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martedì 4 gennaio 2011

L'antieroe Enzo Bearzot, un piccolo omaggio ad un grande commissario tecnico (parte terza)

Le reiterate falsità sui brasiliani



L'esposizione, nella nota precedente, delle caratteristiche salienti della compagine brasiliana non era un mero esercizio di retorica ma rispondeva all'esigenza di rendere edotti coloro i quali di calcio masticano poco o punto su quale squadra abbiamo mandato a casa.
L'ho scritto dianzi e lo ripeto : il Brasile del 1982 è stato, in assoluto, uno dei migliori Brasili di sempre ed il fatto di averlo eliminato fu una impresa, anzi l'impresa, del calcio italiano nel corso di tutta la sua storia perchè se è vero, come è vero, che la vittoria con l'Argentina campione del mondo uscente ci poteva anche stare, una affermazione contro i carioca era, oggettivamente, del tutto improponibile per tutto quel novero di considerazioni esposte, sommariamente, poc'anzi. Nel corso della sua storia, la nazionale si era resa protagonista, in verità, anche di un'altra impresa ; la vittoria contro i tedeschi nella celeberrima semifinale dell'Azteca, in Messico, fu, oggettivamente, un grandissimo risultato. Ma, con il senno di poi e cercando di esulare da connotazioni puramente emotive, va riconosciuto che, nei novanta regolamentari, il pareggio strappato in piena zona Cesarini da Schnellinger fu una beffa : per loro, non per noi intendo, visto che nella seconda frazione di gioco si giocò ad una porta sola : la nostra !
Un paio di interventi miracolosi di Albertosi, una traversa piena di Overath ed un salvataggio circense, in mezza rovesciata, effettuato da Rosato a ridosso della linea di porta la dicono lunga sul predominio esercitato dai nostri avversari nei secondi quarantacinque minuti. L'Italia, a questo forcing forsennato dei tedeschi, oppose un velleitario tiro dal limite di Rivera ; poi il nulla assoluto. Se, quindi, al termine dei tempi regolamentari la Germania avesse chiuso l'incontro in vantaggio non ci sarebbe stato, temo, davvero nulla da eccepire. Nei supplementari, invece, complice anche la stanchezza dei tedeschi che avevano sul groppone i supplementari con l'Inghilterra campione del mondo uscente nonchè la menomazione del capitano Beckembauer che giocò con una vistosa fascia alla spalla destra, la nostra nazionale se la giocò, tutto sommato, alla pari. Ma i tedeschi non erano, neanche lontanamente aggiungo, paragonabili ai brasiliani di Spagna nè a quelli di Messico '70. Erano, per la verità, già allora una compagine moderna che giocava un calcio molto fisico basato su ritmi vertiginosi e, di lì a poco, si sarebbero fregiati del titolo di campioni d'Europa, nel 1972, e di campioni del mondo nel '74.
Ma in Messico, in altura, la rarefazione dell'aria precludeva l'impostazione di un gioco basato su ritmi frenetici favorendo, di fatto, le squadre più tecniche. Ed il Brasile del 1970 era una squadra che di tecnica ne aveva da vendere. L'impresa allo stadio Azteca, dunque, si connota, invero, di un pathos fortissimo ma, tecnicamente parlando, non può essere paragonata a quella dell'Italia di Bearzot. L'unica impresa che, paradossalmente, può accostarsi a quella dell'82 fu quella del '66 quando la nostra Nazionale riuscì a farsi eliminare dalla Corea del Nord.
E, a memoria almeno, non mi sovviene alcuna altra impresa compiuta dai nostri giocatori visto che la vittoria ai mondiali di Germania del 2006 - e qui mi tirerò dietro gli improperi di mezzo mondo - fu un furto perpetrato ai danni della Francia.
A proposito di quel Brasile, quello dell'82 intendo, si sono, nel tempo, annoverati una serie di luoghi comuni, falsi, volti, in qualche modo, a sminuire la valenza della nostra affermazione.
Si è detto, più volte, che se il Brasile avesse giocato un pò più all'europea speculando, cioè, sulla possibilità di poter disporre di due risultati utili su tre - il pareggio avrebbe consentito ai carioca di eliminarci - le cose sarebbero andate diversamente.
Questo è, vergognosamente, falso !
Il Brasile speculò, oggettivamente, pochino ma non per scelta bensì per necessità trovandosi già sotto di un gol dopo appena cinque minuti. E tra il pareggio di Socrates ed il secondo gol di Rossi passarono, appena, tredici minuti nei quali la squadra di Santana fece, effetivamente, possesso palla tentando di addomesticare la partita abbassando il ritmo tant'è che il secondo gol venne a seguito di un disimpegno errato di Cerezo sulla linea difensiva brasiliana. E tra il pareggio di Falcao ed il terzo gol di Rossi passarono, appena, sette minuti.
Ancora, mi perdonerete spero, due numeri perchè nulla meglio dei numeri riesce a fornire una panoramica scevra da pregiudizio alcuno.
