello che presero a definire come conflitto di interessi – una terminologia, pressocché, del tutto sconosciuta agli italiani fino a quel momento – e quant’altro metaforizzando la presenza del cavaliere in politica come l’espressione di una macroscopica anomalia antidemocratica nel sistema Italia laddove, però, la medesima posizione dominante di un soggetto privato in un settore nevralgico come quello delle telecomunicazioni era passato, fino ad allora, del tutto in sordina.
C’è da scommetterci ; se Tronchetti Provera dovesse fondare un nuovo partito a conduzione conservatrice, il gruppo l’Espresso tuonerebbe contro l’ennesimo conflitto di interessi.
Peccato che, da qualche lustro almeno, in Italia sia già presente una anomalia macroscopica che ha consentito ad un vecchio carrozzone di stato fascista di assumere, con una privatizzazione farsa che urla vendetta ed avallata dai vertici del centrosinistra tutto, una posizione dominante contro tutti i principi del libero mercato.
Si chiama Telecom.