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mercoledì 24 novembre 2010

Pianeta calcio, un modo diverso per analizzare un cambiamento che non c'è

Quando, il 2 febbraio del 2007, il funzionario di polizia Filippo Raciti perse la vita a seguito degli scontri fra le opposte tifoserie del Catania e del Palermo, mi persuasi - chissà perchè, d'altronde - che, finalmente, si sarebbe messo mano seriamente al problema annoso della violenza negli stadi di calcio.
Purtroppo mi illudevo ; la situazione, anzi, è vieppiù peggiorata perchè - e non lo si è sottolineato abbastanza - alcune frange estreme delle tifoserie stanno facendo, seppur ancora timidamente, capolino financo nelle partite della nazionale di calcio : di male in peggio, insomma !
D'altro canto gli esecutivi - tutti, nessuno escluso ! - hanno sempre invocato norme più restrittive e vaticinato decreti legge che, nei fatti, non riescono ad eludere la problematica.
Da troppe parti si sottolinea come l'unica strada praticabile, ed auspicabile, sia il famigerato modello inglese.
La cosa divertente è che, nei fatti, nessuno sa di cosa si stia parlando perchè, circonfusi dalle castronerie dei giornalisti, la gente parla - anzi, straparla ! - senza neanche conoscere, nel dettaglio, cosa sia questo famigerato archetipo anglosassone ignorandone i contenuti nonchè i contorni, prodromi, che hanno consentito l'attuazione di determinate misure cautelative.
Credo sia interessante cercare di capire quali siano stati i retroscena e, in concreto, che cosa abbia reso praticabile l'azione del governo di Sua Maestà Britannica.
Per cercare di addentrarci nella problematica occorre fare un passo indietro di, almeno, quaranta anni.
Gli stadi inglesi furono i primi che videro sorgere, all'alba degli anni '70, sparuti gruppi di tifoserie organizzate che presero a seguire le vicissitudini della propria compagine sia in casa che in trasferta.
All'inizio furono gruppi che si formarono spontaneamente ed in maniera del tutto casuale ed i cui componenti erano accomunati da un sincero amore per la propria squadra del cuore.
Si organizzarono, persino, delle vere e proprie forme giuridiche nelle quali i soci - i supporters, tanto per intenderci - si autotassavano per noleggiare autobus e poter seguire anche gli incontri in trasferta. Ma, all'improvviso, questi gruppi cominciarono a distinguersi per atti di violenzaa indiscriminata ed ingiustificata.
La domanda è : perchè ?
Cosa può spingere un gruppo di persone a mutare, per così dire, la propria ragione sociale e tramutarsi in una vera e propria associazione a delinquere ?
Che cosa stava succedendo in Gran Bretagna in quegli anni ?
Nel Regno Unito, ed in particolar modo proprio in Inghilterra, si stava concludendo un lungo percorso che stava trasformando, in senso manageriale, le società di calcio. Squadre come il Liverpool, il Manchester United, l'Arsenal, il Chelsea e quante altre, stavano cominciando ad assumere i contorni di vere e proprie società per azioni e, tramite la quotazione in borsa, stavano diventando preda di famelici speculatori. Una compagine come il Liverpool, ad esempio, che impazzava in Europa negli anni a cavallo fra la fine dei '70 e gli inizi degli '80, era un affare molto conveniente sia da un punto di vista spiccatamente finanziario sia da quello economico.
Con l'ingresso degli sponsor, infatti, diveniva estremamente allettante poter esporre, sui cartelloni degli stadi ovvero sulle magliette dei giocatori, una scrittura pubblicitaria. Gli sponsor apportarono una liquidità mai vista prima di allora e, conseguentemente, i fatturati del pianeta calcio cominciarono ad assumere contorni molto invitanti e, speculativamente, assai redditizi. Avere, quindi, la maggioranza azionaria di una società sportiva come il Liverpool era diventato un vero e proprio affare di alta finanza che suscitava appetiti inconfessabili di finanziarie, istituti di credito o meri speculatori di borsa.
Conseguentemente anche le prestazioni, sul campo, influenzavano moltissimo il valore delle azioni di una squadra di calcio perchè le quote di mercato di una società sportiva si misuravano attraverso i palmares conseguti nel rettangolo di gioco.