Se sommiamo, dunque, gli intervalli di tempo nei quali il Brasile fu effettivamente qualficato abbiamo cinque minuti - i primi - più tredici - lo spazio fra il pareggio di Socrates ed il secondo gol di Rossi, appunto - più sette - ovvero il tempo intercorrente fra il pareggio di Falcao ed il terzo gol di Rossi - per un totale, quindi, di appena venticinque minuti su novanta il che vuol dire che la squadra di Santana potè speculare sull'esito della partita per, appena, il 27,7 % della durata dell'incontro e fu costretta, di contro, ad impostare il match per il restante 72,3 %.
Si è rimarcato, inoltre, che se Telè Santana avesse schierato, al posto di Valdir Peres, un estremo difensore all'altezza, l'esito dell'incontro sarebbe stato molto diverso : parimenti falso !
Premesso che, in quegli anni, l'unico portiere in Brasile degno di questo nome era il pastore cattolico Joao Leite che soleva regalare al portiere avversario una copia della Bibbia prima di ogni incontro e che, oggettivamente, non era certo Gilmar, faccio sommessamente notare che, nelle specifiche circostanze dei tre gol, Rossi era posizionato a ridosso dell'area di porta - il primo - appena dentro l'area di rigore e solo davanti al portiere - il secondo - e ad un metro dalla linea bianca - il terzo - per cui, temo, che neanche la dea Kali, la quale in molte iconografie veniva raffigurata con, almeno, quattro braccia, avrebbe potuto fare molto di più. di quanto fatto da Valdir Peres.
Si è sottolineato, infine, che la presenza di un centroavanti di spessore in sostituzione dello stralunato Serginho avrebbe deciso altrimenti l'esito di quell'incontro. Ma anche qui va rimarcata una considerazione di ordine tattico. Il Brasile, lo abbiamo letto dianzi, fu costretto ad inseguire l'Italia per quasi tutto il decorso dell'incontro e privarsi di un giocatore dotato nel gioco aereo in previsione di un forcing e di un novero di traversoni dalla linea di fondo sarebbe stato, a dir poco, suicida. E Telè Santana non era uno sprovveduto per cui, correttamente, tenne in campo il suo attaccante salvo, poi, avvicendarlo con Paulo Isidoro ma per altre considerazioni, sempre di ordine tattico, che esamineremo, nel dettaglio, più avanti.
Tutte queste falsità propinate, a mezza voce, da sedicenti professionisti della carta stampata ad uso e consumo di un pubblico di non adetti ai lavori era un larvato tentativo di sminuire, in qualche modo, il lavoro svolto dal nostro commissario tecnico di cui si riconsceva, esclusivamente, il merito di aver creduto, lui solo, in Paolo Rossi quando, oggettivamente, era oltremodo difficile non dare credito ad Alessandro Altobelli che scalpitava dietro le quinte. La stampa milanese, in quei giorni, ingaggiò una furiosa campagna a sostegno del centravanti dell'Inter ma Bearzot tenne duro seguendo delle considerazioni di ordine tecnico-tattiche e non certo umane.
Paolo Rossi era un brevilineo che aveva nell'intuito di leggere l'azione prima degli altri, nell'opportunismo e nello scatto breve i suoi punti di forza. Al termine della preparazione, ed a seguito di quasi due anni di inattività per la nota vicende del calcio-scommesse, Rossi era, naturalmente, più arrugginito degli altri ma il nostro commissario tecnico contava che, alleggerendo i carichi di lavoro, il nostro centroavanti avrebbe, nel breve periodo, recuperato quella elasticità, quella lucidità e quella forma fisica che gli avrebbe consentito di ritornare letale negli undici metri. La chiave di volta fu proprio la partita con l'Argentina dove Rossi, pur mangiandosi un gol davanti a Fillol, dette inequivocabili segnali di ripresa spaziando lungo tutto il fronte d'attacco e coadiuvando un generosissimo Graziani. Era, per intenderci, un altro giocatore rispetto a quella pallida controfigura che aveva giocato contro il Perù ed avvicendarlo prima dell'incontro decisivo contro il Brasile sarebbe stata pura follìa. E Bearzot non era un folle.
Va detto, altresì, che il primo gol al Brasile lo sbloccò anche psicologicamente. Ma, fisicamente, il giocatore era ritrovato e non da quel momento. La sua tripletta ai verdeoro passò agli annali della storia del calcio. Ma il vero artefice della sua rinascita, sul campo, fu Francesco Graziani.



Italia-Brasile 3-2 ovvero la consacrazione di Bearzot e la rivincita di Graziani (parte prima)



L'ho reiteratamente sottolineato nel corso di queste note : se Bearzot, dalla panchina, vinse il suo duello con il commissario tecnico Telè Santana, sul campo il recondito protagonista del miracolo azzurro fu Francesco Graziani.
Graziani, rammentiamolo, era il centravanti titolare durante tutta la fase eliminatoria in vista dei mondiali di Argentina del 1978 e formava, insieme allo juventino Roberto Bettega, un duo di punta del tutto atipico perchè entrambi erano, sostanzialmente, delle seconde punte naturali. Ma in Argentina Graziani arrivò in uno stato di forma precario e Bearzot gli preferì, per il debutto prima e per il prosieguo della competizione poi, Paolo Rossi. E, ironia della sorte, Rossi fu uno dei protagonisti assoluti di quel mondiale.
