Devo ammettere, purtroppo, di essere stato davvero incauto perché appena ho pensato di trovare una smagliatura nella sua linea difensiva, il fermacarte di bronzo di Mussolini tanto per intenderci, ho spostato il baricentro del mio schieramento sulla sua destra – la mia sinistra, naturalmente ! – e lui, con una ripartenza logica velocissima, mi ha folgorato trovandomi completamente sbilanciato. Neanche cinque minuti, insomma, e sono già sotto di un gol ! Rischio di fare una fine meschina alla guida della nazionale di calcio per cui decido di lasciare il pallino del gioco al mio avversario che però, astutamente, rallenta il ritmo e fa possesso palla, estenuante, per linee orizzontali stuzzicandomi onde invogliarmi a portare un pressing alto e trovare dei buchi logici alle mie spalle e castigarmi una seconda volta – cerca, per capirci, di apportare una qual sorta di micidiale uno-due e chiudere il primo tempo in vantaggio ! – per cui, a mia volta, decido, almeno per il momento, di tenere serrate le linee e coprire tutti gli spazi aspettando, sornione, una occasione propizia per riequilibrare il match. D’altro canto anche la sua estenuante logorroicità, ne sono convinto, potrebbe farmi gioco in quanto un possesso palla prolungato potrebbe apportargli un calo di tensione agonistico tale da consentirmi di sorprenderlo con delle repentine folate per linee verticali e, d’altro canto, se lui ha dimostrato, sin dall’inizio, una superiore organizzazione di gioco dalla mia posso vantare, almeno, due fuoriclasse di livello assoluto con i quali intendo, nel corso dell’incontro, giocarmi le mie carte ovvero Sandro Pertini e Marco Travaglio. Lui, invece, da perfido albione, potremmo dire, insiste su Mussolini e sul ventennio consapevole di avere una argomentazione congrua da potergli consentire di tenere il pallino del gioco senza troppi patemi. Ma la partita è lunga e, quindi, decido di assumere un atteggiamento più cauto ed attendista e riprendo, così, ad ascoltarlo. Il fascismo, mi dice, non è stata una dittatura da operetta, come si suole dire, né, tantomeno, un regime imperialista a tarallucci e vino. Queste immagini stereotipate rientrano nel novero di una retorica autocelebrativa e giustificazionista – italiani, brava gente ! tanto per intenderci – tipico della meschinità degli italiani i quali, quando compiono delle porcherie, non hanno neanche il coraggio di assumersi le proprie responsabilità personali né, tantomeno, storiche un malcostume, questo, tipico di tutti i popoli che hanno conosciuto secolari dominazioni straniere tant’è che, ancora oggi, è assai triste consuetudine puntare l’indice contro la classe dirigente – quale che sia, naturalmente – per accusarla dello sfascio del paese rievocando, inconsciamente, le medesime argomentazioni tipiche della società italiana rinascimentale ma con la differenza, sostanziale, che mentre – allora – l’Italia era, effettivamente, un crogiuolo di dominazioni esterofile quando non, sic et simpliciter, estere – Francia, Austria e Spagna su tutte – oggi, viceversa, piaccia o meno il governo e le istituzioni non soltanto sono un fedele riflesso della nostra società civile ma vengono indicate e promosse, almeno formalmente, dall’elettorato stesso. Non si può avocare, continua, la contestuale presenza di una cricca di ladroni per giustificare, ai propri occhi, lo sfascio dei conti pubblici del paese visto che quei mascalzoni sono stati, per decenni, votati e rivoltati dall’elettorato italiano. Lo interrompo cercando di fargli comprendere che la sua interpretazione è un po’ troppo banale e, senza meno, assai poco incisiva per cercare di capire che cosa sia, realmente, accaduto nel paese intorno agli inizi degli anni ’80 ma Bean mi previene asserendo che lui non aveva, in questo contesto, la pretesa – si, l’ha chiamata proprio così : la pretesa ! – di delucidarmi sulla storia recente della repubblica ma, più semplicemente, di aprire un piccolo squarcio sul modus vivendi e pensandi della società italiana che fa parte di una gamma assai più composita e variegata che, però, va sempre a collocarsi nella stereotipata categoria degli italiani brava gente ! di cui sopra e che sta ad indicare di come gli italiani siano, secolarmente, un paese di deresponsabilizzati e, al fondo, perennemente immaturo e questo, lo