Avere, quindi, una squadra vincente era il miglior modo per garantire gli azionisti di una società alla stregua delle vendite di un bene di consumo.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe domandarsi cosa c'entrino gli hooligans in tutto questo.
Gli hooligans entrano in scena, non a caso, proprio in concomitanza della trasformazione manageriale delle società sportive inglesi assumendo un ruolo molto significativo perchè costituivano un centro di potere, a latere certo ma visibile e per questo parimenti importante, volto alla preservazione del valore azionario di una squadra.
Gruppi di holligans cominciarono, infatti, ad essere presenti anche nelle sedute di allenamento della squadra come deterrente per quei giocatori che, durante la settimana, mostravano di impegnarsi, poco o punto, nella rifinitura di un incontro di calcio prossimo venturo.
E, naturalmente, non erano più quegli afiçionados di cui sopra che si autotassavano per seguire la squadra del cuore anche in trasferta.
Anche le tifoserie organizzate quindi, al pari delle società sportive, avevano subito una trasformazione manageriale ed erano assurte ad un ruolo collaterale di questa evoluzione del pianeta calcio per cui disporne de
l controllo cominciava ad assumere una valenza decisamente appetibile poichè significava, da un lato, cautelarsi dalla scarsa professionalità dei primi attori - i giocatori sul campo per intenderci - e, dall'altro, avere tra le mani una variabile da mettere in campo nell'ambito delle scalate finanziarie per il controllo azionario della società.
Il fenomeno hooligans, dunque, nasce contestualmente alla trasformazione del mondo del calcio come risposta alla mutazione genetica delle società sportive e all'ingresso degli sponsor.
Se, fino ad allora, il controllo di una squadra di calcio era stato sugellato attraverso dei meri gentlemen's agreements ed era stato, in definitva, delegato al mecenatismo di quelli che Carraro definiva i ricchi scemi, da quel momento in poi lo scenario muta drasticamente.
E per preservare il controllo di una società sportiva la tifoseria organizzata assume un forte deterrente volto alla preservazione del valore azionario e come variabile nell'atto della vendita di una squadra di calcio.
Se, ad esempio, il proprietario di un team di football vuole contrattare, da un punto di forza, la vendita del pacchetto di maggioranza di una società può sobillare, alla bisogna, una rivolta popolare della tifoseria contro il nuovo acquirente inducendolo a più miti pretese.
Purtroppo gli hooligans, per poter costituire un deterrente realmente efficace, necessitavano di parecchio danaro. L'organizzazione di una tifoseria non è cosa che si possa improvvisare da un momento all'altro, occorrono anni. Anni e soldi, appunto. Il prezzolamento di questi gruppi era un affare molto sporco che veniva consumato nei retrobottega di uno stadio attraverso patti taciti e scellerati stipulati fra gli azionisti della squadra ed i capi della tifoseria. A loro volta i leader delle tifoserie dovevano, per poter essere appetibili e credibili, circondarsi delle peggiori feccie della città. Nulla di più semplice, quindi, che agglomerare, sotto lo stendardo di un gruppo parasportivo, i delinquenti locali : picchiatori di professione, sbandati di ogni sorta, malviventi e pregiudicati. A ben vedere i criteri di assunzione di questi gruppi ricordano, molto da vicino, quelli del reclutamento delle camicie nere di mussoliniana memoria. Protetti dai vertici delle società sportive, quindi, in Inghilterra uno sparuto gruppo di poche centinaia di persone riuscivano, con il beneplacito delle forze dell'ordine, a tenere sotto scacco uno stadio intero. Ma, una volta capito il gioco, anche altri speculatori cominciarono a praticarlo senza reticenza alcuna seguendo, grosso modo, due strade : la prima era quella di prezzolare, ancor più lautamente, i gruppi organizzati già presenti negli stadi usandoli come arma contundente contro i vertici delle società sportive. La seconda era quella di organizzare gruppi alternativi che, magari, andavano annidandosi nelle curve opposte : una sorta, quindi, di contropotere uguale e contrario a quello storico con il risultato che, fuori e dentro gli stadi, si assistevano, periodicamente, a scene di vera e propria guerriglia urbana con lo scopo, questa volta, di far crollare il valore azionario di una società sportiva per dissuadere gli sponsor e gli investitori al fine di un mutamento degli assetti societari ed azionari di una compagine sportiva. Un gioco, quindi, davvero sporco messo in atto da delinquenti - i veri delinquenti - senza scupolo alcuno che non lesinavano, un istante, a mettere a ferro e fuoco una cittadina per speculare, in maniera indegna, sui propri interessi.