In tutta la rassegna sudamericana, ed anche negli anni immediatamente a venire, Graziani non rilasciò mai una dichiarazione polemica o lesiva nei confronti del nostro commissario tecnico ma, disciplinatamente, accettò l'esautorazione e la panchina, prima, e l'esclusione dal novero dei ventidue poi.
Questo comportamento fu, a dir poco, ineccepibile ed il centravanti si guadagnò, agli occhi del nostro selezionatore, una grandissima considerazione come uomo ancor prima che come atleta. Nulla a che vedere, insomma, con quello tenuto quattro anni addietro da Giorgio Chinaglia il quale, per una mera sostituzione, mandò platealmente alla berlina il commissario tecnico dell'epoca, Ferruccio Valcareggi, davanti agli occhi, esterrefatti, di milioni di telespettatori che seguivano, trepidanti, le sorti di un debutto assai più problematico del previsto contro la matricola Haiti.
Ma la sorte, sportiva, aveva un debito da saldare nei confronti di Graziani.
Il gravissimo infortunio patito durante la stagione 1981-82 da Roberto Bettega che tenne lontano, per mesi, lo juventino dai campi di gioco, indusse Bearzot a richiamare immediatamente Graziani ed a schierarlo nuovamente titolare e, soprattutto, nel ruolo a lui più congeniale ovvero quello di seconda punta a supporto, ancora ironia della sorte, proprio di Paolo Rossi.
Graziani ripagò la rinnovata fiducia concessagli dal commissario tecnico come meglio non avrebbe potuto e si sobbarcò, da solo, il peso di tutto il reparto offensivo in particolar modo nella prima fase quella, cioè, di Vigo dove portò la croce e, per così dire, cantò ; suo fu, ricordiamocelo, il gol contro il Cameroon del momentaneo 1 a 0. E se in occasione della sfida contro l'Argentina Graziani dette il meglio di sè contro il Brasile andò, per così dire, anche oltre.
L'incontro, lo abbiamo scritto dianzi, si presentava, a dir poco, assolutamente proibitivo.
Ad ogni modo l'Italia poteva far leva su un aspetto psicologico : rispetto ai carioca gli azzurri non avevano nulla da perdere !
Se, ad esempio, i brasiliani ci avessero rifilato tre gol dubito fortemente che si sarebbero scatenate furibonde polemiche contro la nostra rappresentativa visto che, parimenti, anche ai campioni del mondo uscenti i verdeoro di Santana avevano riservato il medesimo trattamento. Per una volta, insomma, per quanto paradossale possa sembrare, la mera constatazione di partire battuti ab initio si trasformava in un vantaggio.
Ma Bearzot contava, naturalmente, di impostare l'incontro cercando di sfruttare i pochissimi punti deboli della compagine sudamericana e puntò sull'accorciamento della squadra a ridosso della linea dei centrocampisti per cercare di sfruttare, al meglio, le ripartenze dei nostri giocatori : Tardelli, Conti ed Antognoni, in primis, ma anche dello stesso Oriali e, all'occorrenza, di Antonio Cabrini. Contestualmente chiese a Graziani di portare un pressing alto sui difensori brasiliani che solevano, dalle retrovie, avviare la manovra lasciando scevri da impegni di copertura i soli Rossi ed Antognoni.
I brasiliani, secondo la filosofia di cui sopra secondo la quale se il pallone lo hai tu gli avversari non possono nuocerti, erano soliti impostare le loro manovre dalla linea difensiva a ridosso della quale stazionava Falcao. Assai di rado, infatti, Valdir Peres, l'estremo brasiliano, calciava lungo dalla propria area di rigore proprio perchè, in tal modo, si correva il rischio di regalare palla agli avversari.
La partenza degli azzurri fu, com'era da prevedersi, lanciatissima: già dopo pochi minuti l'Italia ebbe una mezza occasione da gol ma Graziani impattò male un pallone tagliato dall'out destro servitogli, se la memoria non m'inganna, da Bruno Conti. Un paio di minuti dopo, però, passammo incredibilmente in vantaggio.
Mentre i brasiliani ci stavano ancora prendendo le misure, una prolungata, ed apparentemente velleitaria, manovra sulla fascia destra di Conti divenne, improvvisamente, pericolosa perchè il romanista servì, sull'out opposto, Antonio Cabrini che si era proposto come mezzala ; uno sguardo appena e lo juventino fa partire, dalla propria trequarti. un cross tagliato all'interno verso il centro dell'area di rigore che, probabilmente, sarebbe stato del tutto innoquo se una repentina intuizione di Graziani non avesse indotto il nostro attaccante a portarsi dietro i due centrali carioca, Oscar e Luisinho, con un movimento verso l'esterno creando, all'interno, uno spazio dove, fulmineo, si inserì Rossi.
Quando Junior, l'esterno sinistro carioca, si avvide, con un attimo di ritardo, che il nostro centroavanti era completamente smarcato, provò a chiudere il buco lasciato dai compagni ma era già troppo tardi poichè Rossi aveva già impattato, solo soletto, il pallone depositandolo alla sinistra dell'incolpevole Valdir Peres.
Eravamo in vantaggio al primo vero affondo e la partita si mise immediatamente in discesa.
