SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

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lunedì 8 marzo 2010

Anatomia di Totò, introduzione











Buongiorno a tutti,
scrivere qualche cosa di nuovo su Totò è difficile. Addentrarsi, poi, in una analisi specifica della ars recitandi di Totò cercando di delinearne una sorta di anatomia è qualcosa di estremamente difficile. Non essendo, inoltre, un tecnico sono una persona assai poco qualificata per estrapolarne un quadro sistematico, omogeneo e coerente ; ciò nondimeno ho ritenuto opportuno, pur nella consapevolezza dei limiti del mio bagaglio cognitivo, cercare di focalizzarne alcuni tratti peculiari anche perché i siti, i blogs o i gruppi che pullulano sul web si limitano, essenzialmente, a raccogliere ed a postare alcuni sketches celeberrimi dell’attore senza, però, cimentarsi, punto, nelle motivazioni che, nell’immaginario collettivo, hanno reso quei frammenti un patrimonio comune della nostra cinematografia – ed, in fin dei conti, del nostro modo di essere e di percepire le cose – che ha resistito, che perdura e che, anzi, si va, man mano, consolidando ad oltre quaranta anni di distanza dalla sua scomparsa. La lettera di Totò e Peppino in “Totò, Peppino e la malafemmina”, ad esempio, è uno dei filmati più cliccati su You Tube e, senza meno, uno degli episodi più famosi ed esilaranti di Totò. Ma nessuno, salvo rare eccezioni, si chiede il perché lo sia. E nessuno, salvo rare eccezioni, si chiede perché altri tentativi analoghi – mi viene in mente quello fatto da Benigni e Troisi nel lungometraggio “Non ci resta che piangere” – siano destinati ad impallidire miseramente al confronto. Questi posts, quindi, nascono con l’idea di cercare di dare qualche risposta nonché a proporre spunti di riflessione nella speranza che altri, oltre al sottoscritto, possano contribuire ad allargare il campo della macchina da presa onde demarcare un contorno meno sfocato della comicità di Totò.
La difficoltà, enorme, di un monitoraggio analitico risiede nel fatto che Totò, quando recita, non scorpora, come è ovvio, le eterogenee componenti della sua comicità ma le utilizza contemporaneamente per cui estrapolare lo spartito di un violino di fila, di una viola, di un fagotto, di un violoncello per poi restituirli al suono d’insieme di una orchestra è compito arduo. Per dare una idea del processo di analisi che si deve affrontare per addentrarci nella comicità di Totò ho scelto uno spezzone tratto dal film “I tartassati” che dura, circa, due minuti nel quale l’attore interpreta il ruolo di un sedicente cavaliere, il cavaliere Pezzella, un commerciante che gestisce un esercizio di vendita al dettaglio di abbigliamento. A causa di presunte alterazioni nella presentazione della dichiarazione dei redditi, l’agenzia delle entrate dispone una investigazione che viene affidato al maresciallo Fabio Topponi (Aldo Fabrizi) il quale, insieme al suo collaboratore Bardi (Ciccio Barbi), appronta l’accertamento. La scena che si svolge nell’ufficio del cavalier Pezzella ha il suo preludio nella telefonata che Totò fa al suo “consulente fiscale”, il ragionere Ettore Curto (Louis De Funes) che, per guadagnare tempo, gli consiglia di essere gentile, disponibile e di trovare qualche punto in comune, “Sapere come la pensano, per esempio, in politica”. Si noti che, per cercare una affinità, non si suggerisce un argomento sportivo – il calcio ad esempio – ma la politica proprio perché il senso di appartenenza e di comunanza conferito dalla politica è sicuramente più elitario ed esaustivo di quello di una semplice simpatia per una militanza sportiva.
Qui è chiaro il riverbero della contrapposizione ideologica di quegli anni – fascismo/antifascismo – che sarà, poi, il canovaccio su cui si svolgerà tutta la scena.
Dunque quando Totò ritorna in ufficio noi spettatori sappiamo, ab initio, che il suo scopo è proprio quello di instaurare una “affinità interessata” con Fabrizi e questa nostra consapevolezza sottende a tutta la scena che, di lì a poco, prenderà le mosse da quella telefonata.
