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giovedì 8 luglio 2010

Lelio Luttazzi

Galantuomo è un termine antiquato e desueto tipico, forse, di una certa bolsa retorica di inizio '900. Eppure, a caldo, non riesco a trovare una definizione che si attanagli maggiormente a Lelio Luttazzi che, questa notte, ha "deciso" di lasciarci. Il riferimento, com'è ovvio, va al contegno tenuto dal maestro in occasione della triste vicenda giudiziaria che lo vide coinvolto, fra gli altri, in una balorda ed immediata traduzione al carcere di Regina Coeli per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti disposta da un non ben identificato pool di magistrati che, in cambio di qualche spicciolo di notorietà, non esitarono, un istante, non solo a disporne l'arresto immediato ma a sottoporlo - previo prezzolamento - alla gogna mediatica. In quei mesi sui nostri "rotocalchi di informazione e di approfondimento" - Epoca, Espresso e Panorama su tutti - le fotografie di Luttazzi e di Chiari furono il "tormentone" di quel torrido giugno del 1970 e la sua vicenda passò in secondo piano solo e soltanto perchè la nostra benemerita nazionale di calcio si rese protagonista dell'avvincente semifinale con i tedeschi. Inutile sottolineare che nessun magistrato inquirente nè, tantomeno, alcun fotoreporter pagò per quell'indegno sciacallaggio mediatico che sconvolse la vita del maestro e, di fatto, distrusse quella di Chiari. D'altronde la società italiana, solerte a genuflettersi di fronte al potente di turno, fu celere ad inebriarsi, morbosamente, della caduta in disgrazia di alcuni di questi. Non che fosse una novità, intendiamoci ; la nostra (S)toria, recente e non, è colma di esempi, anche illustri, di questi repentini ed "inaspettati" mutamenti d'umore della progenie italica. Due nomi su tutti : Girolamo Savonarola e Masaniello ma anche, in epoce più vicine alla nostra, Benito Mussolini e Bettino Craxi per non parlare, poi, della mediacità dell'inchiesta "Mani pulite" che "appassionò" milioni di italiani che esultavano alla notifica della traduzione in arresto di quel politico e/o di quell'imprenditore ai quali, solo qualche mese prima, avevano tributato onori, richiesto favori, elargito voti e distribuito laute "provvigioni" (leggi tangenti). Non ricordo, a memoria, alcuna dichiarazione rilasciata da Luttazzi in merito a questa vicenda che potesse essere lesiva della reputazione di quel giudice inquirente o di quel giornalista. Il maestro, dopo un brevissimo ritorno in radio ed in televisione, abbandonò volontariamente la scena rifugiandosi nella sua amata Trieste dove riprese anche la sua attività di concertista. Perchè il maestro, prima di essere un conduttore ed un volto noto del piccolo schermo, era uno dei musicisti più sensibili sulla scena del jazz e dello swing nostrano. Lelio Luttazzi ci ha regalato alcune delle pagine più belle ed emozionanti della storia della televisione. La sua signorilità, la sua classe ed il suo garbo hanno contrassegnato la sua persona non meno della sua opera artistica. Se ne è andato in silenzio lontano dai clamori di quel mondo dello spettacolo che lo aveva, nei fatti, ripudiato e da cui, durante la detenzione, si era sentito tradito. Qualche recente apparizione sul piccolo schermo - un tributo concessogli, forse, per "lavare" qualche coscienza sporca - non basta, a giudizio dello scrivente, a tributargli quella dignità che, in qualche maniera, anche i vertici di viale Mazzini avevano contribuito a fargli dismettere. Penso che il miglior omaggio al maestro glielo abbia già reso, sulle sue pagine, l'amico Emilio Zipparro pubblicando un video estratto dalla edizione del 1961 di "Studio Uno". E, chiedendogli scusa, gli "rubo" questo filmato e, parimenti, lo pubblico su questa pagina. Ciao maestro, mi mancherai tanto