Il Brasile, ad ogni modo, non si scompose e cominciò a macinare gioco. La situazione tattica, però, si era capovolta per cui Santana temeva, non senza ragione, che i brasiliani cominciassero a prendere d'assedio la retroguardia azzurra intasando spazi e corridoi prestando, così, il fianco ai nostri contropiedi.
Ordinò, allora, a Zico di stazionare, stabilmente, sulla trequarti nel tentativo di portarsi dietro Gentile e creare, così, una falla nella nostra linea di difesa. Contestualmente Bearzot chiese ai suoi centrocampisti di accorciare le distanze a ridosso dei portatori di palla Falcao e Cerezo nonchè impostando, anche a centrocampo, una marcatura così asfissiante che pareva prefigurasse una francobollatura a uomo. Santana, per converso, chiese a Falcao ed agli stessi Cerezo ed Eder di arretrare il proprio baricentro di una decina di metri nel tentativo di trascinarsi dietro Tardelli ed Oriali i quali, però, non caddero nel tranello di creare, alle loro spalle, degli spazi nei quali avrebbero potuto inserirsi anche gli esterni Leandro e Junior e presidiarono, a zona, la loro fascia di campo. Con una decina di metri a disposizione, però, i brasiliani potevano, quanto meno, respirare e disporsi più larghi sul campo nel tentativo, quindi, di allargare, parimenti, le maglie del nostro schieramento favorendo, così, i tagli di Socrates. D'altro canto alzare troppo il baricentro della squadra azzurra avrebbe posto il fianco al rischio, letale, di creare spazi alle spalle della nostra linea difensiva nei quali, oltre al capitano carioca, avrebbe potuto inserirsi anche Eder il quale, pur non essendo dotato di uno scatto fulmineo, era molto potente fisicamente ed in progressione avrebbe creato non pochi problemi ad Oriali per cui, saggiamente, in fase di possesso palla i nostri difensori si mantennero, relativamente, bassi seguendo pedissequamente le direttive di Scirea, il mai troppo compianto libero azzurro, che svolgeva, sul terreno di gioco, le funzioni di allenatore in seconda mantendendo le giuste distanze fra i reparti.
L'equilibrio tattico dell'incontro era dunque, alla stregua di una partita a scacchi, alquanto precario e suscettibile, quindi, di saltare da un momento all'altro per una invenzione di questo o quel giocatore.
Purtroppo l'invenzione di cui sopra la fecero, ahinoi, i brasiliani al 12' allorquando, raccogliendo un suggerimento di Socrates, Zico si decentrò all'altezza della propria trequarti sull'out destro portandosi dietro Gentile marginalizzandosi, solo apparentemente, dal fulcro della manovra e creando, quindi, per vie centrali, uno spazio che il capitano lesse prima di tutti gli altri giocatori tant'è che, appena data via la palla al compagno, aveva già cominciato a muovere le sue lunghe leve per andarsi a posizionare in quella area di campo prendendo in contropiede i nostri centrocampisti ed, in primis, Marco Tardelli. Non si sa come, davvero, ma in maniera sincronica allo scatto di Socrates, Zico disorientò Gentile con una piccola magia, un colpetto di tacco, e finse di tagliare verso il centro servendo, invece, con un esterno destro vellutato in verticale, il capitano che, in progressione, aveva lasciato alle sue spalle Tardelli ed aveva saltato anche lo stesso Scirea, parimenti in ritardo, presentandosi, così, completamente solo davanti al nostro portiere seppur in posizione leggermente decentrata sul fronte destro dello schieramento offensivo sudamericano.
Zoff, com'era ovvio, cercò di coprire, alla sua destra, il palo più lontano ed invece, con un colpo di carambola, il brasiliano lo trafisse con una rasoiata proprio su quello più vicino facendo passare il pallone in uno spazio davvero millimetrico fra il piede sinistro del nostro portiere ed il legno della nostra porta.
Uno a uno, dunque, e tutto da rifare. Erano passati, appena, dodici minuti.
A questo punto, con una situazione tattica nuovamente capovolta ed a favore dei nostri avversari, Santana ordinò ai suoi di addormentare l'incontro. Tessere una ragnatela per linee orizzontali presentava alcuni indiscutibili vantaggi : il primo era che, in questo modo, il pallone stazionava, sempre, tra i piedi dei nostri avversari soffocando sul nascere qualunque nostra velleità offensiva ; il secondo era che questo fraseggio reiterato abbassava il ritmo della partita ; il terzo era che i nostri giocatori avrebbero dovuto alzare il baricentro ed aumentare il pressing anche nella metà campo carioca rischiando, in tal modo, di lasciar sguarniti ampi spazi alle loro spalle ; il quarto, infine, era che gli azzurri avrebbero corso il rischio di correre a vuoto e di esaurire molto presto le proprie energie. D'altronde quando una squadra, il Brasile naturalmente, dispone di un novero calciatori dotati di una tecnica di base sopra le righe è conseguenziale che la gestione del possesso palla divenga una caratteristica predominante del proprio modo di giocare.
