SUNN IL MITE NON EFFETTUA ALCUN MONITORAGGIO O ANALISI DEI DATI DEGLI UTENTI

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mercoledì 28 aprile 2010

La NASA prepara al lancio un assistente astronauta androide

translation: Luca Giammarco
photo of R2 from NASA



La NASA si prepara ad inviare nello spazio il primo robot umanoide. Il progetto Robonaut ha “preso vita” nel settembre 1999 e, dopo un decennio di test, finalmente il modello R2 da 140 chilogrammi sarà inviato nello spazio, presso la stazione spaziale internazionale (ISS), durante l'ultima missione dello space shuttle Discovery in settembre.
Con i continui lavori di manutenzione necessari sulla ISS, l'idea è di fornire alla ciurma un assistente che non è mai stanco di impegnarsi in banali lavori di meccanica- inizialmente all'interno della stazione orbitante e successivamente anche all'esterno.
R2 è formato da una testa ed un dorso umanoide con braccia e mani estremamente abili. E' stato sviluppato dalla NASA in collaborazione con il team di robotica della General Motors. Dopo essere stato imbullonato all'infrastruttura dell' ISS, R2 può usare qualsiasi utensile, giravite e chiave di regolazione, utilizzato dagli astronauti.
Uno degli scopi di questa missione, afferma la NASA, è quello di vedere come Robonaut reagirà alle radiazioni cosmiche e alle interferenze elettromagnetiche presenti all'interno della stazione spaziale.
La sfida principale, comunque, sarà quella di garantire al robot la capacità di lavorare, con strumenti in grado di “volare” facilmente in microgravità, afferma Chris Melhuish del “Bristol Robotics Laboratory” in Inghilterra.
I robot devono essere sicuri, sia sotto il profilo fisico che comportamentale,” aggiunge.
Ciò significa completo controllo degli arti e degli utensili, ma anche la capacità di riconoscere le azioni umane per conseguire obiettivi condivisi in sicurezza". Questi sono i principali ostacoli che la NASA dovrà affrontare.
Fonte: NewScientist

martedì 27 aprile 2010

Strano ma vero: messo in orbita telescopio dei gesuiti, nome in codice: L.U.C.I.F.E.R.


Sono stato in collegio giovanissimo […] probabilmente è stato durante il periodo passato dai gesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato con forza dentro di me. Paura morale, come di essere associato a tutto ciò che è male. Me ne sono sempre tenuto lontano. Perché? Per timore fisico forse. Avevo il terrore delle punizioni corporali. I gesuiti adoperavano la sferza e credo che la usino ancora oggi. Era di gomma molto dura. Non la somministravano così, a caso. Era una sentenza che eseguivano. Ti dicevano di passare da un prete alla fine della giornata. Questo prete scriveva in modo solenne il tuo nome su un registro insieme alle punizioni che dovevi subire e, per tutta la giornata, vivevi in questa attesa.
A. Hitchcock

da: “Il cinema secondo Hitchcock”, di F. Truffaut



domenica 25 aprile 2010

La resistenza

Accanto a quella ufficiale commemorata in modalità anche troppo retorica c'è un'altra forma di resistenza più profonda e più intima nella quale molti di noi, magari inconsapevolmente, han già deposto le armi ed è lo stillicidio quotidiano volto a sradicarci dalla nostra infanzia. La saga di Winnie the Pooh, letta in questa luce, è una meravigliosa allegoria di questa eterna contesa in quanto il recondito protagonista non è l'orsetto eponimo del lungometraggio animato ma è Christopher Robin che proietta, nel bosco dei cento acri e negli svariati personaggi che lo pullulano, la propria caleidoscopica personalità. Questo stralcio, in allegato, è di una bellezza struggente ed evoca la poetica del fanciullino di Giovanni Pascoli


venerdì 23 aprile 2010

CORDLESS E WIFI. PERCHE' SONO PERICOLOSI?



In Inghilterra, Germania e Austria, il WiFi è stato vietato nelle scuole e la Germania raccomanda ufficialmente dal 2007 di preferire le connessioni via cavo al posto del Wifi.

In Europa, il 16/12/2009, la giustizia ha assunto una posizione che riconosce un collegamento di causalità tra la neoplasia e l’esposizione professionale ai campi elettromagnetici. Centinaia e centinaia di studi scientifici internazionali espongono le varie forme di tossicità ed anche istituzioni ufficiali, l’Agenzia Europea per l'ambiente e il Parlamento europeo, denunciano la tossicità della telefonia mobile e Wifi. La vostra installazione potrebbe essere giudicata come disturbo eccessivo di vicinato ! Il gruppo di frequenze [DECT – WiFi- GSM - UMTS o 3G - WiMAX - BLUETOOTH - RFID] è tossico per la salute. La loro triplice struttura di radiazione [Microonde, Modulate in Basse frequenze e Pulsate] produce un attacco fisiologico a livello molecolare e cellulare, che risulta tossico per la salute. Le microonde e le basse frequenze sono molto tossiche (lo confermano la comparsa di proteine dello stress e la risonanza con le frequenze del cervello), ma la tossicità più elevata è quella delle frequenze pulsate, quando l’energia prende la forma di micro-mitragliatrici elettromagnetiche. Questo è sufficiente non solo per disorganizzare i processi fisiologici, ma anche per distruggere delle strutture biochimiche. Queste radiazioni provocano degli attacchi fisiologici fondamentali, di cui 4 principali, - La perdita di tenuta della barriera sangue-cervello (barriera emato-encefalica), - La perturbazione della produzione di melatonina, - La perturbazione dei flussi delle membrane cellulari, - I danni genetici per rotture non riparabili di frammenti di DNA. Questi disturbi fisiologici primari a loro volta hanno per effetto delle patologie a 2 livelli: Primo Livello. Mal di testa, nausea, perdita di appetito, depressione, irritabilità, disturbi del sonno, vertigini e cadute, perdita di concentrazione, disturbi al cuore e sangue, malattie della pelle, alterazioni dei ritmi cerebrali, disturbi del sistema immunitario con la moltiplicazione di linfociti, alterazioni della pelle [Eczema - Psoriasi - Purpura], disturbi delle onde cerebrali. Secondo Livello. Tumori a cervello, sangue, sistema linfatico, in particolare a pancreas e tiroide, epilessia, interruzioni di gravidanza e malformazioni, malattie autoimmuni, una serie di disfunzioni generalmente noto come EHS [ElectroHyperSensitivity], che comportano spesso dolori forti, e il cui livello acuto porta alla esclusione sociale, talvolta quasi totale per l'impossibilità di risiedere in luoghi ATTENZIONE : IRRADIANO SEMPRE ANCHE SE NON NE FATE USO ! Il Cordless DECT (tranne alcuni modelli ECO PLUS della Siemens) irradia sempre anche se non ne fate uso! Il sistema WiFi è spesso attivato per impostazione predefinita. Consigliamo, pertanto di avvalersi di una connessione via cavo. Potrete così proteggere voi, i vostri familiari ed i vostri vicini.
Fonte: mondodiloto 

giovedì 15 aprile 2010

Biberon e bisfenolo A: allarme endometriosi

Biberon e bisfenolo A: allarme endometriosi
14/04/2010 - gab

Ancora polemica per la presenza del bisfenolo A nei biberon e negli altri complementi da cucina in policarbonato. Le autorità europee prendono tempo, mentre subentrano i primi divieti in Danimarca e Francia. In Italia sono già disponibili biberon bisphenol-free. Ecco le marche...

Il bisfenolo A è un interferente endocrino, presente nei materiali in policarbonato. Su queste pagine on-line ne abbiamo già parlato spesso, ma ancora si aspettano le decisioni dell'Autorità per la sicurezza alimentare europea. Nel frattempo alcuni paesi, come la Danimarca, decidono di limitare la vendita di articoli per l'infanzia per uso alimentare contenenti Bisfenolo A, quindi biberon e tazze di policarbonato, la materia plastica che principalmente fa uso di questo composto. In Danimarca il divieto entrerà in vigore dal primo luglio 2010. Anche in Francia, nella seconda metà di marzo, è stata approvata una proposta del gruppo RDSE (Rassemblement Démocratique et Social Européen, a maggioranza radicale di sinistra) in cui si chiedeva la sospensione della vendita di biberon alla cui base di costruzione ci sia il Bisfenolo A.

Anche in Italia ci si adegua e ci sono diversi marchi che vendono biberon senza Bisfenolo A. L'elenco, insieme ad approfondimenti sull'intera tematica, è disponibile sul sito di Roberto La Pira "Il futuro dei consumi", che elenca la lista dei biberon senza Bisfenolo venduti in Italia: sono Mebby, Mam, Avent -Philips, Nuk, mentre "Chicco - scrive La Pira - ha introdotto solo da pochi mesi una linea senza BPA e continua a vendere i vecchi modelli in policarbonato".

Un aggiornamento sui timori della tossicità del prodotto è arrivato inoltre dal recente congresso internazionale condotto dalla Federazione Italiana Endometriosi: secondo una ricerca, il bisfenolo A, che si trova appunto in comuni materiali plastici, potrebbe essere una delle cause dell'endometriosi, o comunque potrebbe aumentarne il rischio. La patologia colpisce in Italia circa 3 milioni di donne.

Fonte: Terranuova
Ecoblog

lunedì 12 aprile 2010

Göbekli Tepe, archeologia sconvolta, storia riscritta


Ogni tanto accade. Accade che una scoperta archeologica possa mettere in crisi la linea temporale dell'evoluzione della civiltà nella storia antica.
Sta accadendo ora, in Turchia, su alcune colline chiamate Göbekli Tepe vicino alla pianura di Harran, nei pressi del confine siriano.

