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martedì 4 gennaio 2011

L'antieroe Enzo Bearzot, un piccolo omaggio ad un grande commissario tecnico (quarta ed ultima parte)

La vittoria al Bernabeu ed il tramonto di una generazione




L'affermazione ai mondiali di Spagna fu, per molti versi, il trionfo di una generazione nata sotto l'egida del nostro commissario tecnico.
Con la sola eccezione di Zoff - già campione d'Europa nel '68 nonchè, inspiegabilmente, riserva di Albertosi nel '70 e nuovamente titolare nel '74 - e di Franco Causio - impiegato, assai marginalmente in verità, anche dallo stesso Valcareggi - il telaio della squadra che partecipò ai mondiali sudamericani del '78 fu quello che consentì di fregiarci del titolo di campioni del mondo quattro anni dopo con, naturalmente, qualche fisiologico innesto ovvero Gabriele Oriali, Fulvio Collovati e Bruno Conti al posto di Romeo Benetti, Mauro Bellugi e Franco Causio.
Ma, nello specifico, vorrei ricordare anche i meriti di Fulvio Bernardini che accompagnò la gestione bearzottiana nei primi due anni - dal 1974 al 1976 - e che pose le basi per una rifondazione della Nazionale puntando sulla nuova generazione che, a metà degli anni '70, andava affacciandosi sul proscenio del calcio italiano a cominciare, proprio, da Francesco Graziani e Giancarlo Antognoni.
I messicani, intendendo con questa espressione la generazione di calciatori che ci consentì di laurearci campioni d'Europa nel '68 e vicecampioni del mondo nel '70, avrebbero potuto chiudere la loro avventura in azzurro in ben altro modo a Monaco ma, al di là di queste considerazioni già ampiamente esposte, il vuoto che lasciarono fu immediatamente colmato da una nuova generazione di talenti.
Pensiamo, ad esempio, a Roberto Bettega - un giocatore completo che definire attaccante potrebbe risultare riduttivo -, ad Antonio Cabrini - il più forte esterno difensivo sinistro di sempre, mancino naturale, secondo solamente a Paolo Maldini -, a Caudio Gentile - il più forte francobollatore del calcio italiano in compagnia di Tarcisio Burgnich ma con in più, rispetto al friulano, l'attitudine a sovrapporsi sulla fascia come ala aggiunta -, a Gaetano Scirea - il libero per antonomasia appena dietro a Franco Baresi -, a Marco Tardelli - versatile, eclettico, degnissimo epigono di un fuoriclasse come Overath -, a Paolo Rossi - un opportunista della migliore specie nel solco del grandissimo Gerd Muller -, ed a Bruno Conti senza citare, peraltro, coloro i quali restarono, per un motivo o per un altro, esclusi dal giro azzurro : Paolino Pulici su tutti.
Il trionfo al Santiago Bernabeu fu il coronamento di un certosino lavoro durato, quindi, otto anni nel quale il calcio italiano espresse, progressivamente, il meglio di sè sotto tutti gli aspetti. La semifinale contro la Polonia fu vissuta, da noi tifosi non certo dai giocatori azzurri, quasi come una fastidiosa marginalità accessoria laddove, in finale, patimmo alquanto per tutto il primo tempo complici un rigore sbagliato da Cabrini ma, soprattutto, l'uscita anzitempo di Graziani per una distorsione alla spalla destra che costinse Bearzot ad avvicendarlo con Alessandro Altobelli.
Rispetto ai tedeschi noi ci presentammo in condizioni fisiche migliori e, per di più, maggiormente freschi perchè mentre la pratica Polonia, per quanto ostica, fu regolata all'inglese - un gol per tempo - la semifinale Germania-Francia, giocata peraltro il giorno dopo, si protrasse fino ai calci di rigore. Era, dunque, fisiologico aspettarsi un calo dei nostri avversari nella seconda frazione di gioco ma, ciò nonostante, patimmo oltremodo i nostri avversari. D'altro canto noi ci presentammo con una formazione decisamente anomala perchè l'infortunio patito da Antognoni nella semifinale con i polacchi indusse il nostro commissario tecnico a ridisegnare completamente l'assetto della squadra inserendo un terzino in più, Giuseppe Bergomi, e proponendoci, dunque, in un insolito 5-3-2 ma alzando il baricentro di Cabrini, a sinistra, che svolgeva, dunque, una funzione, di esterno sinistro onde per cui se, sulla carta, il nostro modulo era quello dianzi citato in realtà giocammo con il consolidato e tradizionale 4-4-2 anche se leggermente corretto alla bisogna.