Questa attitudine dell’accomodamento, tipico costume italico, è già una amara satira di costume. Su questa satira si innesta la vis parodistica di Totò, caratterizzata da una ossessiva e reiterata esasperazione. Il primo equivoco, su cui si innesta prepotente l’attore, sorge quando Fabrizi, interloquendo con Barbi, fa un accenno all’epoca della buonanima. Questo modus dicendi per noi, oggi, alquanto ambiguo e generico, era, all’epoca, sussurrato, a mezza voce, da molti di coloro i quali, delusi dal decorso politico post-bellico contrassegnato da molti scandali ed episodi di corruzione e mal funzionamento della pubblica amministrazione e, più in generale, della macchina dello stato, avevano cominciato a rimpiangere, sottovoce appunto, proprio il regime fascista sicché non appena Totò pensa di aver capito che Fabrizi è un nostalgico del ventennio prende le redini della scena focalizzando, su di sé, l’attenzione dello spettatore e, modulando il suo timbro vocale con una successione di un tono acuto ed uno grave, – “Ah ?! Cosa ha detto !” – comincia a rafforzare, vieppiù, la sua recitazione attraverso il fisico. Comincia a toccare, con la mano, ed insistentemente, Fabrizi ; muove la mano destra in senso di diniego per rafforzare la frase – “E non tornano più !” – ; fa un saluto fascista – siamo in piena censura, è bene non dimenticarlo – ricalcato da una parola d’ordine – “ Italiani !!!” – che, appena qualche lustro precedente, aveva contrassegnato il linguaggio comune ed il comune sentire del paese e, subito dopo, prende a canticchiare un motivetto mutuando una aria assai in voga nel ventennio – “Giovinezza” – ma attanagliandolo alla specifica circostanza cambiandogli le parole – “ Maresciallo, maresciallo, ho afferrato…” – enfatizzando, con la mano, il fatto che lui abbia realmente “afferrato” quelle che sono le presunte simpatie politiche di Fabrizi facendo proprio il gesto di afferrare, appunto, qualche cosa al volo. Ed, in questo crescendo, inserisce due chicche di verbalità. La prima è il riferimento al fatto del tergiversare. Totò scompone la parola in due ossia in tergere e versare – “Me la chiama congiuntivite per tergi e versare”, appunto – facendo conto che, in quel momento, Fabrizi, effettivamente, si terge il viso con un fazzoletto ma versa anche delle lacrime e, nel contempo, agli occhi di Totò – e anche ai nostri – sembra che stia, con quell’atteggiamento, prendendo tempo e che stia, quindi, tergi-versando. Con una parola, insomma, si creano i presupposti per tre significati completamente differenti. E qui è bravo Fabrizi che, con pochi gesti, accompagna e rafforza, fisicamente, quanto Totò sta proferendo verbalmente. E, ancora, quando avvolgendo entrambi in un abbraccio cameratesco tira fuori un “A noi ! Bardone !” storpiando intenzionalmente il cognome dell’appuntato Bardi coniandololo come una sorta di aggettivo usandone una accezione accrescitiva (Bardone da Bardi, appunto) ma conferendogli, vieppiù, una sorta di cameratesca comunanza fascista. Quando, poi, si rende conto di aver male interpretato il pensiero di Fabrizi – che, si riferiva ai tempi della buonanima di sua nonna – Totò accompagna la sua frase di giustificazione – “Ah, ma lei è anti… come me” – anche fisicamente ritraendo leggermente indietro il proprio corpo compiendo, così, una duplice retromarcia – verbale e visiva, quindi – salvo, poi, chiarito l’equivoco, riproporlo prepotentemente in avanti quando avalla la sua frase successiva – “E poi, che diavolo, siamo tutti italiani, siamo italiani, abbiamo fatto una guerra” – quasi a voler, anche visivamente, ritornare sui suoi passi cercando, disperatamente, di riallacciare una empatia con il maresciallo Topponi proponendosi come improbabile, ed a questo punto assai poco credibile, antifascista concludendo questo siparietto gustosissimo battendo il tempo sulla scrivania mentre canticchia “Tuppe Tuppe marescià…”
Questa scenetta dura poco meno di due minuti. Eppure guardate quanti spunti di riflessione suscita la sola “ars recitandi” di Totò. In questo primo post ho voluto, quindi, semplicemente proporne alcuni.
Ed ho, altresì, volutamente tralasciato l’interpretazione di Fabrizi e di Barbi – che meriterebbero un inciso a parte – nonché la descrizione della struttura della comicità che si snoda tra Totò e Fabrizi – alcuni giochi di sponde – e l’ossessiva fissità della macchina da presa che accompagna il tutto nonché tutte le accezioni inerenti l’aspetto sociale e politico che contrassegnarono moltissime produzioni cinematografiche dell’attore. Ma questi saranno argomenti che, via via, cercherò di sviluppare successivamente.