La scoperta riguarda un complesso di templi che risalirebbe addirittura ad migliaia di anni prima della Grande Piramide, intorno a 11.500 anni fa, 6000 anni prima che Stonhenge prendesse forma. E, soprendentemente, tra i 3000 ed i 1500 anni prima di Çatalhöyük, considerato uno degli insediamenti più antichi della storia.

Göbekli Tepe è un sito particolare, come particolare è la dedizione che l'archeologo tedesco Klaus Schmidt ha posto nel suo lavoro negli ultimi dodici anni.
L'antica civiltà che ha costruito le rovine di Göbekli Tepe è stata definita "la Roma dell' era Glaciale", un complesso urbano popolato da cacciatori-raccoglitori dotati di una raffinata cultura religiosa, architettonica e sociale.

Il sito fu inizialmente esaminato dall' Università di Chicago e dall' Università di Istanbul negli anni '60. Dopo la visita del sito, che fu soltanto un "mordi e fuggi" su quello che agli antropologi sembrò un cimitero abbandonato risalente al Medioevo, nel 1994 arrivò Schmidt, convinto che in quel luogo ci fosse più che un vecchio cimitero.
"Solo l'uomo può aver creato una collina come questa" sostenne Schmidt "E' chiaro che questo è un sito enorme risalente all'Età della Pietra".


Si possono trovare terrazze, cerchi di pietra, pilastri alti sei metri a forma di "T" e monoliti. E come se non bastasse, i rilevamenti radar hanno mostrato come sotto il terreno si celino almeno altre 15 rovine monumentali.
Fino ad ora sono stati portati alla luce alcuni dei 50 pilastri del complesso, uno dei quali, secondo le datazioni, rappresenterebbe l'opera d'arte monumentale più antica del mondo.

Su uno dei pilastri è possibile ammirare dei simboli astratti, anche se in realtà l'intero sito è ricoperto da bassorilievi e scultura di animali e piante. Cinghiali selvatici, manzi, leoni, volpi, leopardi, si può trovare di tutto a Göbekli Tepe. Ci sono anche raffigurazioni di esseri umani, sculture semi-umanoidi prive di volti.

La tesi di Schmidt è quella che la cooperazione tra cacciatori e la formazione di questo centro di culto siano nate per esigenze religiose. Il tempio ha costituito il fulcro della città, attorno ad esso è stato costruito tutto il resto. Non si tratta del "tradizionale" insediamento urbano di poche case, qui si parla di una città fatta e finita, con tempi, laboratori specializzati, case.

Questa scoperta sta pian piano rivoluzionando il mondo dell'archeologia. Come afferma Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University "Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambio completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate".

Le teorie sulla "rivoluzione del Neolitico" hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura, e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà.
Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città, o dopo i luoghi di culto.
Ora invece sembra che la religione si apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani, anzi, che sia quasi stata il motore primario per la creazione di città.

Göbekli TepeIl sito di Göbekli Tepe sembra anche dimostrare che in quella regione sia nata l'agricoltura, oltre che l'architettura domestica.
La mappatura genetica del grano sembra dimostrare che in questa zona siano stati, per la prima volta nella storia, coltivati cereali. Anche i primi maiali selvatici d'allevamento sembra si siano originati qui intorno a 10.000 anni fa.

Su sito sono state scoperte oltre 100.000 ossa animali, macellati e cucinati sul posto. Tra gli animali sono state ritrovate gazzelle (circa il 60% del totale delle ossa finora esaminate), pecore, cinghiali e cervi rossi, assieme a dozzine di ossa di uccelli. Tutti questi animali erano selvatici, il che dimostrerebbe la natura di cacciatori della popolazione dell'area.

Il problema della diffusione di questa scoperta è alquanto bizzarro: non sta nell'assenza di prove che possano dimostrare inequivocabilmente la sua età, come si potrebbe pensare.
Il problema sta nella presenza di troppe prove.

"Il problema con questa scoperta" sostiene Schwartz della John Hopking University "è che è unica".
Non sono infatti stati ritrovati altri siti monumentali risalenti all'epoca di Göbekli Tepe, in nessuna parte del mondo. Si è sempre creduto infatti che in quel periodo l'uomo vivesse all'interno di caverne, dipingendole con scene di caccia, o costruendo al limite qualche rifugio in pietra grezza. Addirittura anche dopo il periodo in cui Göbekli Tepe era al suo massimo splendore, per i circa 1500 anni successivi, sembra ci siano pochissime evidenze di edifici anche solo paragonabili a quelli ritrovati nel sito turco.
Le mura di Gerico, finora considerate la costruzione monumentale più antica della storia dell' uomo, sono probabilmente nate più di un millennio dopo Göbekli Tepe.

Questa è una scoperta che potrebbe mettere in discussione la linea temporale sull'evoluzione della civiltà umana. Fino ad ora è stato portato alla luce solo il 5% del sito, ed i lavori procedono senza sosta, tant'è che sul posto sono presenti ben 3 differenti team di archeologi.
Gli scavi a Göbekli Tepe procedono lentamente, dato il clima della regione: le temperature estive sono proibitive, durante l'inverno invece le piogge non consentono gli scavi, ed il periodo utile per l'attività archeologica è rappresentato da due mesi durante la primavera e due in autunno.


Fonte: Dita di Fulmine

sabato 10 aprile 2010

Celestino Cirillo

Caro Celestino,
lascio a queste poche righe l'ingrato compito di raccontarti a chi non ha avuto la fortuna di conoscerti. Eri una persona semplice e, proprio per questo, semplicemente straordinaria che soleva coniugare, nelle sue variegate declinazioni, l'insana passione per la vita.
Il tuo volto denunciava quei tratti somatici caratteristici delle genti del mezzogiorno d'Italia.
La tua immensa cultura ti avvicinava a Benedetto Croce.
La tua tempra coriacea e paziente denotava quelle origini contadine che, sempre, rivendicavi con una punta di malcelato orgoglio.
Negli ultimi anni ti eri avvicinato alla prosa dando alle stampe la tua "opera prima" alla quale, presto, sarebbe seguito un nuovo romanzo.
La fatalità ha, invece, disposto diversamente e per tutti noi che ti abbiamo conosciuto ed amato non ci sarà possibilità alcuna di ricorrere in appello.
Mi piace ricordarti riportando la prefazione che hai voluto scrivere e dedicare ai tuoi figli che, nella sfortuna di perderti prematuramente, hanno avuto la fortuna, immensa, di averti avuto come padre.
Per Chiara e Fabio
Bene avete fatto a non seguire la strada del vostro papà. Volgetevi verso il bello, sulla scia degli insegnamenti ricevuti dalla vostra impareggiabile mamma e cercate di compiere sempre scelte confacenti al vostro spirito libero. Lasciatevi alle spalle il mondo di piccoli e limitati uomini nel quale io sono stato costretto a vivere, e vivete nella dimensione dell'infinito che ci appartiene e di cui siamo parte. Date un calcio a chi vi vuole opprimere con la sua povertà intellettuale e spirituale !
Ciao Celestino
Andrea, Tonia e Christian