Bearzot non cadde nella trappola tesagli da Santana e ridispose, in mezzo al campo, i suoi giocatori rigorosamente a zona accorciando le distanze fra la linea mediana e quella difensiva ma allargando, nel contempo, lo spazio fra la linea dei centrocampisti e quella delle punte e chiedendo al solito Graziani di sacrificarsi oltremodo e portare un pressing alto fino alla linea di difesa avversaria ottenendo, in tal modo, di disturbare, sin dall'inizio, la costruzione della manovra brasiliana e preservando l'equilibrio fra i reparti. E fu proprio in occasione di uno di questi disimpegni che la nostra squadra ritornò in vantaggio. Quando Valdir Peres rinviò, con le mani, il pallone a Leandro - l'esterno difensivo destro - questi, pressato indebitamente dal solito Graziani sino a ridosso della propria area di rigore, dette palla, per linee orizziontali, a Toninho Cerezo che, in quel frangente, si era collocato davanti alla difesa in posizione, dunque, di centromediano metodista. In fase di possesso palla, rammentiamocene, i sudamericani solevano disporsi già larghi sul terreno di gioco per cui, contestualmente a Leandro, anche i centrali carioca e l'esterno Junior si erano posizionati a ventaglio. Su Cerezo salì molto alto a portare pressing Marco Tardelli ed il brasiliano, invece di restituire nuovamente palla al proprio portiere, ovvero rilanciare lungo a scavalcare il centrocampo, bene ritenne (per noi, naturalmente, un pò meno per loro) di cercare un improbabile suggerimento, ancora per linee orizzontali, ad uno dei due centrali difensivi. La traiettoria che ne seguì fu, invece, un maldestro disimpegno a metà strada fra Oscar e Junior.
Anche qui fu questione di frazioni di secondo : mentre i due si guardavano chiedendosi chi, fra loro, dovesse intervenire a raccogliere quello strampalato suggerimento, Rossi si impadronì, come un falco, della sfera, scavalcò Junior - in ritardo perchè, come detto dianzi, posizionato troppo largo sul versante sinistro della linea di difesa sudamericana - e, appena entro l'area, battè direttamente a rete trafiggendo l'incolpevole Valdir Peres. Eravamo, quindi, di nuovo in vantaggio e, ancora una volta, la situazione si era capovolta a nostro favore. Adesso erano nuovamente i brasiliani a dover fare la partita e potevamo, così, rifiatare.
Come ho gà scritto nel post su Telè Santana, il secondo gol di Rossi al Brasile costituisce una sorta di piccolo compendio della tattica di gioco approntata dal nostro commissario tecnico. Telè Santana, nel solco della migliore tradizione brasiliana, soleva disporre la sua compagine, in fase di possesso palla, molto larga sul terreno di gioco per favorire la creazione di spazi laddove - e questa fu una novità tattica fondamentale - in fase di non possesso palla ordinava ai suoi giocatore di disporsi in formazione serrata per precludere, agli avversari, ampie zone di campo dove poter affondare le proprie incursioni.
Vista dall'alto, dunque, quella compagine disegnava una qual sorta di fisarmonica ; il nostro commissario tecnico, quindi, intuì, correttamente, che se fossimo riusciti a rubare la sfera nella loro fase di possesso palla avremmo potuto sfruttare, a nostro vantaggio, quegli spazi artatamente creati dai nostri avversari e trovarli, così, completamente sbilanciati. Era, certamente, una tattica molto dispendiosa e rischiosa ma, a conti fatti, era davvero l'unica strategia in grado di poterli mettere in serie difficoltà.
I brasiliani avevano palesato, in tutte le esibizioni antecedenti di quel mondiale, una indiscussa superiorità tecnica, tattica e di gioco ed avevano frantumato, sic et simpliciter, ogni compagine che avevano affrontato fino a quel momento utilizzando le soluzioni più svariate.
Contro l'Unione Sovietica, ad esempio, che si era chiusa a riccio nella propria metà campo chiudendo tutti gli spazi, Santana provò, dapprima, ad allargare il fronte del gioco inserendo Paulo Isidoro salvo, poi, ricorrere ai suoi formidabili stoccatori che dalla media, e dalla lunga distanza potevano risultare davvero letali. I due gol alla rappresentativa russa, che capovolsero in favore dei verdeoro l'esito dell'incontro, furono, lo rammenterete spero, due magnifiche soluzioni balistiche a ridosso dei sedici metri di Socrates e di Eder.
D'altro canto se pressati nella loro metà campo i brasiliani potevano, con tre-quattro passaggi al massimo, trasformare una fase difensiva in offensiva e risultare semplicemente devastanti. Il terzo gol rifilato alla Scozia, vanamente protesa in avanti nel disperato tentativo di riequilibrare le sorti del match, era scaturito da appena tre - dico tre ! - disimpegni - Falcao-Socrates, Socrates-Serginho, Serginho-Eder - che avevano colto compeltamente alla sprovvista i britannici.
L'unica tattica, dunque, per poterli mettere in seria difficoltà era quella che approntò Bearzot che fu l'unico commissario tecnico in tutta la kermesse iberica che lesse, al meglio, i punti di forza e di debolezza della Seleçao.
