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mercoledì 3 ottobre 2012

Alimurgia : Le erbe spontanee come risorsa alimentare

tratto da:
 le piante alimurgiche, le piante spontanee di uso alimentare nel Territorio Etneo - del Dipartimento di Botanica Università degli Studi di Catania


L'uso delle verdure spontanee quali fonte di sostentamento, soprattutto per le popolazioni rurali, non è limitato solo al territorio etneo, ma è diffuso anche nelle altre regioni del nostro Paese.

Sull'utilità delle erbe commestibili si hanno ampie tradizioni orali e diverse testimonianze scritte; la prima pubblicazione che affronta l'argomento sotto il profilo scientifico è quella del medico fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti e risale al 1767. L'opera tratta i rimedi mediante i quali le popolazioni, ricorrendo all'uso dei prodotti spontanei della terra e principalmente delle verdure, riuscivano a sfamarsi durante le carestie (era appena passata quella del 1764), le pestilenze, le guerre, le calamità naturali, eventi, questi, che impedivano lo svolgimento delle normali pratiche agricole. L'opera dal titolo De alimenti urgentia e sottotitolo Alimurgia, ossia modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per il sollievo dei popoli, introduce la locuzione alimurgia dalla quale deriva il termine fitoalimurgia che, ancora oggi, designa lo studio delle piante a scopo gastronomico e che deriva da tre vocaboli greci, phytón = pianta, alimos = che toglie la fame ed ergon = lavoro, attività.


Dopo TARGIONI-TOZZETTI (1767), diversi ricercatori si sono occupati di fitoalimurgia; tralasciando quelli dell'Ottocento, nel nostro secolo e particolarmente in coincidenza con le due guerre mondiali e l'autarchia fascista, segnaliamo MATTIROLO (1918), RICCARDO (1921) e ARIETTI (1941). Inoltre, in relazione alla crisi socioeconomica collegata alla seconda guerra mondiale, il prof. A. Tukakov ha redatto una carta fitoalimurgica dell'Istria e dell'Illiria per aiutare le popolazioni locali a superare, con le piante spontanee, le notevoli difficoltà alimentari dovute principalmente alle ristrettezze economiche (LANZANI ABBÀ, 1960). E' interessante sottolineare che, durante l'ultimo conflitto, le truppe statunitensi sbarcate in Italia disponevano di un manuale di fitoalimurgia, approntato da una commissione di botanici americani, da utilizzare come prontuario di sopravvivenza. Nello stesso periodo di stretta sussistenza, anche le nostre popolazioni locali, a prescindere dall'apporto scientifico di questa disciplina, della quale sconoscevano anche il nome, andavano per le campagne a raccogliere le verdure più impensabili per rifornire la parca mensa. Furono recuperate le più antiche tradizioni fitoalimurgiche locali, ad esempio, l'uso alimentare del Mazzacani (Carlina hispanica Lam.) e della Cicerchia (Lathyrus articulatus L.), e ne furono sperimentate altre, importate dagli sfollati provenienti da altre regioni, come la commestibilità dei Guddizzuni (Arctium lappa L.).


L'impiego alimentare delle verdure spontanee è una pratica diffusa in tutta l'Italia (ALIOTTA, 1987), ma la scelta delle piante può variare nei diversi distretti regionali; mentre alcune specie sono ritenute mangerecce su tutto il territorio nazionale, ad esempio il Caccialepre (Reichardia picroides (L.) Roth), altre, invece, vengono raccolte e consumate solo all'interno di delimitate aree geografiche (GULINO, 1984).


Nel territorio etneo, se da un lato si consumano specie la cui valutazione di commestibilità è esclusiva, dall'altro vi sono piante che nessuno raccoglie, pur essendo ritenute eduli in altre regioni italiane (CORSI e PAGNI, 1979a; ALIOTTA, 1987; MANZI, 1987); fra le prime citiamo il Cavolicello (Brassica fruticulosa Cyr.), la Bellavedova (Hermodactylus tuberosus (L.) Salisb.), il Guado (Isatis tinctoria L.), la Bacchetta del re (Asphodeline lutea (L.) Rchb.), la Salsapariglia (Smilax aspera L.), la Barbatella (Tolpis quadriaristata Biv.) e la Carlina spagnola (Carlina hispanica Lam.). Fra le seconde, invece, menzioniamo le piante qui appresso indicate con i loro nomi dialettali etnei, volgari e scientifici:

Nome dialettale
Nome volgare
Nome scientifico
Ainisca
Farinaccio
Chenopodium album L.
Ardica
Ortica
Urtica dioica L.
Erba di ventu
Parietaria
Parietaria officinalis L.
Ruvettu
Rovo
Rubus ulmifolius Schott
Paparina
Papavero
Papaver rhoeas L.
Ciuri di majo
Ingrassabuoi
Chrysanthemum coronarium L.
Guddizzùni
Bardana
Arctium lappa L.

Nell'Italia centro-settentrionale, ad esempio, la Fedia cornucopiae (L.) Gaertner, detta Piede di gallina, è considerata la "regina delle insalate" (CORBETTA, 1991), mentre sull'Etna, dove pure forma copiose popolazioni, nessuno la utilizza come alimento, tant'è che non possiede alcun nome dialettale.

Nella società attuale, la fitoalimurgia riveste ruoli ben diversi rispetto a quelli del passato: non più necessità alimentare, ma puro interesse per i prodotti naturali. Durante gli ultimi anni, diversi studiosi, quali FRANKE (1985), SOUCI (1986) e FRITZ (1989), hanno evidenziato che le verdure spontanee contengono elevate concentrazioni di sali minerali, proteine, un alto tasso di vitamine A e C e notevoli percentuali di fibre, in quantità maggiori rispetto agli ortaggi coltivati. Per queste proprietà esse risultano utili a integrare e migliorare l'alimentazione, al giorno d'oggi particolarmente ricca di cibi a base di carne e di piatti elaborati che favoriscono l'insorgenza delle cosiddette malattie del benessere (arteriosclerosi, obesità, ecc.). L'introduzione nella dieta di prodotti naturali, quali le verdure, così ricchi di fibre e di principi nutritivi ridurrebbe la richiesta, nelle farmacie e nelle erboristerie, di correttivi alimentari, più o meno artefatti, primi fra tutti i cosiddetti ispessenti (prodotti a base di fibre vegetali come ad esempio la comune crusca).


Le conoscenze fitoalimurgiche rendono, inoltre, possibile l'individuazione e la conservazione dell'enorme potenziale genetico (germoplasma) delle specie spontanee. In un'epoca nella quale i processi di selezione artificiale sono orientati verso poche cultivar merceologicamente produttive ed imposte dalla strategia di mercato, la salvaguardia di tale patrimonio assume un ruolo di estrema importanza. A proposito dei rischi della monocoltura, diversi agronomi del nostro Paese, fra cui BIANCO e PIMPINI (1990) e BRANCA (1991), stanno svolgendo accurati studi fitoalimurgici al fine di individuare le verdure spontanee che manifestino potenzialità alimentari, in modo da poter trarre nuove forme orticole e produrre miglioramenti genetici (maggiore rusticità, maggiore resistenza alle malattie) nelle attuali varietà di ortaggi, mediante incroci con le specie spontanee botanicamente affini; risultati soddisfacenti, ad esempio, sono già stati ottenuti nel pomodoro (Lycopersicon esculentum Miller).


Consulta le schede delle piante alimurgiche etnee



Piante alimurgiche del Veneto


 Piante alimurgiche Lombardia

P.S.: Gli elenchi delle piante non sono completi ma utili