A loro volta gli hooligans erano diventate delle vere e proprie società per malazioni pronte a vendersi, ed a rivendersi, al migliore offerente. A differenza, quindi, delle camicie nere - ovvero di quelle brune di hitleriana memoria - che restarono, sempre, sotto il rigido controllo dei loro ras ed, in definitiva, del partito unico, di queste camicie scolorite si perse, praticamente, il controllo.
Diventati sempre più incisivi e sfrontati, questi gruppi cominciarono, nel tempo, a trattare da pari a pari con i vertici azionari delle società sportive che, in ogni caso, non potevano più prescindere dal loro supporto fuori dal campo e sulle gradinate degli impianti sportivi.
Una sorta di equilibrio precario che sfociava, di tanto in tanto, in disordini devastanti senza che nessuno potesse metterci, realmente, mano.
Ed è, sostanzialmente, la medesima situazione che avviene, oggi, in Italia.
In Inghilterra questa fase è stata superata attraverso un intervento decisivo volto a colpire i gangli vitali del fenomeno. Ma questo intervento è stato reso possibile da un mutamento globale del corollario che si agitava dietro le quinte dell'industria del football.
Intorno alla metà degli anni '80, nel Regno Unito lo scenario che fungeva da sfondo al panorama del pianeta calcio comincia a denotare un cambiamento epocale che produrrà i suoi effetti, grosso modo, solamente agli inizi degli anni '90.
L'avvento delle PayTV, infatti, sposta drasticamente il fulcro degli interessi che gravita sul mondo del football incidendo sulla essenza stessa del fenomeno che da volontà assurge al ruolo di rappresentazione.
Una partita di calcio, difatti, era una sorta di evento unico nel suo genere.
Ogni incontro era una espressione di volontà, appunto, unica ed irripetibile riservata esclusivamente a coloro i quali si recavano sulle gradinate di un impianto a seguire il loro team. Non che fino quel momento il calcio non fosse stato rappresentato, certo, ma la intrusione delle emittenti televisive era stata circoscritta a dei palinsesti specifici - i rotocalchi di approfondimento ovvero le trasmissioni sportive etc. - le quali rappresentavano il fenomeno in maniera assolutamente bignamesca limitandosi, cioè, a fornire brevi sintesi nelle quali venivano riproposte - meglio, rappresentate - ai telespettatori, alcune fasi salienti degli incontri lasciando, però, nei fatti preservato ed immune, nella sua essenza, la fenomenologia di un incontro di calcio.
Il calcio, cioè, preservava la sua ineffabile liturgia alla stregua degli avvenimenti che scandivano la quotidianietà della società britannica.
La sua sacralità, quindi, veniva, in una certa qual maniera, preservata e tutelata ad eccezione degli incontri di calcio delle compagini nazionali i quali, invece, venivano rappresentati nella loro integralità.
L'ingresso, dunque, nel pianeta calcio delle emittenti televisive, da un lato, e della tecnologia, dall'altro, doveva mutare, intrinsecamente, la stessa fisiologia del fenomeno che, da unico ed irripetible, diveniva mero oggetto di consumo e, quindi, replicabile indefinitivamente.
Se, per intenderci, fino ad allora l'incontro di calcio, mettiamo, fra Manchester City e Manchester United era stato appannaggio esclusivo di coloro che avevano preso parte attiva - i giocatori, lo staff tecnico, la terna arbitrale etc. - e passiva - gli spettatori assiepati sulle gradinate dell'impianto - al fenomeno, da quel momento in poi anche coloro che, fisicamente intendo, non facevano parte di quel corollario attraverso una registrazione video ovvero una videocronaca in presa diretta o differita cominciarono, parimenti, ad usufruirne.