Il secondo gol di Rossi poneva, adesso, una situazione tattica nuovamente ribaltata a nostro favore. Per ridurre, al minimo, il rischio dei tagli dei centrocampisti carioca Bearzot chiese a Graziani di arretrare il proprio baricentro e di stazionare, in fase di non possesso palla, stabilmente sulla linea mediana in maniera tale da poter disporre di un uomo in più nella zona nevralgica del campo. Santana avrebbe potuto, certo, mandare a sua volta, sulla propria linea mediana, un difensore esterno, presumibilmente Junior il più dotato dei due, e giocare con una difesa a tre ma il rischio, enorme, era di esporre la propria linea difensiva, in fase di non possesso palla, alla parità numerica (Leandro-Oscar-Luisinho contro Graziani, Rossi e Conti) ed il commissario tecnico sudamericano era perfettamente consapevole che un repentino cambio di gioco sarebbe potuto essere davvero letale per la propria compagine poichè un eventuale terzo gol azzurro avrebbe chiuso, anzitempo, la partita.
D'altro canto, rammentiamocene, eravamo ancora alla metà del primo tempo e, per effetto della migliore differenza reti, ai verdeoro sarebbe bastato anche un pareggio per passare il turno. Saggiamente, quindi, Telè Santana lasciò immutato il suo assetto continuando, quindi, a giocare con quattro difensori evitando, in tal modo, di ingolfare ulteriormente la zona centrale del campo. D'altro canto anche sui palloni alti ai brasiliani non ne andava bene una perchè Collovati sovrastava, letteralmente, il povero Serginho che, completamente abulico, vagava come uno spettro in mezzo al campo cercando disperatamente di entrare in partita. Probabilmente il commissario tecnico brasiliano avrebbe avvicendato il proprio centroavanti già alla fine del primo tempo se una distorsione alla caviglia non avesse messo fuori gioco proprio il nostro centrale e costretto Bearzot ad un cambio in corsa facendo debuttare il diciassettenne Giuseppe Bergomi.
Con un centrocampo intasato oltremodo ed impossibilitato a tessere le proprie trame sfruttando il gioco aereo, al Brasile non restava altro da fare che tenere palla ed andare al riposo cercando, nella ripresa, di mettere in atto un forcing al fine di riequilibrare l'esito dell'incontro.


Italia-Brasile 3-2 ovvero la consacrazione di Bearzot e la rivincita di Graziani (parte seconda)



L'inizio del secondo tempo fu caratterizzato, com'era da prevedersi, da una partenza fulminea dei sudamericani che presero d'assalto la nostra porta. Telè Santana ruppe gli indugi e schierò una difesa a tre affiancando ai due centrali, Oscar e Luisinho, alternativamente Leandro e Junior. Quando, cioè, Junior svolgeva le mansioni di centrocampista aggiunto Leandro si sistemava in linea con i due centrali ; e viceversa.
Bearzot rispose serrando i ranghi e chiedendo, anche ad Antognoni, di pressare, nei limiti delle sue possibilità, i portatori di palla avversari. In questa fase, dunque, giocavamo con una sorta di 4-5-1 con il solo Rossi che, stabilmente, stazionava in avanti. Ma questo 4-5-1 diveniva, in fase offensiva, una sorta di 4-2-1-3 perchè sia Graziani che Conti andavano a ricoprire, larghissimi, le due fasce ed Antognoni si collocava, grosso modo, sulla medesima perpendicolare di Rossi.
E se è vero, come è vero, che in cattedra salì, senza meno, il nostro portiere protagonista di alcuni interventi spettacolosi come quello su Cerezo ai limiti dell'area di rigore che riportarono, con la memoria, lo scrivente a Monaco dove Zoff si consacrò come, in assoluto, il miglior portiere del mondo, è pur vero che rischiammo, seriamente, di chiudere anzitempo la partita quando il solito Graziani andò a recuperare una palla persa con uno scatto degno di un centrometrista e ribaltò il fronte di gioco trasformando una fase difensiva in offensiva.
Portando palla lungo l'out sinistro e trascinandosi dietro Leandro, Graziani tagliò, ad occhi chiusi, la linea di difesa brasiliana con un suggerimento rasoterra dalla parte opposta dove sopraggiungeva, di gran carriera, Rossi. In quella fase, rammentiamolo, i sudamericani giocavano con una difesa a tre per cui il nostro centroavanti, leggermente decentrato sul versante destro del nostro fronte offensivo, si venne a trovare scevro dall'asfissiante marcatura dell'esterno sinistro difensivo carioca Junior e si presentò, dunque, completamente solo davanti a Valdir Peres. Purtroppo il suo impatto con la sfera non fu dei più felici e mandò, malamente, a lato il pallone. Quando gli azzurri videro sfumare la possibilità di chiudere l'incontro un triste presagio si impadronì di tutta la comitiva azzurra. Chi ha giocato al calcio sa bene quanto, in determinati frangenti, l'aspetto psicologico rivesta un ruolo fondamentale per cui lo scampato pericolo, invece di demoralizzarli, ringalluzzì i nostri avversari che continuarono a macinare gioco seppur in spazi sempre più ristretti. Le nostre linee, ora, erano serratissime e i brasiliani stentavano a trovare spazi consoni per impostare una manovra adeguata. Graziani e, soprattutto, Bruno Conti - il più dotato tecnicamente di tutta la comitiva azzurra - cercarono, tenendo palla, di far rifiatare e risalire la squadra. Ma a quel punto subentrò, per così dire, la malasorte ad infierire contro di noi aiutata, ahinoi, da un disgraziatissimo errore di posizionamento di Scirea. Quando Falcao, profittando di un taglio verso l'interno di Toninho Cerezo, fintò il passaggio al compagno di squadra sbilanciò, naturalmente, Cabrini - che andò, correttamente, a coprire lo spazio alle sue spalle - e, mi pare, Tardelli ma disorientò, purtroppo, anche Scirea - che, invece, non avrebbe dovuto abboccare al tranello del fuoriclasse della Roma - trovandosi, così, davanti, seppure a ridosso del limite dell'area di rigore, la nostra porta spalancata.