Bearzot si affidò, quindi, a tre marcatori puri - Claudio Gentile, Giuseppe Bergomi e Fulvio Collovati - che piantonò alle calcagna, rispettivamente, di Littbarski, Rumenigge e Fisher. Pur non disponendo del bagaglio tecnico di Maradona e Zico, Littbarski era il classico trequartista che giocava dietro le punte dettando, talora, l'ultimo passaggio e, talaltra, proponendosi come attaccante aggiunto ed era, senza meno, l'uomo di maggior tasso tecnico della compagine tedesca. Reiterando un modulo già sperimentato con successo, il nostro commissario tecnico affidò alle cure di Gentile questo funambolico giocatore che fu ostaggio del nostro e non riuscì ad incidere in alcuna maniera nel corso di tutto l'incontro. I tedeschi, però, schieravano, in prima linea, due prime punte naturali entrambe possenti sul piano fisico e molto temibili ; Klaus Fisher era il classico centroavanti d'area di rigore forte nel gioco acrobatico - ricorderete tutti, spero, il suo spettacolare gol in sforbiciata contro i francesi nella semifinale di Siviglia - e nel gioco aereo laddove Karl Heinze Rummenigge - giocatore tecnicamente completo e, senza meno, uno dei più grandi attaccanti di sempre del calcio tedesco - soleva partire in posizione più decentrata, facendo leva sulla sua progressione e su un controllo della palla in velocità davvero fuori ordinanza, per sovrapporsi al compagno in fase di realizzazione. Se Collovati appariva, sin da subito, come il naturale destinatario della marcatura di Fisher, quella di Rummenigge creava non pochi grattacapi al nostro commissario tecnico perchè il difensore azzurro che più di ogni altro aveva le carte in regola per neutralizzare il fuoriclasse tedesco era proprio Gentile.
Ma se Bearzot avesse dirottato Gentile su Rummenigge avrebbe, poi, dovuto sacrificare Tardelli, in condizioni di forma smaglianti, su Littbarski perdendo, in tal modo, uno dei cardini più preziosi del suo centrocampo delegando, così, al solo Oriali la mansione di ribaltare il fronte del gioco. Un pò poco se teniamo di conto che la mediana tedesca era costituita da giocatori del calibro di Paul Breitner e Wolfgang Dremmler supportati dall'ex decatleta Hans Peter Briegel.
Bearzot temeva, a ragione, che i tedeschi avrebbero impostato l'incontro sul piano fisico ed allestì, così, un centrocampo molto robusto atto a contrastare le presumibili sfuriate dei nostri avversari che avrebbero potuto schiacciarci, fisicamente intendo, nella nostra metà campo. L'impiego di Bergomi su Rummenigge, invece, avrebbe affrancato da compiti di copertura proprio Antonio Cabrini che fu, oculatamente, spostato sulla mediana sicchè a centrocampo ci presentammo con tre interdittori molto forti fisicamente ovvero Tardelli, Oriali e, appunto, Antonio Cabrini supportati da Bruno Conti.
D'altro canto il disegno tattico del nostro commissario tecnico prevedeva una prima fase di contenimento, in concomitanza di una partenza lanciatissima dei nostri avversari, contando, nella ripresa, di imprimere quel cambio di marcia che aveva piegato sia l'Argentina che il Brasile frutto, naturalmente, di una condizione fisica smagliante.
Purtroppo l'infortunio patito da Francesco Graziani al 7' del primo tempo scombussolò alquanto i piani tattici di Bearzot che fu costretto ad inserire Alessandro Altobelli.
Altobelli, infatti, era una prima punta - alla stregua di Rossi dunque - e mal conciliava le sue proposizioni offensive con le incombenze di filtro in mezzo al campo per cui, per tutto il primo tempo, patimmo come dannati le spinte propulsive dei nostri avversari perchè, a centrocampo, giocavamo, di fatto, con un uomo in meno. La Germania, è vero, non creò reali occasioni da gol ma, ciò nondimeno, ci schiacciò, letteralmente, nella nostra metà campo accorciando i reparti ed impedendo, sul nascere, le nostre ripartenze. Il rigore, sacrosanto peraltro, concessoci per fallo di Briegel su Conti, che si inseriva da dietro, fu un mero episodio di un primo tempo nel quale giocammo, obiettivamente, male.
Fu una prima frazione, dunque, tatticamente sofferta nella quale salì in cattedra la nostra difesa - Scirea, Gentile, Collovati e Bergomi - che impastoiò le velleità offensive dei nostri avversari; ma se, d'altro canto, eravamo riusciti ad impastoiatre la Germania non riuscivamo però, nel contempo, ad imporre il nostro gioco. E lo 0 a 0 del primo tempo rispecchiò, fedelmente, l'andamento tattico di un incontro nervoso e bloccato.