Il fatto stesso che di quel fenomeno se ne possa usufruire, appunto, financo in un contesto spaziotemporale differente ne muta, da un punto di vista ontologico, l'essenza stessa ; il fenomeno, unico ed irripetibile in sè, assurge ad una rappresentazione e, come tale, viene piegato alle logiche di un mero prodotto di consumo divenendo, quindi, replicabile e, commercialmente, spendibile in una maniera completamente diversa perdendo, così, il suo connotato sacrale.
Come oggetto di consumo, quindi, questa rappresentazione segue, pedissequamente, le dinamiche del mercato ; e gli interessi che vi ruotavano attorno, circoscritti al rettangolo di gioco, si spostano sull'etere.
Chiunque, anche a centinaia di chilometri di distanza, può giovarsi della rappresentazione di cui sopra ed essere, quindi, passivo partecipe degli inserzionisti pubblicitari. Le potenzialità commerciali indotte dalle PayTV sono enormi e suscitano gli appetiti degli sponsor come mai prima di allora. Se, fino a quel momento, una società di calcio poteva, in fin dei conti, contare sugli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso agli impianti e, solo marginalmente, sulla contribuzione degli inserzionisti che pubblicizzavano i loro marchi sulle magliette dei giocatori ovvero sui pannelli pubblicitari attorno al rettangolo di gioco ad appannaggio esclusivo del pubblico pagante, adesso la fascia di potenziali utenti aumenta in maniera vertiginosa. A fronte, cioè, di ottantamila spettattori che si recavano, magari con disagio, allo stadio per vedere una partita di calcio ci sono, ora, milioni di telespettatori che, comodamente assiepati nelle poltrone delle proprie dimore, contribuiscono, in maniera determinante, con i loro consumi indotti alle fortune finanziarie di un club.
Questa rivoluzione copernicana apporta una serie di conseguenze che, schematicamente, possiamo riassumere in alcuni punti nevralgici.
In primo luogo, l'industria del calcio assume, da adesso, una valenza decisamente appetibile perchè il volume di fatturati che ruota attorno al mondo del football cresce in maniera esponenziale e vertiginoso come mai prima di allora. Questa evoluzione comporta che se, prima, la gestione di una squadra di calcio di un certo spessore - e di un certo seguito, naturalmente - poteva essere appannaggio del mecenatismo di questo o quell'imprenditore adesso, viceversa, diventa pertinenza stretta del mondo della grande imprenditoria, delle grandi banche e delle grandi compagnie assicurative e finanziarie.
In secondo luogo, se, ieri, gli introiti principali di una squadra di calcio ruotavano, essenzialmente, sulla campagna abbonamenti e sulla presenza di spettatori che, fisicamente, assiepavano le gradinate degli impianti oggi, di contro, i flussi finanziari principali ruotano attorno agli accordi che vigono in una sorta di triade costituita dalle società sportive, dalle emittenti televisive a pagamento e dagli inserzionisti pubblicitari. Avere, cioè, lo stadio pieno o vuoto diventa, da un punto di vista finanziario, irrilevante poichè conta, infinitamente di più, avere un cospicuo novero di abbonati televisivi i cui consumi, a conti fatti, fanno adesso la differenza.
In terzo luogo, infine, la valenza economica di una squadra di calcio comporta una gestione manageriale differente. Tramonta, definitivamente, l'era dei grandi presidenti - almeno per ciò che concerne le società sportive più rappresentative - e subentrano esponenti del mondo finanziario e del terziario avanzato. In Gran Bretagna si affacciano, anche, finanziatori stranieri. In Italia, invece, il controllo di maggioranza di un pacchetto azionario resta, almeno sulla carta, nelle mani di holding e gruppi nostrani. E se, ieri, un mero palazzinaro calabrese come Corrado Ferlaino poteva gestire, ancora, una piazza prestigiosa come quella di Napoli oggi, viceversa, occorrono personaggi di un altro entourage ruotanti nel panorama dell'alta finanza ovvero dell'alta imprenditoria italiana in quanto i costi di gestione di una squadra di football diventano proibitivi anche per la media e piccola imprenditoria locale. Attorno a squadre come il MIlan, l'Inter o la stessa Juventus ruotano i vertici di società come Mediaset, Fiat e Telecom ovvero le massime espressioni del panorama finanziario ed industriale del paese. Medesimo raffronto per ciò che concerne le società sportive anglosassoni gestite da esponenti di spicco dell'alta finanza britannica.
