SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

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giovedì 9 giugno 2011

Il caso Santoro ovvero la tarda vocazione aristocratico-settecentesca delle frange estreme del popolo delle sinistre, 1^ parte.

Non amo Michele Santoro perchè il personaggio è agli antipodi da quello che dovrebbe essere un giornalista.
Non è, certamente, il solo a collocarsi ai margini di quella che dovrebbe essere la deontologia professionale di questa categoria ed, anzi, a ben vedere non riesco a trovarne uno - uno che sia uno, dico ! - che possa fregiarsi di questa qualifica con la sola, parziale, eccezione della Gabanelli assai poco amata dall'establishment politico nazionale.
Non ho mai tollerato - e lo scrive uno che è, fondamentalmente, intollerante per cui, se vogliamo, se ne intende - la sua conduzione nonchè la sua moderazione - nel senso di attività moderatrice all'interno dei suoi programmi - poichè invece di porre sul proscenio i suoi ospiti e le loro argomentazioni esula, clamorosamente, da questa funzione ed è, viceversa, egli stesso primo attore, protagonista e mattatore dei suoi talk-show disegnati e preconfenzionati, alla bisogna, su misura.
Rammento, assai nitidamente, una puntata nella quale il buon Santoro cedette, astutamente, la conduzione del programma ad Antonello Venditti che si prodigò in una reiterata serie di esternazioni demagogiche prive di senso logico che ne denotarono, laddove ce ne fosse ancora bisogno, la pochezza ma che, ponendosi in antitesi con la linea prestabilita della trasmissione, erano di capillare importanza per mantenere, integro, quel pathos elettrizzante pena il depauperamento degli indici di ascolto.
Eh già perchè Santoro - alla stregua di Bruno Vespa per intenderci - guarda con occhio maniacale proprio quegli indicatori - lo share, l'audience e quant'altro - che sono la stessa essenza di un certo modo di concepire la televisione che ha preso piede, in Italia, alla fine degli anni '70 in concomitanza con l'ingresso, preponderante, delle emittenti commerciali che hanno, completamente, stravolto il modo di pensare e di fare programmazione per il piccolo schermo strizzando l'occhio ai pruriginiosi appetiti della società italiana ed esulando da quello che dovrebbe essere il vademecum di un servizio che voglia definirsi, davvero, pubblico a scapito, naturalmente, della qualità del prodotto finale sia esso un mero contenitore di intrattenimento sia esso, ancora, una riduzione di un romanzo sia esso, infine, un mero rotocalco di approfondimento.
Programmi come "Processo alla tappa" di Sergio Zavoli ovvero "Non è mai troppo tardi" del maestro Manzi sembrano appartenere ad un'era paleolitica dei palinsesti televisivi ; eppure sono passati, appena, poco più di quarant'anni.
Tutti presi, come eravamo presi, dalla frenesia di liberalizzare l'offerta televisiva in base al postulato, assolutamente fallace e fuorviante questo si ideologico, in virtù del quale una maggior presenza di soggetti - e, quindi, dell'offerta, appunto - avrebbe comportato, come fisiologica conseguenza, un maggiore indice qualitativo dei programmi abbiamo, allegamente, mandato al macero una intera generazione di produttori, sceneggiatori, attori, giornalisti - quelli veri, intendo - orchestrali, costumisti etc. per lasciare il posto a delle semplici comparse.
Ieri, sul piccolo schermo, campeggiavano Annamaria Guarnieri, Alberto Lupo, Gino Cervi, Luigi Vannucchi, Gian Maria Volontè, Giorgio Albertazzi, Giulio Brogi, Giancarlo Giannini, Arnoldo Foà ; oggi, viceversa, ci trastulliamo con le procacità ridondanti di Alessia Marcuzzi, Aìda Yespìca e Belen Rodriguez per ridere, a crepapelle, con Giorgio Panariello e con i fichi d'India... un bel salto qualitativo, non c'è che dire !
Certo la televisione italiana non poteva restare ai margini della grande rivoluzione delle liberalizzazioni delle frequenze ma avrebbe dovuto preservare la centralità del ruolo di servizio pubblico puntando sulla qualità delle programmazioni ed affrancandosi dalla logica degli inserzionisti pubblicitari assumendo, così, i contorni di una vera e propria emittente generalista.
Il vizio di fondo, invece, consente il concomitante allignamento di un canone annuo richiesto ai telespettatori nonchè l'asfissiante presenza di spot pubblicitari alla medesima stregua, per intenderci, delle emittenti private le quali, almeno, hanno il beneficio - strumentale, fittizio e, parimenti ideologico senza meno - di non richiedere all'utente il versamento di suddetta gabella.