Fu solo a seguito degli sviluppi di un calcio di punizione sulla nostra trequarti che il solito Rossi sbloccò la partita costringendo i tedeschi ad aprirsi per cercare di riequilibrare le sorti dell'incontro ma, a quel punto, i giochi erano fatti perchè i nostri avversari cominciarono, inevitabilmente, ad accusare i postumi della semifinale con la Francia, la squadra si disunì e nè Stielike nè Breitner, sulle cui sapienti geometrie si reggevano gli equilibri fra i reparti della compagine tedesca, riuscirono più a preservare, inalterate, le distanze fra le linee col risultato di creare, alle loro spalle, paurosi vuoti nei quali, finalmente, si inserirono i nostri giocatori : Oriali, Tardelli e Conti su tutti.
Il resto è retorica.
Vincemmo i mondiali perchè arrivammo al meglio delle nostre condizioni fisiche e giocammo un ottimo calcio, sicuramente meno spettacolare di quello espresso quattro anni prima in Argentina, speculativo e molto redditizio.
Vincemmo i mondiali perchè Bearzot lesse meglio degli altri gli incontri decisivi : se l'Argentina aveva un commissario tecnico assolutamente inadeguato - Menotti - il Brasile, di contro, aveva in panchina uno dei migliori selezionatori carioca di sempre.
Vincemmo i mondiali perchè fummo anche fortunati : il terzo gol al Brasile lo realizzammo in maniera fortunosa sugli sviluppi di un calcio da fermo in un momento dell'incontro particolarmente delicato nel quale sembrava avessimo gettato la spugna ; ma l'attitudine a creare opportunità interessanti dai calci da fermo era una connotazione della nostra compagine : il primo gol alla Polonia, in semifinale, ed il primo alla Germania, in finale, sono lì a rammentarcelo. E, d'altro canto, non rammento nessuna compagine campione del mondo, ad eccezione, forse, del Brasile del '70 e di quello del '58, che non sia stata assistita dalla buona sorte in una kermesse intercontinentale.
Ma io penso che vincemmo i mondiali perchè Bearzot era riuscito a creare, unico commissario tecnico in Italia, una vera e propria squadra intendendo questa terminologia in una accezione assai più ampia del mero significato sportivo e che gli consentì di ottenere il massimo, ed anche di più, da una rosa di buoni giocatori ma non certo, con qualche eccezione, di veri e propri fuoriclasse.
Se guardiamo, infatti, al panorama sportivo del calcio di quegli anni il novero di coloro che si fregiavano del pallone d'oro e del titolo di fuoriclasse non dimoravano nel nostro campionato.
Il calcio italiano dovrà aspettare, ancora, uno scarso decennio prima di vedere, in Italia, dei veri e propri fuoriclasse nostrani : la generazione di Roberto Baggio, Franco Baresi, Paolo Maldini, Roberto Donadoni, Gianluca Vialli, Roberto Mancini era di là da venire.
Ma il trionfo al Bernabeu segnò, inevitabilmente, anche l'inizio del declino di quella generazione e di Enzo Bearzot accusato, a posteriori, di non essere riuscito a rinnovare il tessuto della Nazionale poichè, legato emotivamente agli eroi di Spagna nonchè ai valori umani di cui sopra reiterati indebitamente, non ebbe il coraggio di cambiare fisonomia alla compagine azzurra.
Anche questo è il solito, sterile, luogo comune da sfatare nel modo più assoluto.
Lo vedremo, in dettaglio, nel prossimo ed ultimo post.


Il dignitoso commiato di Enzo Bearzot



L'epitaffio allegorico di quella generazione di talenti fu inciso dal girone di qualficazione agli Europei dell'86 alla cui fase finale non riuscimmo neanche ad accedere. In un gruppo, oggettivamente non facile ma neanche probitivo visto che in virtù dell'affermazione ai mondiali di Spagna eravamo testa di serie nei sorteggi, che contemplava la Romania, la Cecoslovacchia, la Svezia, e Cipro arrivamo penultimi perdendo, praticamente, tutte le trasferte - ad eccezione di quella giocata a Nicosia dove rimediammo un pareggio dopo essere passati, addirittura, in svantaggio - e vincendo, unicamente, la partita giocata in casa contro la già menzionata rappresentativa cipriota.
Non andammo oltre il pareggio con la Cecoslovacchia, a Genova, e con la Romania, a Firenze, perdendo malamente a Napoli con la Svezia - 0 a 3 - che ci rifilò altri due gol nel ritorno ad Helsinki.
