SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

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sabato 22 maggio 2010

Che cos'è la verità?

venerdì 21 maggio 2010

Siete pronti per l' Austerity ?

venerdì 14 maggio 2010

Creato robot molecolare programmabile



Un team di scienziati della Columbia University, della Arizona State University, della University of Michigan e della Caltech sono riusciti a creare e a programmare il primo robot molecolare realizzato con DNA. Il robot è in grado di muoversi, fermarsi, cambiare direzione seguendo una "pista" di codice genetico.
La ricerca potrebbe portare allo sviluppo di robot molecolari in grado di essere utilizzati per scopi terapeutici, e di intervenire a livello molecolare per agire contro una quantità innumerevole di patologie. Altro che smart dust, qui si agisce a livello nanoscopico.

La concezione tradizionale di robot è quella di una macchina che percepisce l'ambiente in cui si trova, prende una decisione, e compie un'azione.
E lo stesso vale per i robot su scala molecolare: in teoria, possono essere programmati per osservare l'ambiente in cui si trovano (come determinare la presenza di un agente patogeno), prendere una decisione (l'agente deve essere eliminato) ed agire su quella decisione (somministrare un farmaco, ad esempio). Tutto però avviene su scala molecolare, contrariamente ai robot che siamo abituati ad osservare quotidianamente nelle fiere tecnologiche.

Ma come si programma una molecola? Fino ad ora avevamo pensato che fosse quasi impossibile farlo, ma pare proprio non lo sia. "Nella robotica tradizionale, il robot contiene tutta la conoscenza di cui ha bisogno; ma per le molecole, non si può immagazzinare una quantità di dati, per cui l'idea è quella di immagazzinare le informazioni all'esterno, riempiendo di informazioni l'ambiente in cui si trova la molecola" afferma Nils G. Walter, della University of Michigan.

"Siamo stati in grado di creare questo ambiente programmato utilizzando degli origami di DNA" dice Hao Yan, della Arizona State University. Questi "origami" sono infatti informazioni codificate sotto forma di DNA in forme e strutture che virtualmente possono contenere informazioni illimitate. Sfruttando la struttura del DNA, sono state innestate sequenze artificiali per impartire ordini al robot molecolare. Il tutto in 2 nanometri di spessore e 100 nanometri di lunghezza.

I ricercatori hanno quindi costruito un percorso con questo DNA, inserendo frammenti manipolati per dire al robot molecolare di fermarsi, proseguire o cambiare direzione. In questo modo, il robot legge le informazioni direttamente dalla traccia che segue, senza la necessità di immagazzinare dati. Bene o male come facevano i primi computer, che sfruttavano schede perforate per eseguire delle routines.

Il robot molecolare è decisamente minuscolo: 4 nanometri di diametro, e munito di quattro "zampe" costituite da una proteina. "E' un ragno a quattro zampe" spiega Stojanovic, della Columbia University. "Dopo che il robot viene rilasciato dal suo punto di partenza, segue la traccia legandosi e poi tagliando i frammenti di DNA sul percorso".

In realtà non si tratta del primo robot molecolare basato su DNA mai creato. Il problema però è che le versioni precedenti non sono mai andate oltre i tre passi, circa 6 nanometri. Questo invece riesce a muoversi per circa 100 nanometri, bene o male 50 passi.
"Non è stata una sorpresa, dato che il lavoro originale suggeriva che i ragni potessero camminare per centinaia se non migliaia di passi. Quello che risulta eccitante è che non solo possiamo confermare il movimento multi-zampa dei ragni, ma possiamo anche far seguire al ragno un percorso specifico in maniera autonoma".

"Il passo successivo" spiega Stojanovic" è quello di aggiungere un secondo ragno, in modo tale che possano comunicare direttamente e attraverso l'ambiente. I ragni lavoreranno assieme per conseguire uno scopo. La chiave è come insegnare comportamenti di alto livello attraverso interazioni di basso livello".

Se nei prossimi anni, almeno 20-30, la ricerca farà i passi che tutti speriamo, potremmo avere nano-robot delle dimensioni di una o due molecole che viaggiano per il nostro corpo, somministrando droghe a livello cellulare proprio dove servono, e combattendo in modo estremamente più efficace contro patologie che ora risultano difficilmente curabili.

Fonte: ditadifulmine

Originale in lingua inglese: physorg



giovedì 13 maggio 2010

Opus Gay

lunedì 10 maggio 2010

Il paradiso e l'inferno sono dentro di te

venerdì 7 maggio 2010

Idolatria e culto della personalità: solo tu puoi liberare te stesso!