Zoff intuì immediatamente le intenzioni del brasiliano e fece, saggiamente, quei tre passi avanti per chiudergli lo specchio della porta intuendo persino la direzione del tiro che avrebbe scoccato Falcao e lanciandosi una frazione di secondo prima del dovuto. Il nostro capitano aveva letto, e bene aggiungo, prima degli altri la prosecuzione dell'azione e avrebbe, senza meno, respinto a pugni chiusi la conclusione del brasiliano.
Purtroppo, la malasorte di cui sopra, si intromise Bergomi che sfiorò, in maniera quasi impercettibile, la sfera quel tanto che bastava, però, ad imprimerle una traiettoria arcuata leggermente diversa da quella prevista dal nostro portiere che vide scivolare, beffardamente, il pallone una ventina di centimetri al di sopra del suo braccio proteso senza, a quel punto, poter rimediare in alcun modo. In quei frangenti sembrò, davvero, che il mondo ci cascasse addosso. Il flemmatico Zoff perse le staffe e, platealmente, mandò alla berlina i suoi compagni di reparto che avevano resa lesiva una azione di gioco altrimenti velleitaria.
Eravamo al 68' minuto e, contestualmente alla ripresa del gioco, Telè Santana effettuò la prima, ed unica, sostituzione di tutto l'incontro inserendo Paulo Isidoro al posto dello spento Serginho.
La motivazione di questo avvicendamento va ricercata nel fatto che la panchina brasiliana aveva già comunicato, al quarto uomo, l'intenzione del commissario tenico sudamericano di procedere alla sostituzione del centroavanti carioca prima ancora, quindi, della marcatura di Falcao quando, cioè, eravamo ancora in vantaggio per 2 ad 1. A quel punto, il regolamento F.I.F.A. dell'epoca parlava chiaro, non era ammessa la possibilità di rinunciare a quella sostituzione programmata e Santana imprecò, certamente, alla malasorte perchè se avesse potuto sarebbe ritornato, senza meno, sui suoi passi. L'inserimento di una punta di movimento come Paulo Isidoro rispondeva, infatti, ad una logica tattica che presupponeva un forcing finale e non la gestione del pallone. L'ingresso di Paulo Isidoro avrebbe comportato lo spostamento di Socrates dalla mediana alla prima linea nella mansione di prima punta. Ma adesso, dopo aver agguantato il pareggio ed in previsione di una tattica attendista, perdere un fine palleggiatore dalla linea centrale del campo sarebbe stato un suicidio tattico.
Il commissario tecnico brasiliano, quindi, ordinò a Paulo Isidoro di giocare come punta centrale lasciando Socrates a centrocampo perdendo, però, un uomo di peso e, soprattutto, di riferimento per tutta la compagine ed ebbe a dolersene, a posteriori, perchè la nostra squadra, dopo il pareggio di Falcao, andò disunendosi. Paulo Isidoro era un brevilineo e non poteva, in alcun modo, difendere il pallone come Serginho nè costituire, alla stregua del compagno, un riferimento costante agli eventuali rilanci lunghi dalle retrovie che, presumibilmente, i brasiliani avrebbero potuto effettuare per rifiatare e far risalire la squadra e nè, tantomeno, consentire di sfruttare, adeguatamente, il gioco aereo. Il pareggio di Falcao fu per gli azzurri una doccia scozzese perchè, le componenti psicologiche di cui sopra, avevamo dissipato una possibilità più unica che rara di archiviare la partita soltanto pochi minuti prima mentre, adesso, non solo eravamo fuori dal mondiale ma avremmo dovuto cercare, in qualche modo, di rimediare in poco più di un quarto d'ora e ci furono, dunque, cinque/sei minuti scarsi nei quali i nostri giocatori andarono, davvero, alla deriva. I brasiliani, sentendo prossimi il colpo del knock-out definitivo, tennero sapientemente palla ma invece di addormentare il gioco cominciarono a premere la nostra retroguardia in palese affanno. Un tiro di Zico dalla distanza, un'altra conclusione di Falcao appena fuori area, d'altronde, ci fecero presagire il peggio.