Dopo le prime tre partite - con la Cecoslovacchia, la Romania e Cipro - Bearzot si rese conto che eravamo, oramai, fuori dai giochi e, perso per perso, prese a convocare nuovi giocatori che fece debuttare nel prosieguo della fase eliminatoria attirandosi contro, e non senza qualche ragione, gli strali del commissario tecnico cecoslovacco che lo accusò di antisportività perchè, ad un certo punto, la nostra compagine falsò l'esito delle qualificazioni schierando giocatori di seconda fascia ed interpretando come mere amichevoli gli incontri che le restavano da disputare.
D'altro canto, va riconosciuto, una cosa era impattare, a Genova, con una squadra che schierava Scirea ed un'altra era giocare al tirassegno con una compagine che, con tutto il rispetto, schierava come libero Ubaldo Righetti.
Questa piccola precisazione va fatta ad uso e consumo di coloro i quali accusarono, a posteriori, il nostro commissario tecnico di non aver avuto il coraggio di cambiare la rosa dei nostri giocatori prigioniero, per così dire, dei valori umani citati dianzi e che il nostro selezionatore avrebbe tenuto in considerazione prima di ogni altra cosa manco Bearzot fosse un vecchio rimbambito nostalgico e sentimentale.
Purtroppo in un paese poco avvezzo alla matematica ed assai più incline alla sterile logorroicità tipica dei retaggi di una cultura forense - la civiltà del diritto propugnata dalla Roma imperiale - le parole, a vanvera, proferite dagli opinionisti sportivi incidono molto di più di un semplice calcolo alfanumerico.
Numeri alla mano, invece, Bearzot convocò, tra il 1982 ed il 1986 una cinquantina di giocatori nuovi un numero, cioè spropositatamente alto. Anzi se c'è un appunto da muovere a Bearzot è proprio quello, a mio giudizio, di averne convocati sin troppi denotando una precarietà di intenti.
In realtà cambiare subito dopo l'affermazione ai mondiali di Spagna non avrebbe avuto senso alcuno. Tentare degli innesti in corso d'opera, specie poi quando la qualificazione alla fase finale degli Europei si era definitvamente eclissata, era l'unica cosa da fare.
E Bearzot, correttamente, la fece.
C'era, inoltre, un altro aspetto importante che non è stato mai particolarmente rimarcato. Uno dei punti di forza della nostra nazionale era il blocco juventino a cui il nostro commissario tecnico attinse a piene ottenendo, lo abbiamo letto sopra, un equilibrio all'interno dello spogliatoio e, soprattutto, quegli automatismi di gioco tipici di una squadra di club.
Ma tra il 1982 ed il 1986 il panorama geopolitico del calcio italiano subì un profondo mutamento di assetti ed accanto alla Juventus, campione d'Italia nelle stagioni 1983-84 e 1985-86, si affacciarono la Roma - vincitrice nella edizione 1982-83 e seconda nella stagione successiva nonchè in quella 1985-86 -, il Verona - campione d'Italia nel 1984-85 -, ed il Napoli. L'ingresso, inoltre, dei migliori giocatori stranieri - che passarono da 1 a 2 per squadra - che portarono, in Italia, Maradona, Zico e Rumenigge, ovvero il gotha del football mondiale, soffocarono, nell'immediato, la contestuale affermazione dei giovani del nostro vivaio.
Ma l'aspetto più importante, e mai sottolineato a sufficienza, fu che il movimento del nostro calcio non riuscì ad esprimere, in tempi brevi, una nuova generazione in grado di reggere il confronto con quella che nacque a cavallo degli anni '70. Mancò, cioè, un ricambio ; se Bernardini, prima, e Bearzot, poi, posero le basi su un novero di giocatori che si chiamavano Antognoni, Graziani, Cabrini, Tardelli, Scirea e Rossi adesso, viceversa, i nuovi si chiamavano Tricella, Galderisi e Di Gennaro. E Tricella, Galderisi e Di Gennaro, non dimentichiamocene, erano quanto di meglio offriva il panorama del nostro calcio di quegli anni tant'è che con una squadra, da un punto di vista tecnico, oggettivamente non irresistibile Osvaldo Bagnoli si laureò campione d'Italia.
Dati alla mano, quindi, i migliori giocatori italiani che Bearzot avrebbe potuto annoverare nella rosa della nazionale, in previsione dei mondiali prossimi venturi che si sarebbero disputati nuovamente in Messico, furono, effettivamente, cooptati dal nostro selezionatore.