Questa radicale trasformazione del mondo del football nonchè della natura degli introiti ad esso legati determina, quindi, uno scenario molto differente dello sfondo che vi ruota attorno. Lo spostamento dell'asse di interessi da un piano meramente locale e particolare - gli introiti legati alla affluenza del pubblico pagante in un impianto - ad uno più composito - ovvero gli introiti diretti ed indiretti legati alle PayTV - apporta una palingenesi del panorama socioeconomico delle signorie che, oggi, regolano e gestiscono l'industria del calcio.
Lo smistamento sull'etere degli introiti del pianeta calcio modifica, come abbiamo visto, la natura intrinseca del business che ruota attorno a quella che, da ora in poi, diverrà una delle industrie più floride del vecchio continente.
In Italia si calcola che il volume di fatturati del mondo del football si attesti, grosso modo, come terza forza economica del paese dopo il settore delle comunicazioni e del terziario avanzato.
In questa categoria merceologica, però, non esiste un soggetto dominante - come, ad esempio, nel mercato delle comunicazioni dove la Telecom la fa da padrone - quanto, piuttosto, una sorta di oligarchia pallonara che ruota attorno a quattro società cardini - il Milan, l'Inter, la Juventus e la Roma - e ad un novero di altre squadre satellitari.
Fin qua, tutto sommato, nulla di nuovo se vogliamo. Sono cose, quelle esposte, che, in una certa qual maniera, sono patrimonio della opinione pubblica. Ma in tutta questa disamina ho, volutamente, trascurato un altro soggetto - l'ultimo - che in tutto questa vicenda è rimasto a latere ma che svolge, da sempre, un ruolo centrale ovvero le amministrazioni locali le quali entrano in scena, in maniera preponderante, sin dagli albori perchè quello che a molti sfugge è l'aspetto logistico del fenomeno calcio.
Per dare il via ad una partita di football occorre essere muniti di uno spazio idoneo adibito alla bisogna ovvero uno stadio che rispetti i canoni regolamentari - le dimensioni del campo ovvero delle porte per intenderci -, di sicurezza - la struttura tecnica degli impianti - e logistici - tutto il novero di infrastrutture che consente ad una persona di recarsi in uno stadio quindi strade, parcheggi etc. - ed il tutto in un contesto urbano, quando non metropolitano, a dir poco problematico. Era più che evidente che, ab initio, nessun imprenditore aveva la forza economica per costruire un impianto sportivo idoneo a questo tipo di evento sportivo. Per consentire un adeguato e confacente start-up, quindi, intervennero le amministrazioni locali. La costruzione - nonchè la proprietà - di uno stadio fu appannaggio, quindi, degli enti locali che diedero inizio ad una serie di opere faraoniche volte ad agevolare questo settore emergente. In Gran Bretagna, dunque, si intrapresero opere pubbliche atte alla realizzazione di strutture sportive disegnate, espressamente, per il calcio. Chi è avvezzo al mondo del football è a conoscenza che gli impianti sportivi inglesi sono caratterizzati dalla presenza di gradinate poste a ridosso del rettangolo di gioco - un pò, per intenderci, come lo stadio S.Siro di Milano - nonchè, almeno agli inizi, del tutto privi di barriere architettoniche. In Italia, invece, molti degli stadi che ospitarono, ed ospitano, il calcio furono allestiti, di contro, in una ottica multidisciplinare. Quello storico di Torino, il Philadelphia, contemplava la pista di atletica alla stessa stregua di quello di Roma - non a caso denominato olimpico e realizzato in previsione delle Olimpiadi del 1960 ospitate, per l'appunto, dalla capitale - o di quello di Bologna - il Dall'Ara - o di quello di Napoli. In questa opera, va detto, un ruolo capillare - in Italia, intendo - lo svolse il fascismo che mise in piedi una serie di impianti sportivi per il calcio in occasione dei campionati del mondo del 1934 ospitati dal regime e che vide l'affermazione della rappresentativa locale nella finale ospitata, a Roma, nello stadio Flaminio.
