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martedì 22 marzo 2011

Muhammad Ali, Joe Frazier e George Foreman, ovvero quando la (S)toria trasvola sul ring, postilla

Siamo arrivati, oramai, quasi alla conclusione di questa lunga panoramica sul mondo della boxe statunitense degli anni '70 anche se poi, a ben vedere, il pugilato è stato un mero canovaccio per inserire delle variazioni sul tema e parlare, così, d'altro. Ho cercato, nelle quindici note precedenti, di focalizzare alcune chiavi per leggere, a grandi linee, la storia recente degli Stati Uniti con specifico riferimento alle componenti afroamericane che sul quadrato, nella categoria dei massimi ma non solo, han sempre avuto una notevole visibilità sin dagli anni '30 quando, sul proscenio della boxe statunitense, si impose Joe Louis e, d'altro canto, in tutto il dopoguerra con la sola eccezione di Rocky Marciano - il quale preservò la corona mondiale dal '52 al '55 ritirandosi dall'attività agonistica invitto - nessun altro boxeur bianco ha mai vergato pagine realmente significative in questa categoria. Abbiamo parlato di modello segregazionista vigente in alcuni stati confederali del sud, un modo diverso, questo, di inquadrare in una ottica più equilibrata le tensioni sociali che pure han pervaso parecchi paesi facenti parte degli Stati Uniti. Abbiamo cercato di parlare di razzismo evidenziando come la xenofobia tout court, pur presente, sia sempre stata una componente insignificante nel novero della storia americana, certo molto mediatizzata ma assai poco allignante nel tessuto sociale e, soprattutto, niente affatto unidirezionale bensì biunivoca.
Abbiamo cercato di superare la visione deamicisiana della tratta degli schiavi dall'Africa agli Stati Uniti così come abbiamo sfiorato, marginalmente invero, l'essenza stessa della schiavitù e di quel che, comunemente, viene inteso come schiavismo.
Abbiamo cercato di dare qualche barlume in più sul modus pensandi degli americani, sul loro americanismo e su alcuni cardini che, in un certo qual senso, presiedono financo alle stesse istituzioni politiche.
Abbiamo, inoltre, dato una rapida scorsa anche alla politica estera statunitense con particolare riferimento agli scenari sudamericani, del sudest asiatico e dell'Africa subsahariana cercando di dare al lettore una prospettiva diversa perchè, al di là di ogni considerazione puramente emotiva, gli Stati Uniti - piaccia oppure no - sono un grande paese e, come tale, svolgono, a livello planetario, una politica da grande potenza alla stregua, se vogliamo, della Roma imperiale degli Augusto e dopo l'implosione del blocco sovietico e, in senso lato, del socialismo reale hanno, vieppiù, accentuato la loro leadership.
Abbiamo, ancora, esplorato anche la valenza religiosa che ha sempre contraddistinto le comunità afroamericane con particolare riferimento proprio a George Foreman ed al suo grande ritorno sul ring alla veneranda età di trentanove anni nonchè al conseguimento - meglio, riconseguinento - della corona mondiale dei massimi a quarantaquattro un record, questo, tuttora unico nel suo genere e, credo, difficilmente eguagliabile pur con tutti i limiti dianzi esposti.
Ed abbiamo, infine, parlato di storie del sud perché Muhammad Ali, George Foreman e Joe Frazier erano tre afroamericani tutti facenti parte del novero degli stati del sud della confederazione statunitense per cui il nostro racconto si connota, altresì, di un malcelato orgoglio campanilista.
Ignoro se quanto da me esposto, in queste note a latere, potrà essere suffragato, ovvero confutato, in pubblicazioni storiografiche nè, del resto, può interessarmi oltremodo anche poichè, non essendo uno storico, le mie ricostruzioni non potevano essere avallate da documentazioni ufficiali e, del resto, la rigorosità scientifica - certamente auspicabile - non poteva trovare fissa dimora in alcuni post inerenti il pugilato.
Ciò nondimeno le mie ricostruzioni - anche quelle più strampalate, anzi forse ancor di più quelle ! - han cercato di svilupparsi secondo una logica squisitamente matematica cercando di tracciare un quadro più ampio e più coerente con tutta una serie di considerazioni apparentemente marginali ; pensiamo, solo per un istante, alle problematiche logistiche inerenti le deportazioni coatte di centinaia di migliaia di africani liberi da un continente all'altro che mi hanno indotto a cercare, di quella trasmigrazione, una spiegazione diversa da quelle propinateci la quale, pur essendo politicamente scorretta, mi sembra possa essere quella che, maggiormente, si avvicini a quanto, realmente, accadde.
Io penso che se si vuole, realmente, cercare di capire la storia recente degli Stati Uniti è indispensabile dismettere, e celermente, il nostro habitus mentale europeo - ed italiano, in particolar modo - e cercare di prendere un pò le distanze da sè stessi, dalla propria storia e dalla propria cultura approcciando in modo nuovo - virginale, direi - le problematiche americane un pò come fecero, se vogliamo, le avanguardie intellettuali, e non solo quelle per la verità, che caratterizzarono le prime ondate immigratorie nel nuovo mondo dalla vecchia Europa.
E cercare di capire, beninteso, non equivale ad agiografizzare la storia americana tout-court ma, senza meno, è di ausilio nel discernimento del significato di quegli eventi e di come, per riflesso, gli americani guardino il mondo e si riflettano in loro stessi.