Basta dare, in proposito, una rapida scorsa al novero dei ventidue che parteciparono a quel mondiale : accanto ai veterani di Spagna, il nostro selezionatore convocò, come estremi difensori, Giovanni Galli (Fiorentina), Franco Tancredi (Roma) e Walter Zenga (Inter) ; come difensori Sebastiano Nela (Roma), Roberto Tricella (Verona) e Pietro Vierchowod (Sampdoria) ; come centrocampisti Carlo Ancelotti (Roma), Salvatore Bagni (Napoli), Fernando De Napoli (Avellino), Antonio Di Gennaro (Verona), e Giuseppe Baresi (Inter) ; e come attaccanti, infine, Giuseppe Galderisi (Verona), Gianluca Vialli (Sampdoria) ed Aldo Serena (Inter) ovvero 14 nuovi giocatori su 22.
14 su 22 significa, numeri alla mano, che Bearzot modificò la rosa azzurra per il 63,33 % alla faccia di coloro che lo accusarono di essere legato ai valori umani e di non aver avuto il coraggio e la forza di cambiare pelle alla nostra Nazionale. Per non parlare, infine, della formazione base che il nostro commissario tecnico schierò in Messico la quale preservò, di quella spagnola, appena tre - dico tre ! - elementi ovvero Antonio Cabrini, Gaetano Scirea e Bruno Conti tenendo, doverosamente, di conto che Giuseppe Bergomi ed Alessandro Altobelli, titolari nell'86, quattro anni addietro erano dei meri rincalzi. Tre undicesimi equivale al 27,27 % per cui ciò significa che Bearzot modificò la nostra rappresentativa per il 72,72 %.

I numeri parlano chiaro : il resto sono cialtronerie messe in bocca ad una utenza di sprovveduti.
Ancora una postilla a beneficio di coloro i quali, strumentalmente mi pare, accusano, ancora oggi, Bearzot di essere stato succubo dell'asse Milano-Torino ; nel 1986 i giocatori facenti parte del novero delle squadre albergate sotto la Mole e sotto il Duomo furono, nell'ordine, Giuseppe Baresi (Inter), Aldo Serena (Inter), Walter Zenga (Inter), Paolo Rossi (Milan), Alessandro Altobelli (Inter), Marco Tardelli (Inter), Gaetano Scirea (Juventus), Giuseppe Bergomi (Inter), Fulvio Collovati (Inter) ed Antonio Cabrini (Juventus) vale a dire sette giocatori dell'Inter, uno del Milan e tre della Juventus per un totale complessivo di, appena, dieci calciatori ; e dieci su ventidue equivale ad, appena, il 45,45 %.
E questa percentule, fra l'altro, scende ulteriormente se diamo una rapida scorsa alla formazione tipo che contemplava, di questo famigerato asse sopra menzionato, appena quattro giocatori ovvero Giuseppe Bergomi, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea ed Alessandro Altobelli.
4 su 11 equivale, in percentuale, ad, appena, il 36,36 % il che, specularmente, equivale a dire che Bearzot attinse per il 63,64 % - dico : 63,64 % ! - da un novero di calciatori che esulavano dalla direttrice Torino-Milano ; un pò pochino, mi pare, per parlare, a ragion veduta, di indebite pressioni di cui il nostro commissario tecnico sarebbe stato vittima. E dire che, probabilmente, c'era ancora qualche altro giocatore - penso a Franco Baresi del Milan - che avrebbe, senza meno, dovuto far parte della spedizione azzurra al posto, magari, di Roberto Tricella. D'altro canto, l'amico Alfonso Liguori mi perdonerà, persino l'accusa di settentrionalismo, reiteratamente e strumentalmente portata avanti, per dodici anni, contro Bearzot da quel crocchio di giornalisti, in malafede, che Brera etichettava come facenti parte di una sedicente scuola napoletana viene, ampiamente, confutata dai numeri. La direzione tecnica di Bearzot si protrasse in un lasso di tempo nel quale il nostro massimo campionato di calcio fu appannaggio della Juventus nelle stagioni 1974-75, 1976-77, 1977-78, 1980-81, 1981-82, 1983-84 e 1985-86 (sette scudetti), del Torino nella stagione 1975-76 (uno scudetto), del Milan nella stagione 1978-79 (uno scudetto), dell'Inter nella stagione 1979-80 (uno scudetto), del Verona nella stagione 1984-85 (uno scudetto) e della Roma nella stagione 1982-83 (uno scudetto).