A questo punto Bearzot aveva a disposizione due strade : la prima era quella di rischiare il tutto per tutto ed inserire una terza punta - Altobelli presumibilmente - a supporto di Rossi e Graziani. Ma modificando l'assetto tattico in una chiave maggiormente spregiudicata avrebbe fatto il gioco dei sudamericani che, a quel punto, con un uomo in più in mezzo al campo avrebbero potuto, con maggiore facilità, far girare il pallone e colpirci nelle ripartenze. L'altra strada era quella di preservare la medesima disposizione avvicendando un centrocampista, magari di contenimento, al posto di Oriali o Tardelli riservandosi, eventualmente, di rischiare il tutto per tutto solamente negli ultimi dieci minuti finali.
L'obiettivo del nostro commissario tecnico era triplice : inserire forze fresche, da un lato, far respirare la squadra che, in quei frangenti, era andata nel pallone, dall'altro, e ristabilire, infine, le corrette distanze fra i reparti visto che la nostra squadra si era pericolosamente allungata creando spazi enormi dove i brasiliani avrebbero potuto, con estrema facilità, inserirsi e divenire letali.
Bearzot, dunque, scelse, oculatamente, questa strada e la scelta, comunicata al terzo uomo, ricadde su Marini, centrocampista di contenimento dotato, nel contempo, di un discreto tiro dalla distanza che avrebbe dovuto prendere il posto di Tardelli, stremato, il quale era apparso meno lucido ed incisivo rispetto alla partita contro l'Argentina dove aveva dominato il centrocampo. Fortuna volle che, prima dell'avvicendamento, fosse proprio Tardelli ad incocciare, appena fuori dall'area di rigore, un fendente che, opportunamente corretto da Rossi un metro e mezzo al di qua della linea di porta, ci consentì di segnare il terzo gol e di aggiudicarci la partita. Da un disimpegno promosso dal sempiterno Graziani, un colpo di testa all'indietro di Cerezo - il quale, presumibilmente, aveva intenzione di servire il proprio portiere per alleggerire la manovra - terminò oltre la linea di fondo regalandoci un insperato calcio d'angolo in un momento nel quale, oggettivamente, non avevamo energie fisiche e nervose da spendere. E dagli sviluppi di quel calcio da fermo trovammo, fortunosamente per la verità, il terzo gol. A quel punto l'inserimento di Marini, al posto proprio di Tardelli, era una mossa ancor più indovinata visto che la situazione tattica si era, nuovamente, capovolta a nostro favore.
A conti fatti, dunque, Bearzot vinse il duello nei confronti di Santana proprio perchè indovinò i cambi. Santana, va detto, fu sfortunato perchè se avesse atteso cinque minuti in più non avrebbe mutato nulla del suo assetto tattico oppure avrebbe inserito un attaccante centrale di peso, non agile dunque, come Roberto Dinamite.
Il 2 a 3 invece gli scombussolò alquanto i piani ; costretto, ancora una volta, ad inseguire fece di necessità virtù spostando Paulo Isidoro sulla fascia destra in guisa di ala tornante e schierando Socrates come prima punta centrale. Il suo obiettivo era quello di creare, a destra, una superiorità numerica con Leandro, Cerezo e Paulo Isidoro, appunto, nonchè allargare il fronte del gioco e le maglie della nostra difesa. Tutto si sarebbe aspettato, credo, salvo che Graziani, ancora lui, retrocedesse sulla linea dei difensori e svolgesse la funzione di esterno difensivo aggiunto ristabilendo la parità numerica.
A quel punto salì in cattedra Bruno Conti che si sobbarcò, da solo, il peso di far respirare tutta la squadra che serrò i ranghi, ed i denti, in previsione del forcing finale furibondo dei sudamericani che, naturalmente, non si fece attendere.
Eppure, anche in quei frangenti, riuscimmo a trovare, profittando dello schieramento a tre della linea difensiva carioca, un gol, regolarissimo, di Antognoni che avrebbe archiviato definitivamente il match. Purtroppo un errore, grossolano, del collaboratore di linea dell'arbitro Klein indusse il direttore di gara ad annullare la marcatura.
Gli ultimi minuti furono al cardiopalma e soltanto un fantastico - l'ennesimo - intervento di Zoff, su colpo di testa di Oscar, riuscì ad impedire, ai carioca, di riagguantare ancora una volta quel pareggio che avrebbe significato la nostra eliminazione. A quel punto, credo, un pareggio sarebbe suonato come una beffa.
A distanza di quasi trent'anni ritengo che l'Italia abbia meritato la vittoria ; è pur vero, però, che se il Brasile fosse riuscito ad agguantare il pareggio non si sarebbe potuto, nella maniera più assoluta, parlare di furto comminato ai danni della nostra rappresentativa : beffa, magari, si ma furto proprio no.
Italia-Brasile costituisce l'archetipo di un incontro fra due compagini molto diverse fra loro nel modo di intendere e di giocare il calcio ma entrambe, seppur in modalità alquanto differenti, spettacolari.
L'arma in più fu, dalla panchina, proprio la sapiente direzione tecnica di Bearzot che si aggiudicò la tenzone con Telè Santana al quale va dato, però, l'onore delle armi.
L'arma in più sul campo fu, invece, Francesco Graziani.
E quell'incontro se, da un lato, sugellò la consacrazione delle qualità di stratega del nostro commissario tecnico dall'altro regalò proprio a Graziani quella sorta di rivincita che il giocatore aveva atteso quattro, lunghissimi, anni.