Io penso che sia estremamente importante cercare di capire altrimenti si corre il rischio, serio, di leggere il mondo americano con dei filtri assolutamente inadeguati - le ideologie - e di reiterare, su un piano diverso, la stereotipata, ed assolutamente inadeguata, visione antitetica marxista - ovvero la tipica dicotomia popperiana - che di storico, e storiografico, ha invero assai poco e che è pervasa, intrinsecamente, da una sorta di massimalismo ideologico che, a ben vedere, non si discosta poi molto da alcune posizioni radicali connaturate alle dottrine religiose.
Poi, quasi marginalmente se vogliamo, abbiamo parlato anche di pugilato ma ho cercato di contestualizzarlo in un quadro assai più ampio prendendo spunto dal fatto che la boxe è stata, lo è tuttora, una disciplina che ha veicolato - come poche altre - le istanze sociali dei ceti meno abbienti.
Sinceramente ignoro se, negli Stati Uniti, anche altri sport nei quali gli atleti afroamericani sono, per tradizione, protagonisti - penso al basket, ad esempio - abbiano rivestito, ovvero rivestano, una valenza similare.
Ho focalizzato la mia disamina sul pugilato poichè, sin da ragazzo, ne ero un fervido appassionato nonchè, al contempo, grande sostenitore di Muhammad Ali anche se soltanto con la maturità ho potuto apprezzare boxeur straordinari come Joe Frazier e capire che la grandezza del mio Ali era intrinsecamente connaturata proprio alla presenza contestuale sul ring del suo acerrimo rivale Smokin' Joe che, naturalmente, in quel di Manila, nel 1975 quando avevo appena nove anni, epidermicamente detestavo.
Ho focalizzato la mia attenzione sul pugilato perchè ho avuto la fortuna di avere un mentore - mio padre - che mi ha avvicinato, pazientemente, alla noble art e che mi consentiva di star sveglio sino a tardi per poter assistere, in presa diretta, agli incontri più emozionanti sfidando le reprimende di mia madre che, naturalmente, esigeva che, a quell'ora tarda, io fossi già a letto e, d'altro canto, penso sia quasi inutile sottolineare che il giorno dopo ero assente giustificato - proprio da mio padre - dai banchi di scuola.
Non ho mai saputo dove questa sua passione abbia preso le mosse tenendo di conto che nessuno dei suoi due fratelli l'aveva mai nutrita. Posso presumere che la sua amicizia con il pugile napoletano Elio Cotena possa essere stato uno dei movens primigeni e, pur tuttavia, ritengo che l'amore della boxe faceva parte di un quadro, parimenti, assai più ampio poichè mio padre cercava sempre di andare oltre ed, in questo specifico contesto, riusciva a vedere, ed a trasmettermi, il bello - nel senso, propriamente, estetico del termine - insegnandomi a ricercarlo ed a carpirlo, nella sua intrinseca essenza, financo da uno spettacolo, all'apparenza, meramente brutale come un incontro di pugilato e questa sua peculiarità me lo aveva sempre dipinto alquanto diverso dai sui fratelli - ai quali era, pur tuttavia, estremamente legato - sensazione, questa, suffragata a posteriori negli anni della mia maturità, del mio ingresso nel mondo del lavoro nonchè, di recente, dalla mia paternità.
E sono stati, in particolar modo, due i pugili che maggiormente apprezzava e dei quali, inutile dirlo forse, mi sono infatuato precocemente anche io ; uno era, naturalmente, Muhammad Ali e l'altro era Carlos Monzon del quale mio padre non perdeva neanche un incontro.
Da mio padre ho imparato termini come jobs, uppercut, ovvero ganci, montanti e quant'altro che mi hanno consentito, in poco tempo, di impadronirmi del lessico boxistico. Ma, soprattutto, ho imparato il rispetto ed il riconoscimento di quelle regole non scritte che allignano anche in un luogo apparentemente franco come quello del ring.
Sono stati due i momenti più intensi che ho vissuto insieme a lui ; il primo, meraviglioso, fu la notte di Kinshasa nella quale mi venne a destare in piena notte per consentirmi di assistere, in presa diretta, a quello che passerà alla storia come uno dei match più belli in senso assoluto della boxe e rammento, nitidamente, il mio malcelato orgoglio col quale, il giorno dopo, feci sfoggio davanti ai miei amici di quell'incontro descrivendolo agli astanti che, increduli, quasi pendevano dalle mie labbra.
Ed il secondo, drammatico, fu il match con Larry Holmes al termine del quale proruppi in un pianto scomposto forse perchè inconsapevolmente consapevole che con il tramonto di Ali se ne andava una parte meravigliosa della mia infanzia.
Certo avrei voluto chidergli tante altre cose ed, in particolar modo, da dove avesse attinto questa sua passione per la boxe e come avesse intuito, dopo nemmeno due round, il capolavoro tattico di Muhammad Ali a Kinshasa.
Purtroppo sono, fra le molteplici, due domande alle quali non potrò mai avere risposta poichè quando avrei potuto formulargliele, tutto preso com'ero preso da me stesso e dalle mie pressanti problematiche contingenti, non gli accennai mai nulla.
Ed è a lui, che mi ha donato tanto e che ha contribuito in maniera determinante a farmi diventare un uomo, che voglio dedicare queste mie note.