Su 12 stagioni, dunque, ben 11 furono appannaggio di compagini del nord ed una sola di una squadra del sud (se la Roma può considerarsi tale...) il che significa, in termini percentuali, che il 91,66 % degli scudetti di quegli anni gravitarono oltre la linea del Po. Se noi scorporiamo questi dodici anni e li abbiniamo, correttamente, alle nazionali del '78, dell'82 e dell'86 abbiamo dati alquanto sorprendenti. La nazionale azzurra che partecipò ai mondiali in Argentina era epigona delle stagioni 1976-1977 e 1977-78 nelle quali, rammentiamocelo, la Juventus si aggiudicò entrambi gli scudetti facendo registrare uno score, appannaggio delle squadre del nord, pari, dunque, al 100 %. Bearzot convocò, dunque, nove giocatori della Juventus - Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Franco Causio, Marco Tardelli, Roberto Bettega, Antonello Cuccureddu e Romeo Benetti -, uno del Milan - Aldo Maldera -, uno dell'Inter - Ivano Bordon -, sei del Torino - Claudio Sala, Patrizio Sala, Eraldo Pecci, Francesco Graziani, Paolino Pulici e Renato Zaccarelli -, uno del Bologna - Mauro Bellugi -, uno della Fiorentina - Giancarlo Antognoni - uno del Lanerossi Vincenza - Paolo Rossi -, uno della Roma - Paolo Conti - ed uno della Lazio - Lionello Manfredonia - per un totale, quindi, di 22 giocatori (pari al 91,6 %) del nord e 2 giocatori (pari all'8,4 %) del sud. Ciò significa, dunque, che a fronte del 100 % di assegnazioni di scudetti a compagini del nord, abbiamo una rappresentanza nazionale fedele riflesso dell'andamento del nostro calcio in un rapporto, quindi, di 91,6 % vs. 8,4 %. La nazionale italiana campione del mondo in Spagna era epigona di quattro stagioni nelle quali lo scudetto se lo erano aggiudicate il Milan, l'Inter e la Juventus (due volte) per un totale, anche qui, del 100 % appannaggio di squadre del nord. La diramazione delle convocazioni di Bearzot fu la seguente : sei giocatori della Juventus - Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli, Paolo Rossi -, due del Milan - Franco Baresi e Fulvio Collovati -, cinque dell'Inter - Giuseppe Bergomi, Gabriele Oriali, Ivano Bordon, Alessandro Altobelli e Giampiero Marini -, uno dell'Udinese - Franco Causio -, cinque della Fiorentina - Daniele Massaro, Giovanni Galli, Pietro Vierchowod, Francesco Graziani e Giancarlo Antognoni -, uno del Torino - Giuseppe Dossena -, uno della Roma - Bruno Conti - ed uno del Cagliari - Franco Selvaggi - per un totale, dunque, di 22 giocatori del nord e 2 del sud. Le percentuali sono, dunque, esattamente le stesse di quattro anni prima. La Nazionale del 1986 era epigona di un quadriennio nel quale lo scudetto lo avevano vinto la Juventus (due volte), il Verona e la Roma. Abbiamo, quindi, una percentuale, dunque, del 75 % di scudetti ancora appannaggio di compagini del nord e del 25 % in favore del sud. La Nazionale che difese il titolo di campione del mondo in Messico era costitutita da tre giocatori della Juventus - Antono Cabrini, Aldo Serena e Gaetano Scirea -, sei dell'Inter - Giuseppe Baresi, Giuseppe Bergomi, Alessandro Altobelli, Walter Zenga, Fulvio Collovati e Marco Tardelli -, uno della Fiorentina - Giovanni Galli -, tre del Verona - Roberto Tricella, Antonio Di Gennaro e Giuseppe Galderisi -, due della Sampdoria - Pietro Vierchowod e Gianluca Vialli -, uno del Milan - Paolo Rossi -, quattro della Roma - Sebastiano Nela, Carlo Ancelotti, Franco Tancredi e Bruno Conti -, uno del Napoli - Salvatore Bagni - ed uno dell'Avellino - Fernando De Napoli - per un totale, quindi, di 16 giocatori del nord e 6 del sud. Questi numeri danno uno score, in percentuale, del 72,72 % appannaggio di compagini del nord e del 27,28 % in favore di squadre del sud e sono un fedelissimo riflesso del nostro campionato di calcio alla faccia di coloro che accusavano Bearzot di non tenere in debito conto i valori espressi nel massimo campionato di calcio. La sedicente accusa di settentrionalismo, dunque, viene clamorosamente a cadere perchè, c'è poco da fare, con i numeri sotto mano la percezione della realtà cambia drasticamente. E fa, altresì, specie un'altra considerazione ovvero che quella medesima accusa non fosse stata rivolta, dai medesimi cialtroni e lestofanti di cui sopra, che