Totò ed il linguaggio, un rapporto dinamico

Il rapporto che ha contraddistinto la comicità di Totò con il linguaggio è stato contrassegnato da una complessità assai peculiare. In realtà tutti gli attori fanno delle insite contraddizioni del lessico una pietra angolare della loro comicità oppure si muovono in situazioni tali per le quali una parola può assumere, in quel determinato contesto, una accezione ambigua. Totò, però, va decisamente oltre innestando su una tradizione consolidata – l’avanspettacolo e la rivista – , da cui pure proveniva, una inventiva straordinaria che connoterà la sua comicità, nel tempo, in misura anche maggiore rispetto alla sua verve fisica. La lingua ha sempre avuto uno spiccato rilievo ed ogni epoca storica è stata contrassegnata da locuzioni, neologismi e figure retoriche la gran parte delle quali sono andate, via via, perdendosi anche se, alcune di queste, son perdurate fino ai nostri giorni. Una rivoluzione lessicale, forse senza precedenti, che è avvenuta nel nostro paese fu quella che espresse il regime fascista. Senza addentrarci in analisi sociologiche, in questa sede è sufficiente affermare che la lingua – nonché l’utilizzo che se ne fa di essa – è molto pregnante non solo nel modo di esprimersi ma, vieppiù, di sentire, percepire nonché di “pensare” la realtà. Una delle preoccupazioni maggiori del fascismo fu, alla stregua dei governi paraliberali antecedenti, quella di creare un tessuto connettivo fra le popolazioni i cui usi e costumi erano estremamente eterogenei. Tenendo conto dell’altissima percentuale di analfabetizzazione che ancora caratterizzava la società italiana adusa ai propri vernacoli, il regime cercò – con gli esigui mezzi di cui disponeva – di dar vita ad un nuovo lessico unitario che – per quanto possibile – mutasse ed irreggimentasse la società italiana. Era una impresa titanica di difficile attuazione tant’è che solamente nel dopoguerra, con l’avvento della tecnologia e della diffusione capillare della radio e della televisione, si è riusciti a fornire, al paese, un comune linguaggio convenzionale. Eppure, senza avvedercene, ancora oggi nella nostra lingua perdurano frasi, parole, figure retoriche coniate proprio nel ventennio e che sono di uso quotidiano. Uno dei settori nei quali, a dispetto di oltre mezzo secolo, il conio fascista si è abbarbicato inestricabilmente al nostro linguaggio è quello sportivo. Molti ignorano che quel che, oggi, unanimemente consideriamo il nostro campionato di calcio fu una creazione del fascismo. Il duce, molto attento alle pulsioni popolari, per porre fine all’anarchia regnante nel paese nel quale si svolgevano miriadi di tornei locali e regionali, conferì personalmente a Leandro Arpinati il compito di creare una federazione nazionale di calcio unica – la F.I.G.C. – mediante la quale riorganizzare e mettere ordine alle decine di federazioni ed alle centinaia di compagini sportive che imperversavano in tutto lo stivale. Accanto ad una operazione amministrativa, però, ci fu anche una contestuale rivoluzione lessicale del mondo del pallone afflitto, già allora, da una “perniciosa anglicizzazione”. Si provvide, dunque, ad italianizzare, quando non a crearne ex-novo, tutta una serie di locuzioni specialistiche al fine di introdurre un nuovo modo tutto italiano di descrivere, di leggere, di parlare e di sentire questo nuovo fenomeno che, seppure ai primordi, stava già diventando una endemica passione nazionale. Così il gioco del football, termine originario della disciplina, divenne il gioco del calcio, il fuorigioco subentrò all’off-side, il calcio d’angolo al corner ed il neologismo traversone al cross. Il goal-keeper divenne l’italico portiere e l’anglosassone half time fu nostranicizzato nella locuzione primo tempo. Per non parlare, poi, delle locuzioni specifiche atte a contraddistinguere particolari attitudini del singolo giocatore quali cannoniere, punta, libero etc. Beh si stenta a crederlo ma tutte queste accezioni che colorano, ancora oggi, le forbite espressioni di giornalisti ed opinionisti sportivi, sono state coniate nel ventennio. Questa peculiare connotazione linguistica fu appannaggio soltanto dell’Italia fascista e non si estese ad altri paesi, anche neolatini, come, ad esempio, la Francia dove non esistono espressioni “francesizzate” analoghe alle nostre per cui quando un commentatore d’oltralpe dovrà descrivere una azione di gioco userà le terminologie proprie introdotte dagli inglesi terra, è bene ricordarlo, dove è nato il gioco del football. Per costui, quindi, il corner sarà corner e l’off-side sarà off-side. Anche nel mondo della boxe – rigorosamente traslato nell’italico pugilato – siamo ancora afflitti da perniciosa ed anacronistica autarchia lessicale. Il ring è diventato il quadrato, il job è diventato il montante e l’hupper-cut è diventato il gancio. Oggi, a distanza di così tanti anni e con una “globalizzazione” della semantica in piena effervescenza, anche in Italia hanno ripreso a circolare, nuovamente, terminologie specifiche di originaria matrice anglo-sassone. Ma quelle locuzioni “fasciste”, fomentate da un malcelato provincialismo di stampo tutto nostrano, continuano a perdurare ed a connotare il nostro modo di intendere e di sentire persino un avvenimento ludico. Questo preludio sulle diverse accezioni linguistiche in ambito sportivo è utile per cercare di addentrarci un pò meglio nel rapporto fra Totò e la lingua perché l’attore era fin troppo consapevole – molto più di tutti gli altri – della fondamentale importanza che il linguaggio rivestiva nella vis comica e/o drammatica di una rappresentazione. Ma mentre la maggior parte dei suoi coevi si limitavano – indotti anche da una censura stringente – a giocare nell’esclusivo ambito dei doppi sensi di una parola Totò andava, consapevolmente, decisamente oltre ed, alla stregua di un demiurgo, cominciò a ridisegnare il lessico a sua immagine e somiglianza. La lingua veniva, così, piegata – direi violentata – ad uso e consumo delle rappresentazioni dell’attore attraverso svariate tecniche che spaziavano dalle assonanze alle storpiature ma tenendo, sempre, di conto le regole grammaticali che governavano la lingua italiana. Fu una estenuante e certosina opera di mutazione che, però, a distanza di tanti anni non soltanto ha preservato inalterata la sua dirompenza ma è diventata comune sentire di tutti gli italiani attraversando, intatta, almeno quattro generazioni. Fare una carrellata esaustiva di tutti i neologismi o di tutte le frasi che hanno connotato l’ars recitandi di Totò meriterebbe la stesura di un libro a parte e, pur tuttavia, proverò ad analizzare – anche sotto uno squisito profilo grammaticale – quattro fra quelli più celeberrimi. Il primo approccio lo possiamo, senza meno, tentare sulla famosa frase “Parli a come badi !” che ha connotato, fra le altre, la scena, tratta dal film “Totò a colori”, nella quale Totò – tale Antonio Scannagatti, genio incompreso della “mosica” (musica) di Caianello – si imbatte, in un vagone letto, con l’onorevole Cosimo Trombetta interpretato da un superbo Mario Castellani. Una delle frasi che più connoteranno questa scenetta, alla quale dedicherò un post a sé stante, è quel “Parli a come badi !” che, ad un primo ascolto, è un mero, persino infantile, capovolgimento della struttura lessicale di una locuzione retorica che viene usata alla stregua di un monito e che però, ad una analisi più attenta, si rivela, invece, molto più caustica ed ironica di quanto non possa apparire ad una prima, superficiale, lettura. Infatti la dicitura corretta, al di là dell’interscambio dei verbi, è “Badi a come parla !”. Se andiamo ad analizzarla sotto un profilo squisitamente grammaticale possiamo subito notare come la parola “badi” può essere sia la declinazione alla prima, alla seconda che alla terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “badare” – che io badi, che tu badi, che egli badi – sia la seconda persona singolare dell’indicativo presente del suddetto verbo – io bado, tu badi, egli bada – ma nella costruzione in esame essa è declinata come terza persona singolare del congiuntivo presente per cui, allegando il soggetto sottinteso, la prima parte della frase potrebbe essere scritta “(lei) Badi” ; la parola “parla”, parimenti, è declinata alla terza persona singolare ma del presente indicativo – io parlo, tu parli, egli parla – per cui la seconda parte della frase potrebbe essere scritta “A come (lei) parla !”