Ma questo intervento straordinario dello stato - il regime fascista da noi ma, parimenti, il parlamento di Sua Maestà Britannica in Gran Bretagna - aveva un contraltare ovvero la proprietà degli impianti che restava appannaggio dello stato in senso lato (ovvero dei comuni, delle province quando non, direttamente, dello stato centrale medesimo) che, sostanzialmente, dava in gestione l'impianto alla squadra di calcio.
La gestione comportava, naturalmente, un costo : e questo costo veniva, preventivamente, concordato tra i proprietari delle compagini di football e le amministrazioni locali. E fin quando il pianeta calcio è stato rigidamente avulso dagli introiti pubblicitari - leggi sponsor - le sue tifoserie, guarda caso, erano notoriamente tranquille. Con la liberalizzazione e con l'ingresso degli inserzionisti pubblicitari il volume di affari del mondo pallonaro, invece, cominciò a divenire allettante. La possibilità di esporre, sulle magliette dei calciatori, il nome della propria azienda era una occasione molto ghiotta per farsi una enorme pubblicità, certo, ma era altrettanto succulenta la possibilità di esporre il proprio marchio sui cartelloni pubblicitari esposti attorno al rettangolo di gioco e visibilissimi da qualunque angolo dell'impianto. Una sorta, se vogliamo, di pubblicità subliminale che coinvolgeva gli spettatori paganti inducendo loro bisogni e consumi nuovi. Questa nuova frontiera del marketing determinò, lo abbiamo visto dianzi, la traformazione della gestione finanziaria delle società sportive e, guarda caso, una concomitante trasformazione in senso manageriale e delinquenziale delle tifoserie organizzate. Ma comportò, parimenti, anche dei ritocchi verso l'alto dei contratti di gestione degli impianti perchè le amministrazioni locali presero a modificare, in una ottica capestro, gli accordi stipulati con i presidenti dele squadre di footbaal. D'altro canto le autorità locali potevano, serenamente, trattare da una posizione contrattuale assolutamente privilegiata e monopolistica poichè senza uno stadio una squadra di calcio non poteva, in alcuna maniera, produrre utili.
L'ingresso delle PayTv ha aumentato, a dismisura, gli introiti legati al mondo del calcio : ma questa rivoluzione copernicana, lo abbiamo parimenti visto prima, determinò l'ingresso nel pianeta calcio delle grandi banche, dei grandi finanziatori e della grande impresa soppiantando, quindi, l'epopea dei grandi presidenti che lasciarono il campo alle holding dei più potenti gruppi economici del paese. E l'ingresso di questa nuova elite determinò uno scenario affatto diverso perchè se il volume degli introiti si spostava, come abbiamo letto sopra, sull'etere era, altresì, vero che l'impianto sportivo restava la pietra angolare di tutto il business. Ma, adesso, la sostanziale differenza era che se, prima, il presidente era, per quanto facoltoso, un mero imprenditore adesso i proprietari delle squadre di calcio erano delle vere e proprie S.p.A. ovvero delle multinazionali quotate in borsa. Era tempo, quindi, di rivedere i contratti della gestione degli impianti ma in una ottica decisamente speculare rispetto a quella che aveva contrassegnato il mondo del calcio fino a quel momento.
L'obiettivo, quindi, diveniva, a questo punto, la privatizzazione degli stadi di calcio che dovevano essere sottratti agli enti locali e divenire integra proprietà delle società di calcio.
Gli hooligans furono, quindi, utilizzati, negli anni '90, in questa ottica ovvero come arma contundente contro le amministrazioni locali.
La devastazione di un impianto sportivo, naturalmente, aveva dei costi di ristrutturazione che, guarda caso, non erano addebitate alle società sportive ma agli enti locali.
La devastazione di una cittadina, ovvero di un quartiere di una metropoli, aveva un costo che gravava sulle spalle delle amministrazioni locali e non certo di una società sportiva.