Purtroppo la commercializzazione - qualcuno potrebbe dire berlusconizzazione ! - della programmazione radiotelevisiva nazionale ha fomentato non soltanto l'avvento di personaggi altamente equivoci e paradossali sul proscenio del piccolo schermo bensì ha alterato, in maniera assai subdola ed altamente perniciosa, anche la percezione dei parametri qualitativi di un prodotto sia esso un rotocalco di approfondimento, sia esso un talk-show, sia esso un gioco a premi etc. nonchè estendensosi, a macchia d'olio, su scala generalista.
Sostenere, ad esempio, che il quotidiano Il fatto sia un buon prodotto avvalorandone la tesi esponendo i dati vendita del foglio di Travaglio rientra in una logica di tipo commerciale la quale, a ben vedere, è la medesima che sottende alla sceneggiatura ed all'allestimento de Il grande fratello mediasettiano ovvero de L'isola dei famosi della Ventura.
D'altro canto l'indice di ascolto di una trasmissione - al di là della specifica metodologia utilizzata per statisticizzare alcuni dati che, poi, influenzano l'esborso degli inserzionisti pubblicitari e sulla quale ci sarebbe da scrivere un libro e, perdonatemi, non è questa la sede - non è un parametro di qualità intrinseca del prodotto stesso.
Ci sono trasmissioni con alti indici di ascolto di pessima fattura che fanno il paio, in maniera inversamente proporzionale, con altre trasmissioni qualitativamente elevatissime ed assai poco apprezzate dal pubblico televisivo.
La rassegna stampa di questi giorni che campeggia in tute le edicole - reali e virtuali ovvero presenti qui sul web - hanno, da due punti di vista esattamente speculari squisitamente politici e niente affatto estetici, enfatizzato il divorzio di Santoro dalla Rai biasimandolo ovvero misconoscendolo e plaudendolo, seguendo un copione tipicamente dicotomico senza, peraltro, cercare di andare oltre al fatto in sè - il divorzio, appunto - ma puntando a fomentare la classica antiteticità tipica del fanatico supporto di una curva da stadio - ovvero, se preferite, di due faide mafiose oppure, ancora, fra due fedi religiose - determinando, così, la fisiologica formazione di due partiti pro e contro Santoro com'era, d'altronde, estremamente facile a prevedersi.
E fin qui nulla di nuovo perchè son talmente avvezzo ad ascoltare questi ciarlatani che non mi meraviglia punto l'impostazione ideologica fornita al dibattimento in corso.
La cosa, però, che mi ha lasciato perplesso è stato un fondo a firma, proprio, di Marco Travaglio.
Dalle sue pagine il giornalista ha parlato di suicidio del servizio pubblico avocando, a suffragio della sua tesi, lo share conseguito da Anno zero imputando l'estromissione del conduttore a motivazioni niente affatto tecniche bensì politiche facendo chiaro riferimento all'ingerenza politica del cavaliere nonchè alla sua enorme preoccupazione che un palinsesto suddetto potesse determinare un vertiginoso crollo di consenso all'interno dell'elettorato del centrodestra.
Che il presidente del consiglio possa avere influenzato, dall'esterno, questa decisione non vi è ombra di dubbio alcuno anche perchè, fra l'altro, fra il buon Santoro ed il caro Silvio i rapporti non sono stati sempre idilliaci - lo furono, però, in un particolare frangente quando, cioè, fu proprio Santoro ad approdare alla corte del cavaliere in quel di Italia uno... peccato, però, che questa notizia si sia, repentinamente, obnubilata dalla memoria degli italiani - per cui sin dai tempi del famigerato editto bulgaro - un autogol clamoroso di Berlusconi del quale, gioco forza, ha fatto ammenda tant'è che in questa vicenda, specifica, ha preferito agire da dietro le quinte - fra i due non è corso, certo, buon sangue.
Ma presumere che il cavaliere abbia operato in tal senso per la paura, non troppo recondita, di perdere consenso è l'ennesima idiozia artatamente propinata da decenni da una certa carta stampata vicina a Carlo De Benedetti e, se vogliamo, all'intero elettorato del centrosinistra che, periodicamente, si affaccia sul proscenio mediatico tenendo banco per qualche settimana salvo, poi, sparire e rifare capolino alla medesima stregua dei pedofili e dei pitbull assassini stranamente silenti in questo periodo e che, c'è da scommetterci, assurgeranno nuovamente agli albori della cronaca con la fine dei lavori a Montecitorio e palazzo Madama quasi avessero, tutti, preso una qual sorta di time-out per non disturbare il manovratore.
Purtroppo l'unico modo per rispondere, in concreto, a questa obiezione è una analisi dei flussi elettorali dal 1994 - anno nel quale Berlusconi fece la sua famigerata discesa in campo - ad oggi.
L'ho fatta ed elaborata in sessanta posts su queste pagine ed è lì a disposizione di chiunque voglia farsene una idea utilizzando, esclusivamente, i dati ufficiali del ministero dell'interno.