. Assistiamo, quindi, ad un utilizzo “improprio” sia dei modi – congiuntivo presente e indicativo presente accostati in una stessa frase – nonché della declinazione – terza persona singolare – in un contesto nel quale i soggetti sono solamente due. Ed è su questa costruzione bolsa e retorica della struttura della frase che Totò, in un quadro dissacratorio nei confronti della prosopopea del potere che sarà il canovaccio nel quale si muoverà lungo tutto il lungometraggio, interviene in maniera devastante coniugando entrambi i verbi nel modo presente indicativo – mandando all’aria, quindi, il congiuntivo – ed alla seconda persona singolare conferendo a questa scialba locuzione retorica una connotazione “confidenziale” del tutto anomala – poiché questa è solita declinarsi, in tono di riguardo, alla terza persona singolare – ma, non di meno, sotto una prospettiva grammaticale, decisamente corretta. Per cui la frase di Totò potrebbe essere scritta “(tu) Badi a come (tu) parli !” che poi, di suo, già determina una dissonanza armonica proprio perché siamo adusi ad ascoltarla, ovvero a proferirla, in un altro modo. Ed è su questa dissonanza che, poi, Totò inverte l’ordine dei verbi per cui al “Badi a come parli !” sostituisce il “Parli a come badi !” accentuando, ancor di più, questa disarmonia. Siamo, quindi, in presenza di una frase solo all’apparenza banale ma che, invece, è di una causticità esasperante e violenta. La sua corrosività si scaglia, dapprincipio, contro quelle anomali regole grammaticali che contemplano l’utilizzo della terza persona singolare al posto della seconda persona singolare nella costruzione di una frase imperniata in un colloquio fra due persone ; e questa anomalia sarà ricalcata, nel prosieguo della scena proprio da Mario Castellani che rimarcherà, anche sotto il profilo prettamente linguistico, la propria distanza – direi la propria “superiorità” – dal suo interlocutore declamando la medesima frase in una diversa accezione utilizzando anche la seconda persona plurale – “Badate a come parlate voi egregio signore !” – tentando, disperatamente, di porre un argine all’aggressione – anche fisica – di cui viene fatto oggetto da uno scatenato Totò. Ma la corrosività della locuzione “Parli a come badi !” la possiamo inquadrare anche in una ottica più ampia che è quella del rapporto – subordinato – che si instaura, sempre, tra il cittadino comune ed il potere. Per paradossale che possa sembrare – e qui c’è un altro aspetto della vis comica di Totò che è, a mio avviso, straordinaria – il linguaggio violento non è quello di Antonio Scannagatti – che cerca, disperatamente, di abbattere le distanze sociali fra lui e Mario Castellani – ma è proprio quello dell’onorevole Cosimo Trombetta che frappone una serie di ostacoli e barriere cercando di riportare quel dialogo sul binario di un formalismo lessicale volto a contraddistinguerlo – socialmente ma anche politicamente – dal suo interlocutore. Il linguaggio, quindi, viene usato come un’arma impropria per erigere reiteratamente una moltitudine di pastoie dove rimarcare gli assetti sociali preesistenti ed a consolidare il neonato status quo del primo dopoguerra. Il “Parli a come badi !” , quindi, assume una connotazione violenta e dirompente alla stregua di uno slogan rivoluzionario ed anarchicheggiante perché si staglia contro la vanagloriosa protervia – anche lessicale – del potere qualunque esso sia. E’ molto triste pensare a come tutti questi aspetti, anche sociologici e politici, che hanno contrassegnato gran parte della produzione cinematografica di Totò siano stati, oculatamente, taciuti e messi in sordina quando, per converso, non utilizzati contro l’attore reiteratamente messo all’indice per il suo qualunquismo e la sua grettezza ovvero, addirittura, apostrofato come fascista. Totò è stato un fustigatore violentissimo degli usi e dei costumi degli italiani nel dopoguerra e, anche da un punto di vista sociale e politico, si pone decisamente agli antipodi di Alberto Sordi il quale, pur interpretando il sedicente “italiano medio” palesandone vizi e virtù, alla fin fine non faceva altro che farci, troppo spesso, compenetrare nei meschini personaggi che interpretava sottendendo ad una malcelata empatia che si andava, progressivamente, instaurando fra lo spettatore ed il personaggio del lungometraggio. L’italiano medio di Alberto Sordi diventa, quindi, un personaggio familiare – proprio perché in esso ci rispecchiamo – ed, alla fin fine, anche simpatico e quei vizi endemici di cui soffre assumono una connotazione talmente fisiopatologica da divenire tratti peculiari e distintivi della società italiana. Questa sorta di buonismo autocelebrativo in Totò è completamente assente. Totò era un endemico anti-italiano nonché violentissimo dissacratore. La sua satira era, direi, a tutto tondo ed investiva, prima ancora del potere, gli italiani tutti mettendoli con le spalle al muro di fronte alle proprie responsabilità storiche oltre che alle proprie piccinerie domestiche. Anche il potere – qualunque tipo di potere – ne esce a pezzi sottoposto ad una serie reiterata di demolizioni capillari affidate alle armi della catarsi della risata. In questo la comicità di Totò, a differenza di quella di Sordi, è pregna di una corrosività così pervasiva che non preserva indenne nessuna forma di potere. Insomma mentre l’uomo Antonio De Curtis era un nostalgico monarchico, il personaggio Totò era un anarchico rivoluzionario. La sua satira politica si concentrò, spesso e volentieri, sulla democrazia cristiana ma non in quanto tale ma perché, in quel periodo, espressione del potere costituito. Ma l’universalità del suo modo di fare e di concepire la satira si sarebbe potuto traslare, evidentemente, anche ad altri partiti politici se solo avessero avuto modo di assumere le redini della gestione della cosa pubblica. E questa universalità, proprio perché mordace ed avulsa da qualsiasi indirizzo politico, fu tacciata e biasimata per qualunquismo. In un ipotetico scenario politico nel quale la DC fosse stata messa all’opposizione, dubito fortemente che un grande maestro della satira, come Dario Fo, avrebbe profuso tutta quella veemenza che profuse contro il partito di piazza del Gesù. Non ho, invece, alcun dubbio su quello che avrebbe profuso Totò. Tornando al tema del post, comunque, una cosa che mi preme sottolineare è che l'attore aveva una notevolissima padronanza della lingua italiana e delle regole sue proprie. Le sue “violenze semantiche” prendevano le mosse e si muovevano in un contesto altamente specifico senza mai travalicare le frontiere della lingua pena il rischio di perdita di incisività nonché di comprensibilità. D’altronde la comicità di Totò si impernia sull’idioma nazionale e non sul vernacolo che, per quanto conosciuto, non avrebbe mai potuto avere la stessa risonanza dell’italiano. Di seguito, invece, riporto un altro esempio nel quale, pur muovendosi all’interno di una frontiera lessicale comune, Totò compie una irruenta digressione anche nel vernacolo napoletano. Lo stralcio è tratto dalla sua partecipazione al varietà televisivo “Studio uno” del 1965 in compagnia di Mina la quale, per inciso, si prodigò moltissimo per poter avere in trasmissione l’attore napoletano. Il programma si girava, tra l’altro, proprio negli studi Rai di Napoli e quella partecipazione segnerà la fine dell’ostracismo che la televisione di stato aveva comminato all’attore per sei anni. E’ importante sottolineare “dove” il varietà venisse registrato perché la platea era, ovviamente, costituita da spettatori napoletani e la digressione irruenta di cui sopra avrebbe perso molta incisività se fosse stata proferita in altra sede. Il siparietto, gustosissimo, prende le mosse dalla consuetudine che l’ospite d’onore, che accompagnava in ogni puntata la soubrette Mina, dovesse esibirsi in un duetto canoro con la cantante. Totò, a causa dei suoi malanni avanzati, elegantemente si esime e comincia a fare una digressione delle sue “presunte” straordinarie doti vocali raccontando – meglio, “millantando” – delle sue interpretazioni liriche nei teatri di mezza Europa suscitando il – finto, ovviamente – stupore di Mina che gli chiede delucidazioni. Totò, quindi, si lancia in una paradossale disamina delle sue qualità canore asserendo che la sua straordinaria estensione vocale gli consentiva di interpretare romanze sia come baritono che come tenore. Soltanto che invece di usare questi sostantivi utilizza due aggettivi : il primo (corretto) che è “baritonale” ed il secondo (neologismo) che è “tenorinale” suscitando una ilarità generale e particolare proprio perché, come detto sopra, proferito negli studi Rai di Napoli. L’ilarità “generale”, ossia comprensibile in tutta la penisola, deriva dal fatto che Totò utilizza la medesima estensione fonetica per estrapolare, da un sostantivo, un aggettivo corrispondente per cui se al sostantivo baritono corrisponde il corretto aggettivo “baritonale” per estensione, ed assonanza fonetica, al sostantivo tenore corrisponde l’aggettivo “tenorinale”. Noi sappiamo che, invece, al sostantivo tenore corrisponde l’aggettivo tenorile. Epperò quella estensione che appone Totò non è, per così dire, niente affatto avventata ma trae il suo spunto proprio da una difformità presente nelle regole che presiedono la estrapolazione di un aggettivo da un sostantivo. Il suffisso “ale”, infatti, è presente in molti aggettivi ricavati da sostantivi : ottimale, minimale, mortale, eccezionale, sequenziale, natale, essenziale, razionale, serale, temporale e via discorrendo. Per cui non si comprende, in effetti, perché mai se alla parola baritono è corretto aggiungere il suffisso “ale” ottenendo così, correttamente, l’aggettivo baritonale, non è parimenti corretto apporre il medesimo suffisso alla parola tenore ottenendo, appunto, l’aggettivo tenorinale. Il contrasto stridente, quindi, tra tenorinale e tenorile suscita ilarità non soltanto per la dicitura inidonea ma perché richiama una regola di estrapolazione evocata proprio con il ricorso all’aggettivo baritonale sapientemente proferito immediatamente prima dall’attore che accosta, in rapida sequenza, le due espressioni – “Voce baritonale e tenorinale” – colpendo lo spettatore con un rapidissimo uno-due. Quanto, invece, all’ilarità “particolare”, dianzi menzionata, essa attinge il proprio humus dal fatto che la parola