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venerdì 3 dicembre 2010

Come la scuola «decapita» i bambini





È vicina l'apertura della scuola e molti genitori, soprat­tutto dei bambini che vi andranno per la prima volta, non sono forse consapevoli dì ciò che accadrà ai loro figli che in questi ultimi giorni di libertà giocano felici con i coe­tanei. Nella generalità della scuola italiana la condizione del bambino scolaro è triste e in certi casi drammatica: nelle aule scolastiche, infatti, avviene la «rottura della unità della persona fisica».

Su questo problema che influisce negativamente sulla crescita dell'individuo si è tenuto recentemente a Chàtil-lon uno stage internazionale organizzato dalla Regione Valdostana in collaborazione con la Fimem (Fédération internationale mouvements ecole moderne) e con il Mo­vimento di cooperazione educativa. Il tema era: Il bambi­no e il maestro hanno un corpo. Vi hanno partecipato oltre cento educatori italiani, francesi, svizzeri, spagnoli, algerini, che hanno affrontato la questione sul piano teori­co (con il contributo di Andrea Canevaro e Fiorenzo Al­fieri) e sul piano operativo (con la partecipazione di Fran­co Passatore, Francesco Tonucci e Fabio Guindani). Il problema, che è serio, è stato inquadrato nella evoluzio­ne che porta il bambino alla rappresentazione dell'io co­me personalità.

La storia del bambino incomincia nel corpo della ma­dre, dove egli vive completamente protetto, alimentato e scaldato senza riconoscere la vita della madre come altra. Poi il bambino nasce e si stacca dalla madre, cambian­do quindi radicalmente la propria situazione. Comincia da qui per il bambino la sua avventura di «esploratore».

Egli scopre tante cose: la luce e l'ombra, il caldo e il fred­do, il cibo e il desiderio, e il proprio corpo, che egli usa di continuo come mezzo di espressione e di comunicazione per instaurare rapporti con gli altri. In questo periodo il bambino piange, sorride, tocca, coinvolgendo l'adulto (l'altro), che l'aiuta a soddisfare le sue esigenze.

Ogni scoperta viene dal bambino incorporata, senza pe­rò annullare le precedenti, in un rapporto continuo con l'ambiente i cui dati vengono organizzati nello spazio e nel tempo dalla memoria. Il corpo del bambino è una prodigiosa macchina che elabora dati e crea «cultura»: quando va a scuola per la prima volta, il bambino conosce già tantissime cose: ha scoperto se stesso e gli altri, pos­siede un linguaggio e delle idee, usa la memoria come mez­zo di organizzazione delle scoperte e il corpo come lin­guaggio per mezzo del quale egli rapporta se stesso agli altri e vive ogni esperienza. È questo il processo naturale di «apprendimento» e di crescita di ogni uomo, che do­vrebbe continuare per tutta la vita. Se si interrompe la continuità della scoperta, il processo si arresta, le infor­mazioni non riescono più ad essere incorporate e la me­moria, da mezzo di organizzazione delle conoscenze diven­ta un meccanismo della ripetizione. È quel che accade nella scuola quando i bambini, invece di essere aiutati a continuare la loro evoluzione, vengono aggrediti con l'im­posizione di programmi preordinati da svolgere in tempi determinati. Le reazioni dei bambini, in tale situazione, possono essere diverse: c'è chi si difende subendo la impo­sizione, adattandosi e rinunciando quindi alla propria ori­ginale cultura e al proprio linguaggio; c'è invece chi non rinuncia ad essere se stesso e si ribella. In ogni caso è una situazione drammatica, con conseguenze dannose.

L'aggressione si consuma «decapitando» i bambini, ai quali si stacca la testa dal corpo e la si riempie di nozioni. Il corpo, considerato un inutile strumento, viene seppelli­to in un banco, avvolto in grembiuli uguali per tutti, sui quali la tradizione in molte scuole appende come ghirlan­da un enorme ridicolo fiocco. E anche quando lo chiame­ranno a fare la ginnastica, con gesti uguali per tutti, co­mandati dall'esterno come movimenti per la rianimazione

dei paralizzati, sarà un corpo senza vita. Il corpo vivo non compie gesti imposti, mette in moto ogni facoltà della persona per esprimere e comunicare idee, per lavorare, inventare, cantare, danzare, secondo il suo ritmo interio­re che diventerà collettivo non su ordine dì un organizza­tore ma per esigenza vitale. Per avere un'idea del rispetto che la scuola tradizionale ha del corpo basta guardare co­m'è rappresentato nei libri di testo e sui cartelloni mura­li: è addirittura senza sesso.

La scuola non deve più essere mortificatrice della per­sona, non deve più respingere il corpo ma accettarlo co­me parte integrante di un tutto, come linguaggio e mezzo di rapporto con gli altri. Deve finire l'assurdità di una di­sciplina scolastica che esige da ciascun bambino un rap­porto unicamente con l'insegnante e non permette rappor­ti operativi con i compagni, vietando cosi che nasca e cre­sca un gruppo e si realizzi la cooperazione.

È chiaro che tutto ciò discende da una concezione poli­tica della scuola: accettare la formazione dei gruppi signi­fica accogliere l'idea di agire sull'ambiente, di considerar­lo modificabile. Questo è ritenuto pericoloso da chi consi­dera la scuola strumento di conservazione del potere. È lo stesso atteggiamento che assumono i regimi conservatori che censurano le informazioni per dare a tutti l'impressio­ne che si vive in una situazione immutabile, nella quale è inutile agire per cambiarla. Anche certe famiglie e certi in­segnanti fanno lo stesso. « Spesso gli adulti vivono il mon­do come un'organizzazione immodificabile, - ha detto An­drea Canevaro nella relazione introduttiva ai lavori dello stage, - e trasmettendo questo atteggiamento ai bambini fanno diventare il bambino un colonizzato, cioè una per­sona che non ha alcun potere di modificare il mondo».

La parte più suggestiva del corso è stata quella operati­va, e non poteva non essere cosi, dopo l'introduzione teo­rica (che aveva parlato alla testa). La risposta è stata la li­berazione dei nostri corpi da ogni impaccio, partecipando coralmente allo «spettacolo» che si costruiva all'istante, in modo coerente ma imprevedibile, impegnando tutte le nostre capacità di fantasia, di intelligenza, di musicalità e ritmo, di gesticolazione. E quando, in cerchio intorno all'animatore, si analizzò dal punto di vista psicologico ogni momento corale e ogni problema individuale, teoria e prassi si identificarono nella ricerca di prospettive per una scuola che rifiuta di considerare il bambino una testa da riempire, perché lo considera una persona fisica unitaria che ha bisogno, e quindi diritto, di usare il corpo come lin­guaggio per realizzarsi individualmente e socialmente.


Mario Lodi-1977