La nuova Costituzione Italiana: articolo 1




L'Italia è una Repubblica oligarchica, fondata sul lavoro del popolo.
Il popolo appartiene alla sovranità nazionale, che lo esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

mercoledì 5 maggio 2010

La mente al di sopra della materia? Come il tuo corpo crea il tuo pensiero


Io PENSO dunque sono,” affermava Cartesio. Forse avrebbe dovuto aggiungere: “Io agisco, dunque penso.”
La nostra abilità di pensiero è stata per lungo tempo considerata fondamentale a ciò che ci rende “umani”. Oggi, i ricercatori sostengono che i nostri corpi e la loro relazione con l'ambiente circostante governano anche i nostri pensieri più astratti, incluso il pensare numeri casuali o il decidere di raccontare esperienze negative o positive.
I sostenitori delle teorie cognitive tradizionali sarebbero sorpresi”, sostiene Tobias Loetscher, dell' università di Melbourne in Parkville, Australia. “Essi generalmente considerano il ragionamento umano coinvolto nei processi cognitivi astratti privo di qualsiasi connessione con il corpo o con lo spazio.”
Fino a poco tempo fa, l'ipotesi era che i nostri corpi contribuiscono unicamente alle nostre interazioni più elementari con l'ambiente circostante, vale a dire i processi sensoriali e di movimento. I nuovi risultati delle ricerche suggeriscono che i nostri corpi sono coinvolti anche nella produzione del pensiero astratto, e che anche attività apparentemente insignificanti hanno il potere di influenzare il nostro pensiero.
Indizi che il nostro corpo può giocare un ruolo nel pensare possono avvisarsi nelle metafore che utilizziamo per descrivere situazioni, come ad esempio “ sono stato trattato con freddezza” o “ ha una eccellente visione della relatività”.
Trenta anni fa, tali affermazioni portarono il linguista e filosofo George Lakoff, dell' università Di California, in Berkley, assieme al filosofo Mark Johnson dell'università dell'Oregon in Eugene, a proporre una teoria della metafora, secondo la quale noi pensiamo i nostri concetti astratti secondo come funziona il nostro corpo. Ora le prove di questa teoria cominciano ad affiorare. Nel 2008, ad esempio, i ricercatori hanno dimostrato che le persone che si sentono emarginate accusano di più il freddo fisicamente.
Adesso, Loetscher ed i suoi colleghi, hanno collegato la nostra capacità di pensare numeri casuali- un esempio di pensiero astratto- ai movimenti del corpo.
Il suo team ha chiesto a ragazzi destrorsi di 12 anni di pensare una serie di 40 numeri, tutti fra 1 e 30, nella sequenza più casuale possibile. I ricercatori hanno registrato i movimenti orizzontali e verticali degli occhi dei ragazzi mentre pronunciavano a voce alta i numeri casuali al ritmo di un metronomo.
Il team ha scoperto che i movimenti degli occhi potevano essere usati per prevedere le dimensioni del numero prima che fosse pronunciato. Se il soggetto guardava a sinistra verso il basso, sceglieva un numero più piccolo del precedente, e se guardava a destra verso l'alto, sceglieva un numero più alto (Current Biology, DOI: 10.1016/j.cub.2010.01.015). Inoltre, la misura in cui guardava in una particolare direzione era correlata con l'entità di grandezza, inferiore o superiore, rispetto al numero precedentemente detto. Questo riscontro sostiene fortemente la teoria che il pensiero astratto è legato ai movimenti fisici dei nostri corpi, afferma Loetscher.
Ma perché due cose in apparenza non collegate- movimenti oculari apparentemente insignificanti e numeri casuali- sono correlate? Lakoff, che chiama l'esperimento di Loetscher un “ particolare bell' esempio” di cognizione incarnata, che ha a che fare con la nostra capacità di pensare e che si sviluppa durante l'infanzia.
Lakoff calcola che i volontari fanno uso di due serie di metafore per immaginare numeri: l' alto è maggiore e il basso è minore, e che destra è maggiore e sinistra minore. Tali metafore sono state apprese e incorporate permanentemente nel cervello sin da tenera età. Un bambino, guardando svuotarsi un bicchiere d' acqua, o costruendo una pila di mattoncini, imparerà che una cresciuta altezza comporta una maggiore quantità, ad esempio. Le diverse regioni del cervello che processano quantità e altezza si sono collegate nel cervello in crescita, egli sostiene, portando ad una comprensione “incorporata” della metafora che l'alto è maggiore. Allo stesso modo, le persone destrorse possono collegare nell'apprendimento la destra con + poiché tale è la loro mano dominante.
Ciò che non è chiaro nell'esperimento di Loetscher, tuttavia, è se sono i movimenti oculari a determinare la selezione numerica, o se è la selezione numerica a generare particolari movimenti oculari.
Per provare se i movimenti sono in grado di pilotare i pensieri, Daniel Casasanto dell'Istituto Max Planck di psicolinguistica in Nijmegen, Paesi Bassi, si è rivolto alle metafore che usiamo per parlare dei nostri stati d'animo. “Possiamo, con una certa forzatura, rappresentare tali metafore in uno schema spaziale verticale, nel quale il positivo/buono è in alto ed il negativo/cattivo in basso,” dice Casasanto. “Noi parliamo di tenore di vita elevato, o del nostro umore in crescendo, affermiamo di sentirci giù di corda.”