tenorinale è una omofonia di una espressione napoletana stante ad indicare il possesso, da parte di una persona, di un vaso da notte. In vernacolo partenopeo, infatti, quando si vuol asserire che qualcuno possiede un vaso da notte si dice che (costui) “tene (tenere, possedere) ‘o (il) rinale (vaso da notte)” e si pronuncia proprio tenorinale poiché la “e” di “tene” nella pronuncia dialettale viene troncata. Questa seconda chiave di lettura è, ovviamente, appannaggio dei napoletani o di coloro che conoscono questo dialetto e passa del tutto inavvertita agli altri auditori ma, anche se decisamente esilarante, è a latere nell’economia strutturale del neologismo perché rientra in quel “mestiere” ed in quel bagaglio tecnico che Totò aveva assimilato nei lunghi anni di apprendistato nella rivista e nell’avanspettacolo configurandosi come una sorta di ambiguità semantica tipica della produzione teatrale napoletana. Pur tuttavia – ad uno sguardo d’insieme – anche questo doppio senso è un tassello interpretativo in più che lascia trapelare come tante gags di Totò fossero elaborate e costruite proprio per essere recepite a vari livelli semantici. Man mano che ci addentriamo – e che continueremo ad addentrarci – nella produzione di Totò, avremo modo di poter inquadrare al meglio le molteplici sfaccettature nelle quali si estrinseca tanta produzione dell’attore. Un altro esempio di neologismo lo possiamo attingere da un lungometraggio – Gli onorevoli – del 1963 diretto da Sergio Corbucci nel quale Totò interpreta la parte di un fervente monarchico – Antonio La Trippa – intento ad allestire, con uno scalcagnato megafono, la propria campagna elettorale. Mi riferisco alla celeberrima frase “Vota Antonio” che diventerà un vero e proprio leit-motiv di tutto il film. Questa locuzione, riportata in questo modo, non è, naturalmente, un neologismo perché altri non è che un accostamento della declinazione di un verbo – votare – ad un nome proprio di persona – Antonio – che è, poi, oltre al nome vero dell’attore anche il nome del personaggio interpretato dall’attore. Ma ad un ascolto più attento si avverte che, in realtà, Totò non pronuncia questa frase in maniera “corretta” perché non interpone neanche una minima pausa tra il verbo votare – “Vota” – ed il nome proprio di persona – “Antonio” – ma tronca la vocale finale del verbo generando, quindi, una parola nuova – un neologismo, appunto – che, a questo punto, dovrebbe, graficamente, essere riportato in quest’altro modo, ossia, “Votantonio”. E che questa sia la corretta interpretazione della frase ci viene, per così dire, suggerita dal modo ossessivamente reiterato e dal ritmo crescente e sempre più frenetico con il quale Totò la proferisce. L’attore vuole rimarcare, così, in maniera chiara allo spettatore questo profilo di decodificazione della locuzione e, in questa chiave, si prodigherà lungo tutto il decorso del lungometraggio per palesare che ci si trova davanti all’ennesimo neologismo della sua produzione cinematografica. E’ questo, dunque, oltre alla reiterata declamazione, il motivo per cui questa frase ha superato, indenne, quasi cinquanta anni di cinematografia nostrana connotandosi, in stretta correlazione all’andamento amaro del lungometraggio, di una melanconica accezione disillusoria di diffidenza verso il potere e divenendo una di quelle locuzioni caratteristiche che hanno connotato indelebilmente la comicità di Totò. In maniera meno mediata, ed al contempo anche più diretta, il neologismo “Votantonio” assurge anch’essa a caustica allegoria contro il potere. Nell’esempio, invece, che riporto sotto, ci troviamo di fronte ad un’altra accezione del rapporto fra Totò ed il linguaggio. Non si tratta, nello specifico, di un neologismo, ma di una chiara allusione alla ampollosità ed al vacuità semantica di cui son latrici troppe espressioni comunemente usate nei rapporti tra le persone. Lo stralcio è ricavato dal film “Totòtruffa ‘62” diretto da Camillo Mastrocinque e che contemplava, fra gli altri, la partecipazione di Nino Taranto, Ernesto Calindri, Mario Castellani, Luigi Pavese, Lia Zoppelli, Renzo Palmer e Pietro de Vico. Totò interpreta la parte di un sedicente diplomatico – in realtà è un ex trasformista teatrale che vive di piccoli espedienti e di raggiri consumati alle spalle di malcapitati “avventori” – che iscrive la propria figlia nel più ricercato ed esclusivo collegio femminile della città la cui direttrice è, per l’appunto, la Zoppelli. Nelle occasioni in cui Totò si reca a far visita alla figlia, la direttrice, al momento del commiato, gli comunica che, oltre al pagamento della cospicua retta mensile, “ci sarebbe” un versamento supplementare extra. Ed è proprio su quel “Ci sarebbe” che Totò innesta la sua vis comica – qui direi decisamente sarcastica – chiedendo alla Zoppelli se tale extra “ci sarebbe” oppure “c’è” facendo leva, appunto, proprio sulla accezione della declinazione del verbo essere che, recitato al condizionale, indica – sotto un profilo squisitamente semantico – che una cosa potrebbe essere ma potrebbe anche non essere. Messa alle strette la direttrice “confessa”, a mezza voce, che quel surplus non “ci sarebbe” ma, effettivamente, “c’è” denudando, quindi, una accezione formale – ed anche fasulla – della locuzione retorica utilizzata. In questo caso, quindi, non abbiamo neologismi o interposizioni di parole e neanche inversioni di fattori. Siamo di fronte ad una denuncia nuda e cruda di una falsità convenzionale del linguaggio che, troppo spesso, connota perniciosamente il rapporto che si instaura tra le persone. Ma questa denuncia non si scaglia, in realtà, contro la “malcapitata” direttrice del collegio ma contro un certo tipo di linguaggio utilizzato, comunemente, dai media per divulgare le notizie. E’ infatti perniciosa prassi utilizzata dai giornalisti della carta stampata e della televisione quella di apporre proprio questa declinazione ai verbi con i quali presentare e commentare le notizie divulgate all’opinione pubblica. In particolar modo sulla carta stampata dove, sotto un titolo cubitale perentorio che non lascia adito a dubbio alcuno, si sviluppa un trafiletto esplicativo che, di esplicativo, non ha proprio nulla ma che tende, invece, a mistificare il titolo di cui sopra proprio mediante un uso sconsiderato del condizionale e della declinazione impersonale del verbo. Ci troveremo di fronte, perciò, ad artefatti periodi costellati da “sembrerebbe”, “parrebbe”, “risulterebbe” etc. oltre a verbi declinati con la particella pronominale “si” – si pensa, si vocifera, si sussurra – quando non a locuzioni ancora più enigmatiche – a quanto pare, a quanto si dice, a quanto sembra – che, reiterati nel trafiletto, inducono il lettore ad omologare quelle espressioni ad una verità inconfutabile. In realtà, sotto un profilo puramente grammaticale ovvero logico e, conseguentemente, semantico, tutte le locuzioni di cui sopra non significano assolutamente nulla. Il condizionale con il quale vengono coniugati i verbi – molto spesso già, di loro, evocativi ma approssimativi – ci riportano proprio a quel “ci sarebbe” di cui sopra donde verrebbe spontaneo domandare al giornalista cosa intende effettivamente dire quando scrive “risulterebbe” proprio perché un determinato avvenimento risulta oppure non risulta. Per non parlare, poi, delle accezioni impersonali con le quali i verbi vengono coniugati che, sotto il vaglio impetuoso di una mera analisi logica, denotano tutta la loro approssimazione ed ambiguità. Quel “si sussurra” o quel “si vocifera”, ad esempio, non ci fornisce alcuna informazione su “chi” sta sussurrando o vociferando in quel momento. Per non parlare, poi, di quelle espressioni astruse come “a quanto sembra” ovvero “a quanto pare” proprio perché, come sopra, non si evince nessun soggetto sottinteso onde per cui non è affatto chiaro a “chi” sembra ovvero a “chi” pare. Qui ci troviamo di fronte a delle tecniche di persuasione occulta che da un lato tendono a configurare come assolutamente certa la notizia che si riporta ma che sono volte – e qui risiede l’altro motivo dell’utilizzo di queste declinazioni – a tutela del giornalista che, in caso di diffamazione ovvero di querela può, in sede giudiziaria, agevolmente dimostrare la propria assoluta estraneità avocando proprio quel condizionale di cui sopra che, sotto un profilo logico, non asserisce assolutamente nulla certo. La denuncia di Totò, quindi, traslata da un piano estetico ad un piano sociale denota una causticità molto intensa che, travalicando le frontiere della semantica, finisce per investire quelle più generali di un costume sociale divulgativo gretto e asfittico volto a manipolare opinioni e non diretto a divulgare notizie. Questi quattro esempi riportati sopra credo possano essere utili per indurci a rileggere – sotto un altro livello – sketch, battute esilaranti e gags dell’attore. La premessa basilare che deve sottendere al nostro vaglio è quella di una profonda conoscenza che Totò aveva del lessico nelle sue varie sfaccettature. Soltanto così potremo riuscire ad avvicinarci alla vera essenza della sua arte e farci una ragione del perché – a dispetto di tutto e tutti – l’attore continui a riscuotere un successo impensabile che, oramai, sta conquistando anche la quinta generazione di spettatori. Ed io penso che una delle chiavi di questo fenomeno sia proprio nel sapiente e colto uso che Totò fa della lingua italiana.