impazzavano dalle colonne di quotidiani come Il Mattino di Napoli, ad Azeglio Vicini che guidò la nostra rappresentativa in un lasso di tempo nel quale, invece, proprio il Napoli fu una delle squadre, se non la squadra, protagonista. Vicini assunse le redini della nazionale all'indomani dei mondiali di Messico dell'86 ; le stagioni seguenti videro, in Italia, l'affermazione del Napoli nei campionati 1986-87 e 1989-90 (due scudetti), del Milan nel campionato 1987-88 (uno scudetto) e dell'Inter nel campionato successico (uno scudetto). Ciò significa, quindi, che su 4 stagioni ben 2 - il 50 % - furono appannaggio di una squadra del sud la quale, nelle altre due stagioni, si piazzò seconda alle spalle delle milanesi. Se noi, adesso, diamo una scorsa all'elenco dei convocati che Vicini diramò in occasione dei mondiali del 1990 abbiamo che, dei ventidue, solamente tre giocatori napoletani - Ciro Ferrara, Fernando De Napoli ed Andrea Carnevale - facevano parte del novero della Nazionale. 3 su 22 equivale, in termini percetuali, ad appena, il 13,63 %. E se, poi, andiamo a dare una rapida sbirciata alla formazione base abbiamo che dei tre solamente uno, dico uno !, faceva parte dell'undici titolare ovvero Fernando De Napoli. Ed 1 su 11 equivale al 9.09 %. Ancora : nell'ambito dei ventidue che furono convocati da Vicini c'erano, nell'ordine, cinque giocatori dell'Inter - Walter Zenga, Giuseppe Bergomi, Riccardo Ferri, Nicola Berti ed Aldo Serena -, quattro del Milan - Franco Baresi, Paolo Maldini, Carlo Ancelotti e Roberto Donadoni -, tre della Juventus - Roberto De Agostini, Stefano Tacconi e Giancarlo Marocchi -, quattro della Sampdoria - Pietro Vierchowod, Roberto Mancini, Gianluca Vialli e Gianluca Pagliuca - ed uno della Fiorentina ovvero Roberto Baggio. Il sud, se vogliamo usare questa definizione strumentale, era rappresentato da, appena, quattro giocatori : oltre ai già menzionati Ferarra, Carnevale e De Napoli c'era, infatti, il solo Giuseppe Giannini della Roma. 4 su 22 significa che in quella nazionale il nord era rappresentato per l'81,81 % mentre il sud per, appena, il 18,19 %. Quando lo scrivente si scaglia, anche violentemente, contro i sedicenti opinionisti sportivi definendoli una banda di mascalzoni non lo fa per partito preso o per pregiudizio ma a fronte di numeri. Numeri che, beninteso, erano appannaggio, a maggior ragione, anche di questi signori che però, lungi dal presentarli all'opinione pubblica per svolgere deontologicamente il loro mestiere che è - meglio, dovrebbe essere - quello di informare, preferivano aizzare i propri lettori per cercare di far registrare un aumento delle tirature dei loro fogli. Ed ecco, quindi, spiegate, analiticamente, le ragioni per le quali ancora oggi molte persone, in buonissima fede come l'amico Alfonso, continuino a tacciare Bearzot di settentrionalismo proprio perchè non hanno mai avuto modo di leggere i numeri di cui sopra. L'ho scritto dianzi ma val la pena di ripeterlo : con i numeri sotto mano la percezione delle cose cambia drasticamente.
Un'altra accusa mossa a Bearzot fu quella di non aver attinto, a piene mani, dal serbatoio della Under 21 di Azeglio Vicini che, in quegli anni, dettava legge in ambito continentale.
A questa larvata accusa, dettata da addetti ai lavori in assoluta malafede, rispondo facendo notare che pescare a piene mani da un vivaio e portare in Messico dei ragazzini - perchè tali erano, allora - a difendere il titolo di campioni del mondo sarebbe equivalso, allegoricamente, a mandare al macello una generazione di talenti con il rischio, concreto, di bruciarli anzitempo ed attendere, magari, altri dieci anni per un nuovo ricambio generazionale.
Bearzot aveva della Nazionale una concezione, direi, trascendentale ; la Nazionale, nel senso ontologico del termine, volava più in alto di tutte le contingenze fenomeniche del momento ed anche dello stesso commissario tecnico. Sapientemente, quindi, Bearzot lasciò a casa quella nuova generazione di talenti che sarebbe stata una grande protagonista del mondiale del '90 ed a cui solamente la dabbenaggine di uno dei più insulsi commissari tecnici della storia azzurra, Azeglio Vicini, avrebbe precluso quella consacrazione che, senza meno, avrebbe meritato.