Il dispiegamento delle unità antisommossa nonchè il controllo del territorio in concomitanza di un evento sportivo a rischio, come erano diventate le partite di calcio, aveva un costo che ricadeva sulle imposte addebitate alle comunità locali.
Forse, adesso, sarà un pò più chiaro chi aveva, realmente, interesse a mantenere in piedi un baraccone scalcinato come quello delle frange estreme delle tifoserie organizzate e per quali reconditi scopi.
Gli hooligans, quindi, svolsero - e bene direi anche se, naturalmente, a loro insaputa - un fondamentale compito di detonazione atto a promulgare un nuovo assetto nella contesa promossa dalle società di football nei confronti delle amministrazioni locali per una qual sorta di appropriazione indebita degli impianti sportivi.
Messi con le spalle al muro gli enti locali cedettero e svendettero - a prezzi stracciati, naturalmente - gli stadi ai nuovi padroni delle società di calcio.
E solamente a questo punto - ma vah ? - scattarono le misure cautelative volte alla definitiva defenestrazione del fenomeno hooligans anglosassone.
Il famigerato rapporto Taylor - ovvero tutte quelle annotazioni volte alla identificazione delle frange estreme delle tifoserie britanniche - era, in realtà, pronto negli scaffali dei servizi segreti britannici da lustri. Alla sua stesura collaborarono, attivamente, proprio i vertici delle società sportive le quali conoscevano, a menadito, i componenti delle tifoserie organizzate - visto che erano stati da loro, fino a quel momento, finanziati e supportati - e si provvide, repentinamente, a porre fine a questa emergenza sociale.
Ma questo intervento, drastico, volto a colpire i gangli vitali del fenomeno hooligans era un mero corollario ad una vergognosa speculazione finanziaria volta alla acquisizione, a prezzi stracciati, degli impianti sportivi anche perchè costruirne di nuovi era, a dir poco, problematico non solo sotto un profilo squisitamente finanziario ma, soprattutto, da quello legislativo e burocratico poichè nessuna amministrazione locale avrebbe mai conferito quei permessi indispensabili alla costruzione di nuovi stadi pena la perdita del monopolio.
Nell'ottica di una grande holding, quindi, anche gli impianti sportivi dovevano diventare dei microsettori economicamente produttivi. La defenestrazione degli hooligans comportò, nell'immediato, un ritorno sugli spalti di un novero sociale di spettatori che avevano, gioco forza, dovuto abbandonare le gradinate ; in particolar modo pensiamo alle famiglie medio borghesi ed agli adolescenti. Il comfort degli impianti ha assunto una dimensione teatrale contemplando un novero esclusivo di posti a sedere rigorosamente numerati. Inoltre attorno, ed all'interno, degli stadi sono proliferate attività commerciali indotte - tavole calde, negozi di gadgettistica etc. - gestite sotto l'egida del marchio del club. La sicurezza degli impianti è stata affidata ad agenzie private che, negli sporadici casi di disordini, intervengono in maniera energica e repentina non lesinando violentissime manganellate sui volti dei malcapitati. La tolleranza, adesso, verso eventuali derive hooliganesche della tifoseria è, naturalmente, pari allo zero.
E così come, d'incanto, erano apparsi parimenti, adesso, gli hooligans svaniscono e gli stadi inglesi sono diventati, come per magia, tra i più sicuri del mondo.
Naturalmente anche questa sicurezza e questo comfort ha un costo.
I prezzi dei biglietti e degli abbonamenti sono lievitati in maniera esponenziale fungendo, di fatto, da filtro e deterrente per le classi sociali meno abbienti alle quali, nei fatti, viene precluso l'accesso agli stadi.
Ma che fine han fatto gli hooligans ? Fisicamente intendo ?
Gli hooligans, checchè ne blaterino e ne scrivano i beneamati giornalisti, non sono affatto spariti di scena nè, tantomeno, potevano volatilizzarsi ma hanno subito alcune oeprazioni di drenaggio nel senso che alcuni di loro sono stati cooptati nelle nuove strutture.