domenica 4 aprile 2010

Dino Zoff

Il 29 maggio del 1983 una Italia abulica ed inconcludente venne sconfitta, nettamente, per 2 a 0 dalla Svezia ad Helsinki in un incontro valido per le qualificazioni ai campionati europei di calcio che si sarebbero tenuti, l’anno successivo, in Francia. Appena due giorni dopo l’unico giocatore azzurro che non colò a picco in quel vergognoso naufragio ma che, anzi, ci evitò una umiliazione di gran lunga peggiore annunciò il suo ritiro. Il suo commiato dal mondo del calcio fu scandito da una laconica dichiarazione in una anonima sala stampa di Torino nella quale proferì sei parole che rimasero scolpite indelebilmente nella mia memoria : “Mi mancherà il profumo dell’erba”.
Così, quasi in punta di piedi, con una sobrietà ed una eleganza d’altri tempi se ne andava Dino Zoff. Fu in quella occasione che, per la prima volta, provai un senso di smarrimento profondo perché, pur senza fanfare e proclami, cadeva, e rovinosamente, un punto fermo della mia adolescenza. Io sono nato nel 1966 ed ero già stato spettatore di qualche cambiamento, anche drammatico, della storia del paese. Ricordo l’annuncio delle dimissioni di Giovanni Leone dalla presidenza della repubblica. Ricordo il rapimento ed il rinvenimento del corpo di Aldo Moro. Ricordo, altresì, quella cappa asfissiante che trasudava dai notiziari televisivi di quegli anni che prenderanno, poi, il nome di anni di piombo. Ricordo la morte di Paolo VI. Ricordo l’ascesa al soglio di Pietro di Albino Luciani e la sua tragica e repentina dipartita. Ricordo la nomina di papa Wojtyla. Assistevo, inerte ed inconsapevole, ad una serie di mutamenti, anche epocali, che stavano segnando la storia del nostro paese e della cristianità pur tuttavia, in questo clima di sfaldamento che cominciavo nitidamente a percepire, nutrivo una irrazionale speranza che colui che mi aveva accompagnato sin dall’infanzia lo avrebbe continuato a fare ancora per gli anni a venire con la sua giubba grigia, il numero uno cucito sulle spalle, il suo melanconico sorriso, la sua proverbiale laconicità.
Del resto il nome di Zoff resterà scolpito, in maniera indelebile, in tutte le compagini che la nazionale azzurra avrebbe messo in campo in un lasso di tempo che avrebbe coperto più di tre lustri. Rammento distintamente almeno tre schieramenti di quegli anni. Il primo fu quello che ci accompagnò alla fase finale dei mondiali di Monaco e che così recitava :
Zoff, Spinosi, Facchetti ; Benetti, Morini, Burgnich ; Mazzola, Capello, Chinaglia, Rivera e Riva.
Il secondo fu quello che mise in campo Bearzot, quattro anni dopo, in occasione dei mondiali di Argentina :
Zoff, Gentile, Cabrini ; Benetti, Bellugi, Scirea ; Causio, Tardelli, Rossi, Antognoni e Bettega.
Infine l’ultimo, quello più famoso, fu la compagine che avrebbe vinto il titolo mondiale in Spagna :
Zoff, Gentile, Cabrini ; Oriali, Collovati, Scirea ; Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni e Graziani.
Zoff, quindi, ai miei occhi si stagliava, alla stregua del ruolo che ricopriva sul campo, come l'ultimo baluardo di un mondo che andava, pian piano, ammainando le vele.
Potrei citare decine di episodi che videro protagonista il nostro portiere. Ho scelto di riproporne, brevemente, cinque ai quali sono, emotivamente, più legato.
Il primo mi riporta ad un incontro di calcio trasmesso dalla RaiTv in diretta in eurovisione. Erano le 21.00 circa del 14 novembre del 1973 quando scesero in campo, al Wembley stadium di Londra, le nazionali di Inghilterra ed Italia. Senza saperlo ero in procinto di assistere ad un evento epocale perché, al termine dei novanta minuti, gli azzurri espugnarono, per la prima volta nella loro storia, il leggendario tempio del calcio inglese. Di quella partita preservo tre distinte immagini scolpite nella memoria. La prima è quella di Riva che mentre respirava sembrava alzare volute di fumo dalla bocca. La seconda è il gol di Capello propiziato da uno spunto di Chinaglia sulla fascia destra concluso con un tiro-cross in diagonale sul quale Shilton fece un intervento non ineccepibile smanacciando la palla a ridosso dell’area piccola dove irruppe Capello che, di piatto, appoggiò delicatamente il pallone nella porta sguarnita. E la terza è un intervento di Zoff che, a pugni uniti, quasi in ginocchio, riuscì a deviare in calcio d’angolo una violentissima conclusione scoccata appena entro l’area di rigore da un giocatore britannico. Dino, quella sera, fu sensazionale al punto che i reporters inglesi lo definirono “portiere-saracinesca”. Da quel momento in poi il neologismo prese a divenire una sorta di leit-motiv per cui locuzioni tipo “mettere la saracinesca”, “chiudere la saracinesca” e simili divennero figure retoriche consuetudinarie nel lessico calcistico.
Il secondo episodio, invece, mi riporta al 15 giugno 1974 quando la nazionale italiana debuttò al mondiale di calcio di Monaco di Baviera. E’ un ricordo molto amaro perché, all’inizio del secondo tempo, il centravanti della compagine haitiana, tale Sanon, raccolse un rilancio dalla propria trequarti del mediano Vorbè che colse completamente sbilanciata la nostra difesa e si involò come una saetta tutto solo verso la nostra porta rincorso da uno Spinosi goffamente in affanno che cercò persino di aggrapparsi alla maglietta dell’avversario. Zoff uscì disperatamente dai pali cercando di chiudere lo specchio della porta ma fu sbilanciato da una finta di corpo all’interno di Sanon che, invece, lo dribblò in velocità verso l’esterno per poi depositare il pallone in fondo alla rete. Dopo 1.143 minuti cadeva l’imbattibilità del nostro portiere ad opera di uno dei più misconosciuti calciatori che una kermesse continentale potesse annoverare. Un auspicio davvero nefasto per una spedizione, la nostra, partita con i favori del pronostico e destinata, invece, ad uscire, ed in malo modo, dopo appena tre partite. Disperato confesso che, da allora in poi, contai disperatamente i minuti che scandivano tutte le partite in nazionale di Zoff sperando di poter assistere ad un replay, in corso d’opera, di quel record ma, ahimè, attesi invano.
Un altro ricordo, parimenti amaro, legato a Zoff fu il vergognoso linciaggio di cui fu vittima, per diversi anni a venire, a seguito di quel disgraziatissimo gol subito da Arie Haan in occasione di una Olanda-Italia, partita decisiva per l’ingresso alla finalissima dei mondiali di Argentina nel 1978. Hann scoccò un tiro da circa quaranta metri che sarebbe stato del tutto innocuo se la palla non avesse preso, all’improvviso ed a ridosso del nostro portiere, una traiettoria del tutto imprevedibile formando una sorta di ellissi e depositandosi beffardamente in fondo alla rete. L’Italia usciva, così, mestamente di scena da quella edizione del mondiale dopo aver mostrato, senza dubbio, il miglior calcio di tutta la rassegna continentale. In realtà era una compagine dal fiato corto che aveva esaurito le batterie fisiche e nervose dopo la prima fase del torneo e che aveva terminato in affanno il suo cammino nella seconda parte. Ciò nonostante la stampa sportiva cercava un caprio espiatorio da dare in pasto ad una famelica opinione pubblica e cominciò a sparare a zero contro il nostro capitano. Fu uno stillicidio reiterato che si protrasse per anni ma che si infranse miseramente sulla tempra coriacea di un laconico contadino friulano che, del lavoro nei campi, aveva fatto tesoro. In quella circostanza cominciai ad amare, prima ancora del calciatore, l’uomo Dino Zoff.
Un altro ricordo, senza dubbio il più bello, che mi lega a Dino Zoff fu in occasione di una partita di campionato che si svolse allo stadio San Paolo tra Napoli e Juventus. Era il 1981 ed il Napoli si giocava, in casa, l’ultima chanche di riagganciare, in testa alla classifica, la squadra bianconera. E’ sempre stata consuetudine di una curva accogliere il portiere avversario tra fischi, lazzi e sberleffi e Napoli non faceva certo eccezione. L’unico portiere ospite che a Napoli veniva sempre accolto fra gli applausi, in virtù di una remota militanza nella squadra partenopea, era proprio Zoff. Poco prima del calcio di inizio del secondo tempo, Zoff si avviò verso la porta posta proprio sotto la famigerata curva B dove era assiepata la tifoseria azzurra organizzata. Rispetto a quando mi recavo allo stadio con mio padre la tifoseria era molto cambiata e, già allora, uno sparuto manipolo di delinquenti sedicenti ultras, prezzolati dalla società, tenevano sotto scacco una intera gradinata di, almeno, 15-20.000 persone. Ricordo, distintamente, il becero capo ultrà, Gennaro Montuori, aizzare i propri accoliti contro Zoff e si cominciarono, nitidamente, ad udire i primi fischi ed i primi insulti rivolti contro il giocatore. Fu la prima, ed unica volta a mia memoria, che tutta la curva si alzò provocatoriamente in piedi e sommerse quel crocchio di mascalzoni con un boato terrificante di applausi rivolti al portiere juventino. Lessi, nei loro sguardi, una espressione di incredulità a cui, di lì a poco, seguì un vero e proprio sconcerto quando, dalle gradinate, si alzò il coro Di-no Di-no. Per qualche istante mi parve, davvero, di essere nella curva Philadelphia dello stadio comunale di Torino e non nella curva B del San Paolo di Napoli. Per tutto il secondo tempo gli ultras del Napoli, che si fregiavano di essere l’avanguardia della tifoseria locale, non osarono proferire nemmeno un insulto al giocatore tremebondi dinanzi ad una eventuale reazione negativa di tutta la curva. Inutile dire che io fui tra quelli che più si spellarono le mani ad applaudire Zoff e ad alzare la mia voce accompagnando quel coro. Ricordo che Zoff, in segno di rispetto, abbassò leggermente lo sguardo e, con la mano sinistra, fece un rapido cenno di saluto al pubblico poi si sistemò fra i pali e per tutto l’incontro volse, come di consueto, le spalle agli spettatori senza girarsi mai. Sono passati trenta anni e ancora adesso mi viene, come allora, la pelle d’oca nel rammentare questo splendido episodio. Per la cronaca il Napoli perse 1 a 0 e disse addio ai suoi sogni tricolori.
Infine l’ultimo episodio, con il quale intendo chiudere questo piccolo tributo a Zoff, fu quando il re di Spagna Juan Carlos gli porse tra le mani la coppa del mondo. A quaranta anni suonati e con la fascia di capitano sul braccio, Zoff sollevò per la prima volta, al termine di una carriera fantastica, quel cimelio che aveva soltanto sfiorato in Messico dodici anni prima anche se, in quella circostanza, era solamente il secondo di Albertosi a seguito di una cervellotica e, quanto mai, poco chiara e felice scelta dell’allora selezionatore azzurro Ferruccio Valcareggi che, all’ultimo momento, lo preferì proprio a lui, Zoff, che era stato, fino a quel momento, il portiere titolare della nazionale e con il quale il commissario tecnico si era laureato campione d’Europa appena due anni prima a Roma. In un mondiale caratterizzato dalla staffetta politica Rivera-Mazzola nonché dalle polemiche che videro in prima linea il golden boy azzurro circa l’estromissione forzata ed imprevista di Lodetti dall’elenco dei ventidue colui che, sicuramente, avrebbe avuto tutte le ragioni per mostrare un risentimento per la propria epurazione dai pali non proferì parola e non dette adito a polemiche e tensioni in uno spogliatoio, a dir poco, incandescente infondendo, nonostante la sua giovane età, tutta la tranquillità necessaria ad Albertosi per consentirgli di disputare, al meglio, quella rassegna mondiale. Peccato che Albertosi non se ne rammentò punto in occasione dello sciacallagio patito da Zoff otto anni dopo in Argentina rilasciando infuocate dichiarazioni contro il portiere della nazionale reo, a suo dire, di essere il responsabile principale della eliminazione degli azzurri da parte della compagine olandese.
Ad ogni buon conto, l’immagine del nostro capitano che alza la coppa del mondo venne celebrata anche dalle poste italiane che emise un francobollo nel quale questa scena venne riprodotta in forma stilizzata. Fu lì, nella tribuna d'onore dello stadio Santiago Bernabeu di Madrid, che Dino Zoff prese commiato dal mondo del calcio. Ed io, insieme a lui, presi commiato dalla mia adolescenza.