Abbiamo rappresentato i nostri stati d'animo in uno schema spaziale verticale, con il positivo/buono è in alto ed il negativo/cattivo in basso.”
Il suo team ha chiesto a 240 studenti di spostare dei blocchi di marmo da un contenitore posto su di un alto scaffale ad uno scaffale posto in basso, o viceversa; durante tale operazione si argomenta una discussione su eventi che hanno significato emotivo positivo o negativo- come, ad esempio, situazioni nelle quali ci si è sentiti fieri o ci si è vergognati di noi stessi.
Si è scoperto che gli studenti sono stati, significativamente, più rapidi al recupero e alla rielaborazione di storie che aderivano alla metafora implicita nelle loro azioni. Così, se stavano spostando i marmi verso l'alto, erano più pronti nel raccontare storie contenenti emozioni positive piuttosto che nella rielaborazione di emozioni negative, e viceversa.(Cognition, DOI: 10.1016/j.cognition.2009.11.002).
I risultati del test hanno anche portato ad un interrogativo più profondo: è possibile che i movimenti corporei hanno il potere di influenzare non solo la velocità di espressione verbale delle persone, ma anche ciò che scelgono di raccontare- o anche di pensare- qualunque cosa essa sia?
Il successivo esperimento di Casasanto ha confermato siffatta ipotesi.
Mentre gli studenti spostavano i marmi da uno scaffale all'altro, venivano poste domande di genere neutro, come “raccontami quello che ti è successo ieri”. In questi casi, i soggetti erano maggiormente propensi a raccontare episodi positivi quando spostavano i marmi in alto, mentre si evinceva una propensione alla narrazione di storie negative durante lo spostamento verso il basso. “Non è un po' inquietante?”, domanda Casasanto.
Si parlava positivamente quando si innalzavano i marmi, negativamente quando li si abbassava.
Se, effettivamente, i movimenti corporei influenzano i nostri pensieri, Casasanto afferma che persone che usano il loro corpo in maniera diversa avranno pensieri diversi. Per verificare ciò, ha esaminato questa volta anche persone sinistrorse (mancine). Egli ha chiesto a 286 studenti, 40 dei quali mancini, di esprimere giudizi sui personaggi di un cartone animato chiamati Fribbles.
La pagina test contiene 12 paia di Fribbles con i membri di ciascuna coppia simili, ma con caratteristiche distintive. In ogni coppia un membro era situato a destra e l'altro a sinistra di una domanda.
Si è chiesto agli studenti di cerchiare un personaggio in ogni coppia secondo la valutazione delle sue caratteristiche personali, come l'onestà, la felicità, l'intelligenza e l'attrattiva.
Le valutazioni erano formulate in modo positivo (chi è il Fribble più attraente?) o negativamente (chi è il Fribble che sembra meno interessante?).
I ricercatori hanno scoperto che 210 studenti hanno mostrato una preferenza verso sinistra o destra e. di questi, il 65% dei mancini attribuiva caratteristiche positive in modo più significativo ai Fribbles posti a sinistra, mentre il 54% dei destrorsi collegava attributi positivi ai Fribbles di destra- Journal of Experimental Psychology, DOI: 10.1037/a0015854).
I destrorsi collegano il buono alla destra e i mancini pensano il bene a sinistra”, conclude Casasanto.
Questa tendenza all'attribuire virtù positive al nostro lato dominante può essere riscontrata anche in espressioni come “il mio braccio destro” (nel senso di socio o aiutante), o “hai due piedi sinistri” (detto di persona poco pratica nella danza o piuttosto maldestra nel proprio equilibrio motorio), espressioni che si sono diffuse e radicalizzate a causa della stragrande maggioranza destrorsa dell'umanità.
Se le caratteristiche intrinseche dei nostri corpi sono responsabili del nostro pensiero astratto- cosa implica ciò per corpi drasticamente diversi da quello umano?
Lakoff sostiene che, se esistono intelligenze aliene, potrebbero avere un corpo molto diverso dal nostro e, per tale motivo, avrebbero sviluppato un pensiero astratto molto diverso dal nostro- anche forse un diverso sistema matematico. “ le persone presumono che la matematica sia obiettiva e che tutti avranno universalmente le stesse formule, dice Lakoff,”ma non vi è ragione per credere ad una affermazione del genere”.
Perché le macchine intelligenti hanno bisogno di un corpo?
Se la nostra abilità nel pensiero astratto è strettamente legata al sé fisico, le macchine intelligenti hanno anch'esse la necessità di un corpo?
E' una questione che si sta investigando. Il roboticista Josh Bongard dell'università del Vermont in Burlington, sostiene che la dotazione di un corpo fisico dei robot e il modo con il quale interagiscono con l'ambiente circostante possono essere la chiave per creare la capacità, nelle intelligenze artificiali, al pensiero astratto. Per cominciare, Cynthia Breazeal del Massachusetts Institute of Technology, con il suo team ha creato un robot antropomorfo che usa la conoscenza del proprio corpo per dedurre gli stati mentali umani.[...]
fonte: NewScientist