Inutile dire che è stato un lavoro vano perchè cercare di smontare dei feticci fideistici con la logica equivale al disperato tentativo di far diventare ateo papa Benedetto XVI con la differenza, sostanziale però, che almeno il pontefice non soltanto mi avrebbe ascoltato ma avrebbe confutato, punto su punto, le mie argomentazioni.
Sostenere, quindi, che - numeri alla mano - lo scostamento elettorale delle due grandi aree politiche del paese in, circa, diciassette anni di consultazioni politiche nazionali ha fatto registrare delle percentuali da prefisso telefonico non poteva, certo, far mutare, in sostanza, l'idea che senza l'ausilio delle proprie emittenti il cavaliere non sarebbe seduto lì a palazzo Chigi e che, magari, il Partito delle Libertà sarebbe una infima minoranza.
E se a domanda secca molti convinti sostenitori del centrosinistra rispondono che la proprietà del gruppo televisivo Mediaset è, in realtà, un falso problema, in concreto, poi, non lesinano critiche all'ingerenza pericolosa del cavaliere nonchè al suo perpetuo tentativo di manipolare la coscienza civica degli italiani che sarebbe, dunque, un popolo, senza meno, talmente imbecille da votarlo perchè edulcorato dalle trasmissioni del gabibbo salvo, poi, ritrovare la propria coscienza quando sostiene, come nelle amministrative ultime scorse, Giuliano Pisapia a Milano ovvero Luigi De Magistris a Napoli.
Gli italiani sarebbero, così, un popolo di perfetti idioti ma a fasi alterne - nel '94, certo, quando Forza Italia divenne il primo partito ma non nel '96 quando, di contro, ascese a palazzo Chigi Romano Prodi salvo, però, ripiombare nel baratro nel 2001 per, poi, miracolosamente ridestarsi nel 2006 e precipitare, nuovamente, nella imbecillità cogente nel 2008 - retaggio, questo, di una concezione niente affatto popolare ma aristocratica proprio perchè nessuna altra classe sociale come l'aristocrazia ha guardato, con forte timore e scetticismo, i repentini mutamenti umorali delle classi meno abbienti.
D'altro canto sostenere che un programma televisivo - quale che sia - possa influenzare realmente la coscienza politica dei telespettatori è, ancora una volta, un subdolo artifizio che nasconde, appunto, proprio una certa vena reazionaria di un certo tipo di elettorato - quello di centrosinistra, tanto per intenderci - che guarda, alla medesima stregua di un vetusto sovrano del settecento, alle masse - una società civile, dunque, equiparata alla massa... una terminologia davvero raccapricciante e ridondante di ben altre considerazioni - con estrema diffidenza biasimando, senza reticenza alcuna, la famigerata casalinga di Voghera - ma esisteranno realmente queste benedette cassalinghe in quel di Voghera ? Mah ! - che passa le ore accanto al piccolo schermo seguendo i programmi di intrattenimento sin dalle prime fasce del mattino mentre, indaffaratissima, suole allestire di tutto punto la propria dimora e la cui cultura, senza meno di bassa estrazione, la farà preda inerme della propaganda occulta del cavaliere e del suo pattume televisivo vittima inconsapevole, così, della manipolazione delle coscienze operata dal feroce caudillo arcoriano senza, però, guardare, con la stessa rigorosità logica, alle masse di operai metalmeccanici che affollano le piazze quando vengono scanditi i tradizionali appuntamenti retorici contro la lotta alla disoccupazione - di cui, per inciso, non frega niente a nessuno : nè ai sindacalisti che non possono spillare fondi ai precari nè, tantomeno, agli stessi operai che si trastullano del proprio contratto nazionale consapevoli che, alle loro spalle, vige la più forte associazione di categoria - ed in difesa del posto di lavoro - al quale, invero, gli operai sono molto più sensibili - facendo, però, il paio con le masse oceaniche che, qualche tempo addietro, riempivano le piazze di tutto lo stivale con una, però, marginale - ed al contempo sostanziale - connotazione cromatica perchè in quegli assembramenti il colore predominante non era il rosso bensì il nero onde per cui se quelle adunate erano, giocoforza, indice del degrado e dell'imbarbarimento del popolo italiano quelle nelle quali, viceversa, campeggia il rosso - anche se, a dire il vero, si è alquanto sbiadito negli ultimi anni - trasudano democrazia e, quel che più conta, partecipazione attiva e cosciente di popolo.
Siamo, quindi, in presenza di una latente schizofrenia che fa il paio, però, con quella che alligna dall'altra parte.
Una idiozia allo stato puro alla quale, consentitemi, non prendo parte e non per vanagloriosa spocchia paraintellettuale narcisista bensì per triste riscontro di assoluta incapacità di analisi logica.
Ed io sono divenuto assolutamente intollerante al cospetto del deficit di critica e , in fin dei conti, di intelligenza.