Ringrazio l’amico Francesco De Leo che mi ha consentito di utilizzare, come link di chiusura a questo post, un filmato da lui montato e messo in condivisione su YouTube.


sabato 3 aprile 2010

Soldi col Monnezza-export

venerdì 2 aprile 2010

Le replicazioni degli esperimenti di elettrocuzione di Milgram dimostrano che il 38% delle persone non tortureranno gli altri se gli viene ordinato


by Mike Adams, the Health Ranger, NaturalNews Editor 

translation. Luca Giammarco
titolo originale: "Replication of Milgram's Shocking Experiments Proves 70 Percent of People will Torture Others if Ordered

 the picture "SHEEPLE"  is a creation of :  Ashlee Clark

Seconda parte



Potrai ascoltare molti scienziati sciorinare una spiegazione convenzionale di questo fenomeno, quando parlano del potere e dell'influenza meccanica dei simboli autoritari ( il simbolo autoritario negli studi di Milgram è rappresentato dal “camice bianco da laboratorio” ) o della trasmissione di autorità implicita esercitata attraverso i comandi vocali ed il linguaggio del corpo, ma io ho una diversa spiegazione per ciò che avete letto precedentemente.

La mia spiegazione è molto più semplice: La società moderna addestra gli esseri umani ad essere degli schiavi mentali, non dei pensatori indipendenti.




Tu sei stato allevato per essere uno schiavo mentale

Pensa a questo: dal primo giorno che vai all'asilo, sei punito ogni qual volta esci fuori riga ( letteralmente), quando parli a sproposito, quando esprimi le tue personali convinzioni o rifiuti di eseguire gli ordini. La “percussione-frontale” psicologica prosegue almeno sino ai 13 anni, viene rafforzata dalla maggior parte dei parenti, consulenti e altre figure autoritarie.

In effetti, lo scopo primario della scuola non è quello di insegnare ai bambini cose reali e concrete ( la storia americana, ad esempio, è una raccolta risibile di oltraggiose menzogne e distorsioni), bensì quello di creare una mente schiavizzata obbediente che possa funzionare nella società. Con il tempo il bimbo comune, diplomato alle scuole superiori, può anche non saper esattamente leggere e scrivere, ma saprà sicuramente come fare quello che gli viene detto.

Per molti, tale processo proseguirà al college e nelle scuole di dottorato, nelle scuole mediche, ad esempio, ci sono avanzati istituti di lavaggio del cervello dove i pensatori indipendenti sono a lungo respinti dal sistema prima di poter esercitare la professione medica.

Solo le arti delle scienze teoriche incoraggiano il pensiero libero, ed è per questo motivo che troverete la maggior parte delle persone libere di mente in campi come la fisica teorica, le belle arti, la danza, la musica, la poetica e così via. ( ci sono eccezioni in ogni campo, naturalmente. Parlo semplicemente di una tendenza generale.)

Il comportamento delirante durante le festività

La follia culturale che circonda “le festività” è un perfetto esempio del lavaggio del cervello “en masse”. A comando, tutta la gente americana obbedirà ai loro padroni commerciali e si recherà a fare gli acquisti natalizi. Allestiranno il loro albero natalizio con luci natalizie e accessori. Pochi giorni più tardi, metteranno via tutto nuovamente. Dieci mesi più tardi, gli stessi cortili di casa usati per ospitare i simboli della cristianità saranno riempiti con immagini di vampiri, corpi umani decapitati e spiriti sovrannaturali.

Apparentemente nessuno, oltre me e pochi altri liberi pensatori, pensa che ciò sia quantomeno strano. Osservo i miei vicini con stupore quando spacchettano i puntelli sanguinanti per vampiri, quando li conservano nei garage, e illuminano i loro giardini con angeli e scene bibliche. Questa gente non ha idea di essere completamente scervellata [brainwashed, che ha subito un lavaggio del cervello] nel seguire un sistema di sfruttamento commerciale chiamato “festività”.

Tu nomini la festa, e vi è tutto un diverso sistema di condizionamento alla motivatizzazione commerciale attorno ad essa: la Pasqua, il giorno di S.Valentino, il 4 di luglio, il capodanno, etc. Ad ogni festa, la gente obbedientemente compra ciò che gli viene detto, beve quello che gli viene ordinato, addobba i giardini e i cortili con ciò che viene imposto, e corre persino in giro bussando alle porte questuando dolci perché gli è stato detto di fare così.

E' assolutamente incredibile da osservare, non sto dicendo che non possiamo celebrare il Natale per quello che realmente rappresenta, o trascorrere del tempo con la propria famiglia, o benedirsi l'un l'altro in qualsiasi tradizione religiosa in cui crediamo. Questi sono tutti modi legittimi di aggregazione, o celebrazione, o ringraziamento. Ciò di cui parlo è la manipolazione commerciale degli sheeple (pecoroni) e sul come persone volenterose si aggirino affaccendate nello spender soldi, decorando i loro cortili e giardini con la appropriata simbologia che serve meramente come “segnale”: chiede alle altre persone di “mettersi in linea” e seguire l'esempio.

Ho preso seriamente in considerazione l'idea di mettere su le decorazioni di Halloween lo scorso Natale, perché i miei vicini avevano eretto un guazzabuglio di luci luminescenti ed una renna motorizzata così scontata che, nella mia mente, stava implorando di essere contrastata con scene di decapitazione umana e zombie sanguinolenti presi in qualche negozio specializzato in oggetti per Halloween. Ma non sono riuscito a comprare nessuno di questi oggetti, ed ho pensato che l'intero messaggio sarebbe stato sprecato in ogni modo dall'irragionevolezza del vicino. Mi riservo il diritto di mettere in atto questo proposito per il prossimo anno! Mi piacerebbe vedere qualcuno fare quanto detto e postarlo in video su YouTube.

Scherzi a parte, gente: Per quale motivo devi avere simboli di morte e spiriti sovrannaturali nel tuo cortile il 31 ottobre e non puoi metterli su il 31 dicembre? I liberi pensatori non devono seguire il calendario commerciale, non trovi? Possiamo mettere le decorazioni festive nei nostri cortili quando ci pare, e non devono necessariamente corrispondere alle aspettative “festive” degli altri.

Rudolf la renna dal naso rosso, era molto luccicante.....la testa decapitata? Scommetto che il 99% della gente sulla rete non sa neanche da dove proviene Rudolf la renna dal naso rosso. Fu inventata dal grande magazzino Macy's allo scopo di costruire una storia ingegnosa concepita per vendere più merce! Ogni volta che cantate quella canzone è come se recitaste uno spot. Lasciamo andare tutti gli inni natalizi e cantiamo i motivetti commerciali della tv, vero?

Davvero, il comportamento durante le festività mostra i migliori esempi di follia della società moderna. E tutto ciò accade proprio davanti al tuo (luccicante?) naso, con l'inconsapevolezza dell'uomo ( e della donna) comune.

Sei un libero pensatore, o un “lavoratore obbediente” ?

Gli esperimenti di Milgram dimostrano semplicemente che il sistema educativo americano basato sul lavaggio del cervello è davvero molto, molto efficace e produce quelli che George Carlin chiama lavoratori obbedienti. Questi lavoratori obbedienti fanno ciò che gli viene chiesto, pagano le tasse e seguiranno sempre gli ordini, anche quelli privi di senso-- come la richiesta di Bush e Obama che invitava i cittadini ad uscire ed a spendere più soldi per “aiutare l'economia.”

E' una indicazione insensata per una nazione in cui il tasso di risparmio è già pari a zero, ma il 70% degli obbedienti lavoratori risultano essere anche obbedienti consumatori e spendaccioni.

E' inutile dire che NaturalNews è letto unicamente da quel 30% che si rifiuterebbe di prendere parte all'esperimento di Milgram. Siamo indipendenti, pensatori dalla mente libera che valutano ogni situazione secondo i suoi meriti, senza prestare particolare attenzione alle divagazioni folli di figure di autorità apparente. In effetti, il tipico lettore di NaturalNews sarebbe palesemente ostile a somministrare scariche elettriche ad un altro essere umano, durante un esperimento. A meno che, naturalmente, i destinatari dell'elettroshock siano gli amministratori delegati delle compagnie farmaceutiche, ma sarebbe un esperimento del tutto diverso. ( Questo è un altro scherzo. Non approvo l'uso della violenza contro gli esseri umani; anche se sono dei criminali.)

La conseguenza di tutto questo è una importante conclusione: Circa il 70% della gente attorno a te è pericolosamente obbediente anche alle direttive più folli impartite da figure apparentemente autoritarie. E, se opportunamente stimolate, ti tortureranno per tutto il tempo che gli vien detto di farlo.




Per richiamare la filosofia della “Matrix”, circa il 70% delle persone sono ancora intrappolate nel sistema, e fino a quando le loro menti non saranno liberate, rappresenteranno un potenziale pericolo per il 30% [38% nell'esperimento di Yale del 1963, ndt] delle persone che attualmente pensa per proprio conto. Una buona regola generale è quella di non essere mai “catturati” da troppi schiavi obbedienti intorno a voi e di stringere rapporti con il 30% di liberi pensatori.