L'ultima accusa, e con questa digressione termino, rivolta ad Enzo Bearzot concerne il fatto di essere rimasto, tatticamente, al palo e non aver impostato la nostra compagine a zona.
Anche qui vanno fatte alcune precisazioni di ordine, squisitamente, tattico.
Premesso che non è scritto da nessuna parte che il gioco a zona sia, di per sè, migliore e più redditizio di quello nostrano, la Nazionale di Bearzot mutuava quanto di meglio, in quegli anni, esprimeva il nostro calcio ed in quegli anni, rammentiamocene, tutte le nostre compagini, con la sola eccezione di Roma e Milan, giocavano a uomo.
Prendere, quindi, giocatori come Gentile, Collovati, Bergomi, Cabrini etc. ed imporre loro una marcatura a zona avrebbe significato, da un lato, rinunciare a quelle caratteristiche che li consacrarono fra i migliori francobollatori del mondo e, dall'altro, snaturarne le migliori attitudini.
D'altro canto non è affatto vero che la nostra Nazionale giocasse a uomo ; la nostra compagine applicava una zona mista perchè se è vero, come è vero, che i nostri difensori, con la sola eccezione di Scirea che stazionava alle loro spalle, marcavano ad uomo i nostri centrocampisti, viceversa, erano disposti, salvo rare eccezioni dettate dalla contingenza, rigorosamente a zona.
E, d'altra parte, anche le squadre che applicano la zona mutano, repentinamente, la natura delle marcature negli ultimi sedici metri impostando, rigorosamente, quella ad uomo.
Nessuna squadra, neanche il Brasile per intenderci, ha mai applicato, integralisticamente intendo, la zona pura.
Il calcio è un gioco pragmatico ; le ideologie sono confusioni fuorvianti ad uso e consumo di una platea di non addetti ai lavori.
Le colpe che, in tutta sincerità, mi sento di attribuire a Bearzot sono, essenzialmente, due ; la prima fu quella di non aver fatto una scelta netta e chiara dell'erede di Zoff sin da subito ma di aver tentennato, sino alla fine, fra Giovanni Galli e Franco Tancredi con il risultato, nefasto, di svuotare, psicologicamente intendo, il portiere viola che ai mondiali risultò, in più di una occasione, assolutamente inadeguato.
Ed il secondo di non aver puntato, sin da subito, su Franco Baresi ma di aver cercato improbabili alchimie tattiche nel tentativo, disperato, di trovare una coesistenza fra lui e Scirea facendo giocare il milanista come centromediano metodista.
Ma al di là di questi appunti, doverosi, va sottolineato che la nostra compagine dell'86 era quanto di meglio Bearzot potesse schierare in Messico ed era fedele espressione di una involuzione del nostro calcio.
Se, in Spagna, la nostra Nazionale era una buona squadra ma era, correttamente, annoverata fra le outsider qui, in Messico, era una rappresentativa poco più che mediocre.
Ma quel che mi piace ricordare di quella compagine fu il modo, dignitoso, con il quale abbandonò il proscenio.
Annichilita dalla Francia di Platini, non si scompose nè dette adito ad un calcio violento e rissoso uescendo di scena come il suo commissario tecnico ovvero con estrema dignità.
E Dio solo sa se questo paese ne necessita oltremodo.


Post-scriptum



Queste note a latere sono un tentativo di ristabilire alcune verità cercando di sfatare troppi luoghi comuni ad uso e consumo di una platea profondamente suggestionabile e distratta. Al protagonista di queste note va, naturalmente, un pensiero particolare ; in allegato a quest'ultima nota ho montato e pubblicato su YouTube un piccolo cortometraggio che vuole essere un piccolo tributo alla figura di Enzo Bearzot.
Ma ci sono altre due persone alle quali voglio dedicare quanto ho riportato, pazientemente, in questi undici post.
Il primo è Telè Santana prematuramente scomparso qualche anno addietro e colpevolmente dimenticato.
Su questo sfortunato commissario tecnico ci sarebbe da scrivere un romanzo. Proverò, tempo permettendo, a ricordarne la figura con qualche nota su questo social network.
E l'ultimo, ma primo in ordine di affetto e considerazione, è l'amico Flavio Caputo senza il quale, probabilmente, queste note non avrebbero mai visto la luce.
Il ricordo, indelebile, delle nostre diatribe calcistiche sin dai tempi del liceo resterà sempre con me come uno dei più cari.
Ed è a lui, ed alla piccola Alice, che voglio dedicare questo piccolo sunto.



Christian Luongo