lunedì 3 maggio 2010

Create nubi artificiali con un laser nei cieli sopra Berlino

titolo originale: Laser creates clouds over Germany by: Colin Barras- translation: Luca Giammarco
Un laser è stato usato in laboratorio per generare piccole nubi a comando, e gli esperimenti nel mondo reale confermano che questa tecnica può essere un modo di provocare la pioggia quando richiesto.
Si è sperimentato per decenni attraverso il cloud seeding ( letteralmente: inseminazione delle nuvole, il noto fenomeno delle chemtrails, ndt ) nella speranza di incrementare le precipitazioni, solitamente spruzzando cristalli di ioduro d'argento nelle nuvole di alta atmosfera.
Questi cristalli favoriscono la formazione, attorno ad essi, di gocce d'acqua di grande dimensione, che poi precipitano come pioggia- in teoria, almeno. “L'efficienza di questa tecnica è controversa,” afferma Jerome Kasparian dell'università di Ginevra, Svizzera, un membro di un team di ricerca che sostiene che i laser possono essere un mezzo migliore per provocare pioggia a comando.
Kasparian, assieme al suo team, ha appena riportato il primo positivo utilizzo di questa tecnica per creare nubi dall'aria, sia in laboratorio che nei cieli sopra Berlino, in Germania.
La camera delle nuvole
In laboratorio il team ha indirizzato pulsazioni laser all'infrarosso brevissime in una “camera” di aria satura d'acqua a -24°C. Nuvole lineari potevano vedersi formare sulla linea del laser, come una piccola scia di condensa d'aereo.
Kasparian spiega che le pulsazioni laser generano le nuvole rimuovendo elettroni dagli atomi d'aria, ciò favorisce la formazione di radicali idrossili. Questi ultimi convertono i biossidi di zolfo e azoto presenti nell'aria in particelle che agiscono come “semi” per la crescita delle gocce d'acqua.
Ogni singola pulsazione laser produce un “colpo” di 220-millijoule in appena 60 femtosecondi ( 1 femtosecondo= 1/1000 di nanosecondo ), con una intensità “equivalente a circa mille centrali elettriche,” sostiene Kasparian.
Nuvole naturali
Le analisi dell'aria nella camera di sperimentazione, dopo lo spegnimento del laser, hanno rivelato che il volume totale di goccioline di condensa interna era aumentato della metà, e che senza le nuvole il volume di acqua condensata era aumentato di 100 volte.
Tuttavia, condizioni di altissima umidità a bassa temperatura, come quelle dell' esperimento di laboratorio, non sono uguali a quelle osservabili nell'atmosfera terrestre, afferma Daniel Rosenfeld, uno scienziato dell'atmosfera presso l'università ebraica di Gerusalemme, in Israele. “ Tutta la documentazione di questo esperimento è di scarsa rilevanza per le nuvole naturali,” sostiene.
Kasparian controbatte che i risultati ottenuti ripetendo l'esperimento nei cieli sopra Berlino suggeriscono che la tecnica può funzionare in condizioni naturali. Il suo team ha inviato pulsazioni laser nel cielo autunnale, focalizzate a 60 metri d' altezza. Niente è stato visibile ad occhio nudo, ma attraverso la tecnica di rilevamento LIDAR, che impiega i laser per misurare la dispersione luminosa nell'atmosfera, è stato possibile confermare che la densità e la grandezza delle gocce d'acqua sono aumentate quando il laser è stato acceso.
Come in laboratorio, gli effetti sono chiaramente evincibili,” sostiene Kasparian. “ Non è richiesta la saturazione dell'atmosfera.”
Il suo team proverà ad incrementare gli effetti del test ottimizzando la lunghezza d'onda del laser, la messa a fuoco e la durata della pulsazione, in modo da ottenere gocce abbastanza larghe da precipitare in pioggia.
Journal reference: Nature Photonics, DOI: 10.1038/nphoton.2010.115