Molte persone sovrastimano enormemente la propria indipendenza mentale

C'è un altro elemento affascinante, in tutta questa faccenda: Virtualmente, ognuno pensa di non voler mai somministrare scariche elettriche, nel caso prendesse parte agli esperimenti di Milgram. Ma, molti, quando vengono incalzati dalle richieste verbali aggressive dei ricercatori, spingono comunque il pulsante dell'elettroshock.

Come la maggio parte delle figure autoritarie nella società contemporanea, i ricercatori dello studio, usano astute tattiche psicologiche per cercare di convincere le persone a spingere il pulsante. Essi affermano che la mancata cooperazione al test comprometterebbe irrisolubilmente la ricerca, o che andrebbero persi migliaia di dollari, oppure che potrebbe crearsi un danno all'apparente soggetto del test a causa della mancata ricezione degli stimoli dovuti. I ricercatori utilizzano qualsivoglia tattica verbale abbiano a disposizione.

E' un po' come quando il presidente Bush, in piedi sul podio, parlava dell' uranio 235, o pubblicizzava una minaccia terroristica, o usava tutti i tipi di tattiche intimidatorie verbali completamente fittizie.

Lo scopo non è quello di informarti, ma piuttosto di modificare il tuo comportamento nel modo desiderato. Non per caso, circa il 70% della popolazione americana è strenuamente a favore della guerra all'Irak seguita agli attacchi dell' 11 settembre.

Non vedo l'ora di leggere i post negativi, carichi di odio e fiamme, che riceverò per questa storia, perché, quello che in realtà fanno attualmente questi post è dimostrare la profondità del condizionamento mentale che attanaglia circa il 70% dell'umanità. Le persone che sono mentalmente condizionate nell'obbedienza, incondizionata, agli ordini difenderanno aggressivamente il sistema che gli ha “lavato il cervello”. Qualsiasi persona che minaccia di ragionare per proprio conto viene aspramente stroncata, criticata, o verbalmente abusata, più o meno allo stesso modo degli esperimenti di Milgram di abuso verbale che i soggetti dello studio ricevono per persuaderli all'obbedienza.

L'Autorità è tutta nella tua testa

Il punto rilevante in tutto questo discorso è comprendere che l'intero schema autoritario del mondo contemporaneo è una costruzione artificiale. L'Autorità esiste solo nella tua mente, non nel mondo reale. Ad esempio, quando la gente guida lungo le strade, sta attenta a non oltrepassare le linee gialle ( o bianche). Perché? Perché nelle menti delle persone, le linee rappresentano bordi da non oltrepassare per la paura di essere rimproverati da parte dell'autorità. Ciò si verifica anche se l'attraversamento delle linee ha un senso compiuto!

Puoi vedere tali comportamenti, sempre, nella società contemporanea. Alla Costco [ una catena di grandi magazzini, ndt], le persone, per uscire, devono aspettare che alcuni lavoratori lumaconi verifichino la loro ricevuta di pagamento e la registrino manualmente a penna. Le persone sono in fila come il bestiame al macello, anche dopo che hanno pagato i loro articoli! Io sono uscito dalla porta con la roba da me pagata, ignorando del tutto le stupide “ signorine della ricevuta” che continuavano ad urlare “Signore!Signore!Signore!”. Quello che ho imparato è che, dopo tre o quattro urli, si azzittiscono e tornano in linea con “i pecoroni”. Indossate un paio di auricolari, mettete a manetta il volume del vostro iPod ed uscite direttamente dal negozio, gente! Perché stai rinunciando ai tuoi diritti costituzionali e sottometti te stesso a ricerche di mercato illegali con relativo sequestro del carrello pieno di cose che hai già pagato?

Stessa identica cosa al Wal-Mart. Se le tue borse fanno scattare i sistemi di sicurezza e hai pagato la tua merce, non sei così idiota da fermarti e lasciare che perquisiscano le tue borse come se fossi un criminale! Eppure oltre il 90% della gente fa esattamente questo!

Basta continuare a camminare. Non hai rubato le tue cose,non è vero? Allora perché vieni fermato? Il fatto è che spegnere la suoneria d'allarme della sicurezza è un problema di Wal-Mart, non tuo. Non hai niente ha che spartire con le imperfezioni della sicurezza. Basta far finta di essere sordi e di non poter udire alcunché comunque. Se ti accostano, usa un finto linguaggio per sordi enfatizzando l'uso del dito medio.

Lo psicologo comportamentale Pavlov ha provato che si può indurre un cane alla salivazione attraverso l'uso di un campanello. Wal-Mart ha provato che puoi far arrestare e far girare all'indietro un essere umano con un suono simile alle porte di uscita. Sbalorditivo!

Scoprirai anche che la maggior parte delle persone tendono a seguire i percorsi prestabiliti quando entrano o escono da un edificio. Non prendono il percorso più breve; prendono il percorso “ufficiale”, che può anche essere molto più lungo della distanza effettiva.

E non farmi incominciare a parlare dei commercials televisivi. Sono un grande esempio di un condizionamento mentale ad alta efficacia che nessuno sembra notare. Le persone che guardano la tv giureranno in lungo e largo che la pubblicità non ha presa su di loro, andranno al negozio e compreranno esattamente le stesse marche pubblicizzate in televisione.

E' assolutamente esilarante.

Non è divertente che sono condizionati mentalmente. Ciò è solo triste. Ciò che è divertente è che le persone che vengono condizionate mentalmente pensano di non subire il lavaggio del cervello anche se in realtà sono condizionate! “ I terroristi odiano la libertà,” ci è stato detto, ciò implica il fatto che noi siamo tutti liberi. Davvero? Allora perché tutti i miei vicini fanno esattamente le stesso cose ad ogni festività? Perché sono così prevedibili come una linea di marionette appese al medesimo dispositivo di controllo?

Gli studi di Milgram provano semplicemente che la maggior parte delle persone sono realmente dei pecoroni che fanno ciò che gli viene detto, e senza la consapevolezza di essere influenzati.

Allora, se sei un libero pensatore, considerati fortunato: appartieni ad oltre il 30% della popolazione del paese.

Per inciso, i test standard d'intelligenza (IQ) non prendono per nulla in considerazione caratteristiche di una “intelligenza del mondo reale” che dovrebbe coinvolgere il pensare da sé. Una persona può avere un quoziente d'intelligenza di 170 ed essere tuttavia un robot zombie totale che fa esattamente quello che gli viene detto da chiunque abbia un sufficiente status autoritario.

Preferisco “essere appeso” assieme ad una persona che ha abbandonato le high school e che apprende lezioni di vita reale dalle strade del mondo piuttosto che ad un supereducato “yes man” che è giusto appena più che una marionetta per i controllori mentali.

La gente vive la propria vita in uno stato di ipnosi perenne

Ad ogni modo, come nota marginale, ogni qual volta cominciamo a discutere su NaturalNews dell'ipnosi, riceviamo alcune mail che sono dei veri e propri post dell'odio da persone che affermano che l'ipnosi è malvagia e basata su qualche sorta di stregoneria occulta.

Quello che queste persone non capiscono è che le loro credenze ci dimostrano, nelle loro mail, essere un esempio perfetto di ipnosi!( la credenza che “l'ipnosi sia malevola”, ad esempio, è una credenza ipnoticamente indotta, solitamente programmata in un essere umano da una figura autoritaria, in un sistema di credenze concorrenziali che vedono l'ipnosi come una minaccia alla loro stessa autorità.)

Molte persone passano tutta la loro vita in stato di trance ipnotico e, raramente, se mai accade, si risvegliano per il tempo necessario a pensare con la propria testa. Gli esperimenti di Milgram dimostrano una forma molto efficace di comando ipnotico, che, per inciso, è stato verificato per lunghissimo tempo, agisce su circa il 70% della popolazione.

La maggior parte delle persone agisce in uno stato di trance semi-cosciente, quasi sempre; ciò crea una combinazione piuttosto psicotica: medicalizzati e ipnotizzati!

Inutile dire (ma lo dirò comunque) che, generalmente è più facile ipnotizzare persone che lavorano in applicazione della legge, nel comparto militare e negli impieghi pubblici, lavori dove seguire gli ordini è prontamente accettato. Ancora una volta voglio sottolineare che esistono sempre eccezioni alla regola

( infatti, abbiamo alcuni maestosi lettori fra i militari di stanza in Irak al momento ), ma generalmente parlando, il condizionamento mentale apre facili brecce nelle professionalità che sono abituate a fare ciò che gli viene detto, spegnendo completamente il cervello.

Io non so perché la gente tende ad essere così tesa, parlando di questo argomento. Sto solo dicendoti che è così, e non sto addolcendo la pillola. La maggioranza della gente è attualmente un “ pecorone sotto mentite spoglie”. Ciò significa che la maggior parte dei votanti americani sono, concretamente, le stesse persone che torturerebbero un essere umano se comandati a farlo!

Adesso sai perché guardare i politici sembra faccia molto male.

In ogni modo, ho scritto un libro che ti insegna a smettere di essere uno schiavo mentale commercialmente sfruttato e a proteggere la tua mente dalle seduzioni del consumismo. Si intitola “Filtri spam per il tuo cervello”e puoi trovarlo qui:





Se avete a cuore la libertà della vostra mente, vi innamorerete di questo libro. E' solamente per quel circa 38% capace di pensare con la propria testa.