I vertici delle tifoserie - i capi storici, dunque - gestiscono, adesso, parte di quel business indotto di cui abbiamo fatto menzione più sopra, ovvero gadgettistica e similari, mentre gli esponenti più violenti - i mazzolatori, insomma - sono stati assorbiti - ma vah ? - proprio da quelle agenzie private che oggi svolgono , in maniera energica ed efficace, il delicato compito di preservare la sicurezza negli impianti tenendo, doverosamente, di conto che nessuno meglio di costoro avrebbe potuto adempiere ad una mansione similare vista la pluridecennale esperienza acquisita nel settore.
Un curriculum, insomma, davvero prestigioso di fronte al quale era davvero difficile opporre un diniego.
La parte restante, invece, pur rimanendo rigorosamente estromessa dagli stadi e dalle arterie contigue agli impianti continuano, lontano dai clamori dei media, ad organizzare microguerriglie urbane nei quartieri periferici rigorosamente sorvegliate dalle forze dell'ordine e circoscritti in alcuni spazi adibiti alla bisogna salvo, poi, ritornare sotto i riflettori in occasione delle partite della nazionale di calcio inglese quando questa, però, è impegnata in competizioni ufficiali all'estero profittando del fatto che se, in patria, i loro volti e le loro generalità sono patrimonio delle unità antisommossa all'estero, di contro, restano ancora misconosciuti e sono, dunque, ancora in grado di poter agire con il beneficio della sorpresa.
In Italia, invece, la situazione resta di stallo in quanto - a differenza del Regno Unito - le amministrazioni locali nostrane hanno dei seri problemi di bilancio e rinunciare ai cospicui introiti derivanti dalle kermesse del calcio costringerebbe gli amministratori ad aumentare i tributi locali diretti ed indiretti compromettendosi politicamente. D'altro canto le continue minaccie dei grandi club di agire altrimenti non riescono a sortire gli effetti sperati.
Per strappare dei contratti meno onerosi, lo ricorderete spero, la Juventus minacciò il comune di Torino di giocare le partite casalinghe lontano dal capoluogo piemontese laddove la Sensi ventila, sempre, la possibilità di costruire - ex novo - un nuovo impianto sportivo che soppianti il vetusto olimpico capitolino.
Anche il neo presidente del Napoli, De Laurentiis, non lesina stoccate a destra e a manca contro il disastrato comune partenopeo ; non pago di aver ereditato del vecchio Napoli Calcio unicamente gli attivi relegando alla amministrazione comunale ed a quella regionale i passivi - e questa operazione di alta finanza, per inciso, fu messa a punto nel silenzio generale dei media e qualche anno prima della medesima operazione svolta dall'esecutivo Berlusconi in merito alla vertenza Alitalia - adesso questo signore si concede anche il lusso di prospettare la costruzione di un nuovo impianto sportivo suo proprio nel comune adiacente di Pozzuoli.
Per mia fortuna - visto che anche io sono residente a Pozzuoli - è proprio la conformazione geologica del territorio - notoriamente soggetta a fenomeni di bradisismo - che preclude, nei fatti, la costruzione di uno stadio per il calcio e rende, quindi, assolutamente velleitaria questa minaccia del nuovo patron partenopeo.
In definitiva, dunque, in Italia è proprio la situazione disastrata delle amministrazioni locali che preclude, nei fatti, il superamento di questa fase cruciale nei rapporti tra le tifoserie organizzate, le società di calcio e gli enti locali. E poichè non esiste modo alcuno per porre rimedio a questo sfascio dei conti pubblici ne consegue che questo fenomeno resterà, salvo imprevisti, vivo e vitale ancora per molti anni a venire.
Ho amato il calcio come pochi altri ma, forse, proprio per questo ho deciso di disertare gli stadi e le kermesse delle PayTV.
Per un vecchia cariatide del secolo scorso come lo scrivente sulle gradinate non c'è più posto oramai.
E poichè il calcio mi ha voltato le spalle ho deciso, parimenti, di voltargli le mie.
Questo mia disamina è dedicata al funzionario di polizia FIlippo Raciti la cui vita è stata spesa, purtroppo, inutilmente al servizio dello stato.