sottolinea, a prescindere da chi assume le redini della guida politica del vostro paese. Le milizie fasciste – riprende –, le famigerate camicie nere, hanno vergato delle pagine vergognose che però vengono, per così dire, obnubilate ed edulcorate sui testi scolastici quasi fossero state delle allegre combriccole di allegroni che, di tanto in tanto, andavano in giro, magari un pò alticci, a compiere qualche simpatica scorribanda quando la realtà, vera, è di tutt’altro tenore. La cosa, però, decisamente sorprendente è che il proscenio nel quale le milizie diedero il peggio di sé è stato un disgraziatissimo triangolo collimante, grosso modo, proprio con quelle aree nelle quali, alla fine degli anni ’10, imperversò il così detto biennio rosso ovvero l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria, le Marche nonché l’ambito rurale veneto ove si resero protagoniste delle peggiori efferatezze. Strano davvero, continua, in quanto l’humus nel quale si trovavano ad agire era quello meno indicato e propizio vista la preponderanza di militanti rossi altrimenti minoritari, quando non del tutto assenti, in altri contesti della penisola. Sarà un caso, continua, ma proprio in quelle aree nascerà e si diffonderà il movimento partigiano che si ammanterà, in prevalenza, di connotazioni politiche di estrema sinistra e, d’altro canto, il bacino culturale e politico nel quale proprio il duce prese le mosse fu quello del socialismo rivoluzionario. In ogni caso Bean sostiene che il totalitarismo italiano sia stato meno totalitarizzante di altri regimi che, in quegli anni, si imposero in Europa e questo, mi spiega, per due ordini specifici di motivi. Da un lato c’era la monarchia sabauda che svolgeva una funzione moderatrice di natura prettamente politico-istituzionale e, dall’altro, le gerarchie ecclesiastiche che espletavano una similare funzione ma da un punto di vista religioso e, soprattutto, culturale. Mussolini, quindi, non disponeva di una completa libertà di movimento perché ogni qualvolta il suo esecutivo licenziava una legge, qualunque aggiungo, essa doveva essere necessariamente ratificata dalla monarchia e questo iter ha accompagnato sia le riforme costituzionali, frenetiche naturalmente, che l’emanazione delle leggi razziali una delle pagine più vergognose, forse la più indegna sotto un profilo prettamente legislativo, del nostro paese. Certo quelle leggi contemplavano una serie molteplice di scappatoie e di deroghe – dalla militanza pregressa in seno al partito ai matrimoni riparatori e quant’altro – ma se, da un punto di vista concreto, le discriminazioni patite dai cittadini ebraici furono – almeno fino a quando il fascismo preservò il pieno controllo della gestione politica del paese –, senza meno, inferiori rispetto a quelle di altri paesi – non solo la Germania nazionalsocialista, beninteso ! – è pur vero, però, che la stesura e la promulgazione di una legislazione razziale – alla quale collaborarono, in ambito tecnico, giuristi, docenti universitari e costituzionalisti di prim’ordine ed alla cui divulgazione si occuparono, dalle pagine dei loro fogli, giornalisti come Indro Montanelli ed Eugenio Scalfari nonché esponenti politici come Amintore Fanfani ed Aldo Moro – non fu, certo, una cosa di cui andare fieri e di cui promulgare una ricorrenza – come è stato fatto, di recente, per il 150° anniversario dell’unità nazionale, insomma – anche se, va altresì sottolineato, che suddetta legislazione non può essere letta, ed interpretata, con la sensibilità coeva bensì contestualizzata al periodo nella quale venne alla luce in quanto la parola razzismo – nonché tutte le sue derivazioni, naturalmente – si è connotata, oggi, di una valenza molto diversa rispetto a quella che possedeva non più tardi di quarant’anni orsono e se vogliamo fare una disamina corretta delle problematiche attinenti le legislazioni razziali dobbiamo cercare di affrancarci da noi stessi e proiettarci nell’humus – culturale e non solo – di quegli anni per attingerne la corretta valenza interpretativa. Ma l’aspetto, sorprendente direi, su cui Bean intende soffermare la sua attenzione è il rigoroso rispetto delle forme costituzionali nelle quali il fascismo operò durante il ventennio e di cui, mi ha detto, mi darà qualche ulteriore delucidazione nelle prossime note a latere.